La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10802 del 21 aprile 2023, è tornata a pronunciarsi in merito alla tempestività della comunicazione del licenziamento, statuendo che la violazione del termine stabilito dalla contrattazione collettiva per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare è idonea ad integrare una violazione della procedura di cui all’art. 7 St. Lav.
Tale violazione – ove la sanzione sia costituita da un licenziamento disciplinare – comporterà l’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 6, legge 300/70 (c.d. tutela indennitaria debole), purché il ritardo nella comunicazione del licenziamento non risulti, con accertamento in fatto riservato al giudice di merito, notevole e ingiustificato, tale da ledere in senso non solo formale, ma anche sostanziale il principio di tempestività.
Il caso di specie
La vicenda processuale trae origine dal licenziamento per giusta notificato ad una dipendente oltre il termine previsto dal CCNL Poste applicato al rapporto di lavoro. La norma contrattuale dispone che «la comunicazione del provvedimento deve essere inviata per iscritto al lavoratore entro e non oltre 30 giorni dal termine di scadenza della presentazione delle giustificazioni, in difetto di che il procedimento disciplinare si ha per definito con l’archiviazione».
Nel caso specifico, la società aveva inviato una prima volta la comunicazione di recesso a mezzo lettera raccomandata entro i termini previsti dal CCNL, ma, avendo errato nell’indicare l’indirizzo del destinatario, la notifica non si era perfezionata. Successivamente, la società ha provveduto, dieci giorni oltre il termine previsto dal CCNL, a notificare il provvedimento all’indirizzo esatto tramite ufficiale giudiziario.
Nell’ambito dei giudizi di merito veniva accertato che la dipendente, diversi anni prima, aveva comunicato alle risorse umane della società il proprio indirizzo di residenza, chiedendo di voler ricevere le comunicazioni aziendali presso tale indirizzo.
Da tali circostanze, è stato pertanto accertato che non potesse giudicarsi incolpevole l’invio da parte della Società della prima lettera di licenziamento ad un indirizzo non corrispondente a quello indicato dalla dipendente.
Conseguentemente, sulla base della disposizione del contratto collettivo sopra citata, i giudici di merito hanno stabilito che il mancato rispetto del termine di invio della lettera di licenziamento comportava l’archiviazione del procedimento disciplinare, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18, comma 4, della legge 300/1970.
Il ricorso in Cassazione e la decisione assunta dalla Corte
Avverso la decisione assunta dalla Corte d’Appello, la società proponeva ricorso in Cassazione, articolando due diversi motivi di censura della sentenza resa in sede di gravame.
Il primo motivo di ricorso afferiva alla dedotta tempestività della spedizione della prima lettera di licenziamento, dovendo la stessa ritenersi andata a buon fine e la conoscenza dell’atto presuntivamente raggiunta, malgrado l’errata indicazione del civico.
Sotto diverso profilo, la Società contestava la tutela reintegratoria accordata dai giudici di merito, rilevando che il mancato rispetto del termine finale non implicasse certamente “ex sé la negazione dei fatti di cui il lavoratore è stato accusato né la presunzione iuris et de iure di positiva valutazione degli stessi da parte del datore e neppure la consumazione del potere disciplinare per acquiescenza, ben potendo essere il ritardo esclusivamente imputabile a mero (pur colpevole) errore”.
La Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso sul rilievo che il mancato perfezionamento della notifica fosse addebitabile esclusivamente alla società, essendo escluso che l’invio della comunicazione di licenziamento non andata a buon fine per causa imputabile al datore di lavoro possa avere effetto impeditivo della decadenza.
In merito al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha richiamato quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 30985/2017, in merito al principio di tempestività che caratterizza il procedimento disciplinare e alle conseguenze sanzionatorie nel regime della legge 92/2012.
Ebbene, le Sezioni Unite hanno rilevato una distinzione concettuale tra la «violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi e la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato».
Nel caso specifico, la Suprema Corte ha statuito che la decisione assunta dalla Corte d’Appello contrastava con i principi statuiti dalle Sezioni Unite, secondo cui il mancato rispetto dei termini previsti dal contratto collettivo per la comunicazione della lettera di licenziamento integra una violazione di natura procedimentale e comporta l’applicazione della sanzione indennitaria dell’articolo 18, comma 6, mentre una tutela maggiore per il lavoratore può conseguire unicamente a fronte di un ritardo notevole e non giustificato nella intimazione del licenziamento, così come nella contestazione disciplinare, in grado di ledere in senso non solo formale, ma anche sostanziale il principio di tempestività.
Conclusivamente, nell’accogliere il ricorso promosso dalla Società, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione per il riesame della concreta fattispecie alla luce del principio di diritto fornito dagli Ermellini.
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