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Mutamento di mansioni e demansionamento contrattuale del dipendente: modifiche in peius (Newsletter n. 41 luglio 2015 – Aidp)

A partire dallo scorso 25 giugno, con l’entrata in vigore del D. Lgs. 81/15, l’art. 2103 c.c. è stato radicalmente modificato. La previgente formulazione della norma, introdotta dallo Statuto dei Lavoratori, era finalizzata a precludere in modo assoluto l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori. In effetti, la disposizione prevedeva l’obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelle superiori successivamente acquisite, sancendo la nullità sia degli atti unilaterali che di eventuali accordi dai quali fosse derivata l’assegnazione a mansioni inferiori. Il nuovo art. 2103 c.c., pur riconfermando il principio generale del divieto di demansionamento, introduce alcune possibili deroghe. In particolare, la nuova formulazione prevede la possibilità di assegnare unilateralmente al lavoratore mansioni rientranti nel livello di inquadramento inferiore, purché il demansionamento sia giustificato da processi riorganizzativi che incidano sulla posizione lavorativa del dipendente, ovvero da ipotesi previste dalla contrattazione nazionale e/o aziendale. In tali casi, al lavoratore dovrà essere comunque mantenuto il livello di inquadramento e la retribuzione in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione. Il novellato art. 2103 c.c., inoltre, introduce la possibilità di sottoscrivere accordi individuali aventi ad oggetto l’assegnazione a mansioni inferiori – anche oltre il limite di categoria legale stabilito per le modifiche unilaterali – e/o la riduzione della retribuzione. Perché le modifiche concordate siano legittime, tuttavia, la legge prevede che siano: (i) raggiunte nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita e (ii) sottoscritte in una delle sedi idonee a produrre gli effetti di cui all’art. 2113, co. 4, c. c. In realtà, occorre precisare che, già da tempo, la giurisprudenza aveva attenuato la rigidità del previgente art. 2103 c.c. e il legislatore 2015 altro non ha fatto se non tradurre in legge – e dunque in regole vigenti e certe – la disciplina delle deroghe al divieto di demansionamento. La nuova disposizione, inoltre, supera il principio della “equivalenza” delle mansioni per sostituirlo con quello più oggettivo del “medesimo livello di inquadramento”, con ciò assumendo rilevanza la declaratoria del personale fornita dalla contrattazione collettiva. Ed infatti, l’art. 2103 c.c. non fa più riferimento al concetto di equivalenza delle mansioni, ponendo, come unico limite agli atti unilaterali, la condizione che le nuove mansioni siano riconducibili allo stesso livello di inquadramento di quelle da ultimo svolte. Tale inciso sembrerebbe superare quell’orientamento giurisprudenziale che sanciva la nullità per contrasto all’art. 2103 c.c. anche in ipotesi di assegnazione a mansioni che, pur rientrando nel medesimo livello contrattuale, non potevano considerarsi nella sostanza equivalenti a quelle precedenti. Così, dal 25 giugno u.s., gli unici elementi che assumeranno rilievo ai fini della legittimità del mutamento di ruolo saranno: (i) la categoria legale, rimanendo ad esempio vietato il passaggio da mansioni dirigenziali a mansioni impiegatizie; e (ii) il livello d’inquadramento, che deve essere il medesimo.

Fonte:
AIDP – Associazione Italiana per la Direzione del Personale
www.aidp.it/aidp/ALLEGATI/MAIL/News_Luglio2015.pdf

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