La Corte di cassazione, con la sentenza 26029 del 15 ottobre 2019, riconferma che deve considerarsi annullabile il recesso nell’ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale di un lavoratore occupato obbligatoriamente, se al momento della cessazione del rapporto il numero dei rimanenti occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva e chiarisce che le conseguenze di predetta annullabilità del licenziamento devono essere ricondotte a quelle attivabili in caso di recesso illegittimo per accertata la violazione dei criteri di scelta. Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di legittimità si riferisce a un dipendente assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, licenziato nell’ambito di una procedura collettiva. Le corti territoriali in primo e secondo grado chiamate a decidere sulla domanda del lavoratore volta a ottenere una dichiarazione di illegittimità del licenziamento con ogni conseguenza di legge, avevano accolto la richiesta, condannando la società alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. In particolare, la Corte di appello di Roma aveva confermato la decisione di primo grado sulla base dell’assunto secondo cui risultava indiscusso che si trattasse di un lavoratore obbligatoriamente assunto, della circostanza da considerarsi ormai pacifica con forza di giudicato interno, non avendo il datore di lavoro fornito prova contraria sul punto, che al momento della cessazione del rapporto il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, la società ha depositato ricorso in Cassazione, sorretto da un unico motivo. Il datore di lavoro ha sostenuto di non aver selezionato il soggetto invalido per esodarlo, ma di aver applicato una clausola della convenzione sindacale che prevedeva l’esternalizzazione del reparto cui era addetto e di aver comunque offerto al dipendente la ricollocazione nello stesso sito produttivo e nelle stesse mansioni già espletate, alle dipendenze della società appaltatrice del reparto, offerta che era stata rifiutata. La Cassazione, nel rigettare il motivo di impugnazione del datore di lavoro, riprendendo il dettato dell’articolo 10, comma 4, della legge 68 del 1999 secondo cui il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, numero 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’articolo 3 della presente legge, precisa quanto segue.
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