Con l’entrata in vigore del decreto, che avverrà tra pochi giorni, verranno modificate in maniera sostanziale le regole di entrata e di uscita dal lavoro subordinato a tempo indeterminato. Con il decreto sulle tutele crescenti, infatti, in caso di uscita dal lavoro, è previsto un risarcimento di importo prevedibile e crescente in funzione dell’anzianità (l’importo si moltiplica per ogni anno di lavoro, ma con un massimo di 24 mensilità). In particolare, per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo l’indennizzo è l’unico rimedio possibile. Per quelli disciplinari (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), accanto all’indennizzo rimane la reintegrazione che è tuttavia confinata ad ipotesi molto stringenti. La reintegrazione è infatti prevista nei casi in cui «sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto al quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento». In caso di licenziamento fondato ma affetto da vizi formali (difetto di motivazione) o procedurali (violazione della procedura di contestazione disciplinare) è inoltre previsto un indennizzo dimezzato, una mensilità per anno di servizio, fino ad un massimo di 12 mensilità. La reintegrazione rimane invece per i licenziamenti nulli, intimati in forma orale e discriminatori. Viene inoltre confermata l’abolizione del tentativo preventivo di conciliazione e la sua sostituzione con una nuova procedura conciliativa (facoltativa) successiva al licenziamento. Il datore di lavoro, entro 60 giorni dal licenziamento, può offrire al dipendente un importo a titolo conciliativo pari a una mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di due e un massimo di diciotto.