Ieri, 15 aprile 2009, Confindustria, CISL e UIL hanno siglato l’intesa applicativa della riforma del modello contrattuale confederale. L’accordo non è stato sottoscritto dalla Cgil, che ha ribadito le critiche all’impianto del nuovo sistema dei contratti. Il nuovo assetto, che sostituisce quello del 1993, avrà carattere sperimentale per i primi quattro anni – a partire dal 15 aprile 2009 – e sarà monitorato da un Comitato Paritetico in cui saranno rappresentate le parti sociali a livello confederale. L’assetto della contrattazione è stato confermato su due livelli: il contratto nazionale di categoria e la contrattazione di secondo livello. Il contratto avrà durata triennale, tanto per la parte economica che per la parte normativa e avrà la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore. Sono state previste anche le c.d. clausole di esenzione: in situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico e occupazionale le parti potranno accordarsi e derogare su singoli istituti dei contratti nazionali. Per gli aumenti, invece, il tasso di inflazione programmata viene sostituito da un nuovo indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato, elaborato da Eurostat), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Il testo dell’intesa, inoltre, stabilisce una specifica tempistica per evitare l’allungamento delle trattative contrattuali: le piattaforme vanno presentate in tempo utile per consentire l’apertura del tavolo negoziale sei mesi prima della scadenza, la controparte datoriale deve rispondere entro i successivi venti giorni. È prevista una tregua per gli scioperi sia nei sei mesi prima della scadenza che nel mese successivo. In caso di mancato rinnovo trascorsi sei mesi dalla scadenza, è previsto l’intervento del Comitato Paritetico per valutare le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento dell’accordo per il rinnovo del contratto. La riforma del modello contrattuale consentirà di fissare a livello territoriale deroghe al contratto nazionale per “governare direttamente nel territorio situazioni di crisi aziendali” o per favorire “lo sviluppo economico ed occupazionale dell’area”. Queste modifiche devono fare riferimento a parametri stabiliti nel contratto nazionale come l’andamento del mercato del lavoro, il tasso di produttività, il livello di avvio e di cessazione delle iniziative produttive, la necessità di favorire l’attrattività per nuovi investimenti. Sarà ovviamente necessaria l’approvazione preventiva delle parti che hanno sottoscritto il contratto nazionale perché le deroghe siano efficaci.
(Rassegna Stampa del 16 aprile 2009- Il Sole 24 ore)