Il Garante Privacy, con il provvedimento n. 345 del 4 giugno 2015, interviene sul tema dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori. In particolare, nel provvedimento in esame il Garante afferma che il datore di lavoro non può conservare le conversazioni Skype dei dipendenti. Ciò neanche per documentare una condotta denigratoria ai danni dell’azienda e neppure se il lavoratore ha lasciato attiva l’icona di Skype sul computer della postazione lavorativa. Alla base della pronuncia il Garante pone le norme costituzionali sulla segretezza della corrispondenza, valide anche per le comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro. I controlli, infatti, non devono essere occulti (le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori) e non possono determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi. L’intervento del Garante risulta significativo, oltre che per comprendere la soluzione offerta per il caso in esame, per tracciare i confini rispetto alle modalità di attuazione dei controlli da parte del datore di lavoro sugli strumenti utilizzati dai lavoratori, anche in considerazione del recente intervento di riscrittura dell’art. 4 della L. n. 300/1970 operato dal D.Lgs n. 151/2015.