Il 9 marzo scorso Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, dopo anni di tentativi non andati a buon fine, hanno sottoscritto il c.d. Patto di Fabbrica, un accordo che definisce un quadro di regole condivise in materia di contrattazione, relazioni industriali, rappresentanza, welfare e sicurezza aziendale. Il Patto si pone quale obiettivo principale quello di ammodernare e ridefinire le relazioni industriali e gli assetti della contrattazione collettiva nell’ottica di assicurare la crescita del Sistema Paese nel suo complesso. Nell’ambito degli accordi raggiunti tra le parti sociali, va sicuramente posto l’accento sulla riaffermazione della centralità e della rilevante funzione del contratto nazionale, fonte di regolazione dei rapporti di lavoro e di garanzia dei trattamenti economici e normativi nonché strumento per incentivare lo “sviluppo virtuoso” della contrattazione di secondo livello dove gli aumenti salariali saranno strettamente legati alla produttività, alla qualità, all’efficienza, alla redditività ed all’innovazione aziendale. Particolare attenzione è anche dedicata alla valorizzazione dei processi di digitalizzazione e alle forme di partecipazione dei lavoratori. Inoltre è stata introdotta la misurazione della rappresentanza delle associazioni datoriali in chiave anti dumping così da evitare la proliferazione di contratti collettivi “pirata”, stipulati da sigle prive di rappresentanza e contenenti con condizioni economiche e normative capaci di alterare la concorrenza. In tale ambito, viene affermata la funzione certificatrice e di monitoraggio del CNEL. Il Patto di Fabbrica rappresenta sicuramente un traguardo importante per le relazioni industriali anche se, allo stato, costituisce una piattaforma di politica economica fatta di buone intenzioni alle quali occorrerà dare un seguito concreto per garantire l’auspicata crescita del Sistema Paese.