La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25355 del 9 ottobre 2019, ha affermato che il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum o percipendium da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore, è tenuto ad allegare circostanze di fatto specifiche e a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative. L’antefatto che la Suprema Corte ha esaminato, è stato, in estrema sintesi, il seguente. Un liquidatore di sinistri veniva licenziamento dalla Compagnia Assicurativa presso cui prestava la propria attività lavorativa all’esito di un procedimento disciplinare azionato nei suoi confronti per aver tenuto una condotta gravemente colposa. In particolare, al lavoratore era stato contestato di non aver effettuato in 18 episodi, prima di disporre i pagamenti, tutta l’attività propedeutica ed istruttoria necessaria ad accertare il reale verificarsi nonché la dinamica degli accadimenti relativi ai sinistri e delle conseguenti lesioni denunciate. Il Tribunale di Cosenza aveva respinto l’opposizione ex art. 1, comma 51, della L. 92/2012, proposta dal lavoratore e dalla Compagnia assicurativa avverso l’ordinanza emessa nella fase sommaria. Con essa, in parziale accoglimento dell’impugnativa di licenziamento, era stato dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannata la Compagnia Assicurativa al pagamento di una indennità pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La Compagnia assicurativa proponeva reclamo in appello ed il lavoratore si costituiva proponendo reclamo incidentale. La Corte distrettuale riteneva insussistenti i 18 episodi contestati, osservando, peraltro, che “il ragguardevole carico di lavoro attribuito al lavoratore rendesse (comunque) inesigibile (ndr avesse comunque reso inesigibile) la conoscenza delle anomalie che, invero, erano state (asseritamente) rilevate, dalla parte datoriale, solo a seguito di una dispendiosa e merita attività di indagine”. La Corte di appello territorialmente competente accoglieva così il reclamo incidentale del lavoratore ed annullava il licenziamento ad esso intimato, ordinando: – da un lato, alla Compagnia assicurativa di reintegrare il lavoratore e condannandola al versamento, con decorrenza dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegra, dei contributi previdenziali e assistenziali, oltre interessi, – dall’altro, al lavoratore di restituire la somma pari a 8 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla percezione al soddisfo. Non solo. La Corte d’Appello rigettava l’eccezione di compensazione dell’aliunde perceptum o percipendium sollevata da parte datoriale, sostenendo che non erano stati offerti “elementi specifici, idonei a dar conto di un minor danno da risarcire”. Avverso tale sentenza, la Compagnia assicurativa proponeva ricorso, affidato a quattro motivi, e il lavoratore resisteva con controricorso. Di nostro interesse, si rivela soltanto il quarto motivo di impugnazione con cui l’Impresa di Assicurazione ha denunciato l'”omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; la critica afferisce al rigetto dell’eccezione di aliunde perceptum et percipendium; la parte ricorrente imputa alla Corte di Appello di non aver effettuato i necessari approfondimenti al riguardo, come era invece, suo onere”. La Suprema Corte, nel rigettare il predetto motivo di impugnazione, ha, tra le altre, sottolineato come la Corte d’appello avesse fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui “il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum o percipiendum da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative (ex plurimis, Cass. Nr. 4999 del 2017)”.
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