Revoca del licenziamento: per il ripristino del rapporto di lavoro è sufficiente l’invio della comunicazione entro i 15 giorni

Categorie: DLP Insights, Pubblicazioni, News, Pubblicazioni | Tag: licenziamenti, Contenzioso del lavoro

25 Giu 2024

Massima 

Il termine ultimo – di giorni quindici dalla comunicazione dell’impugnativa di licenziamento – per la revoca del licenziamento (ai sensi dell’art. 18, comma 10, della l. n. 300 del 1970, introdotto dalla legge n. 92 del 2012) va individuato nel momento di invio della comunicazione al lavoratore e non in quello della sua acquisita conoscenza, perché l’atto di autotutela del datore costituisce esercizio di un diritto potestativo che produce in via immediata la modifica della sfera giuridica del destinatario.

Abstract 

Con la recente ordinanza n. 16630 del 14 giugno 2024, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che – affinché si producano gli effetti ripristinatori del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 18, comma 10, Stat. Lav. – è sufficiente che il datore di lavoro invii la comunicazione di revoca del licenziamento entro quindici giorni dall’intimazione del recesso, non essendo necessario che tale comunicazione venga ricevuta dal dipendente nel medesimo arco temporale.

La revoca del licenziamento: normativa e cenni giurisprudenziali

La disciplina della revoca del licenziamento ha subìto una radicale riforma a seguito delle modifiche introdotte dalla cd. Riforma Fornero, ossia dalla L. 28.6.2012, n. 92, entrata in vigore il 18.7.2012.

Prima dell’introduzione di tali disposizioni – che sono state, peraltro, riprese anche dal D.Lgs. 4.3.2015, n. 23, in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti – la revoca del licenziamento era soggetta ai principi generali di natura civilistica e poteva essere comunicata al dipendente in qualunque forma e in qualsivoglia momento, con effetti diversi a seconda del momento in cui la revoca veniva conosciuta dal lavoratore.

Ed infatti, il datore di lavoro poteva revocare il licenziamento prima che la comunicazione di recesso giungesse all’indirizzo del lavoratore: in questo caso, per applicazione del principio generale di cui all’articolo 1328, cod. civ., il licenziamento non avrebbe prodotto alcun effetto. È il caso, ad esempio, del datore di lavoro che comunica il licenziamento al dipendente a mezzo raccomandata e, prima che la lettera venga recapitata all’indirizzo del destinatario, il datore gli spedisce un telegramma o una raccomandata veloce contenente la revoca del licenziamento.

Diverso, invece, è il caso della revoca del recesso datoriale giunta nella sfera di conoscenza del dipendente dopo che gli era stata notificata – in forma scritta – la volontà del datore di risolvere il rapporto. In tal caso, considerato che lo scopo della revoca del licenziamento è quello di ripristinare il rapporto di lavoro, ormai estinto per effetto del licenziamento intimato, la giurisprudenza riteneva che la revoca fosse da considerare alla stregua di una nuova proposta contrattuale avente ad oggetto, per l’appunto, la ricostituzione del rapporto di lavoro e l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’interruzione del rapporto stesso. Per tale motivo la revoca necessitava dell’accettazione da parte del lavoratore.

La L. 92/2012 ha formalmente introdotto, per la prima volta, una disciplina speciale della revoca del licenziamento, derogando ai principi generali di diritto civile sopra richiamati, in base ai quali il licenziamento, essendo un atto unilaterale recettizio, una volta giunto a destinazione non è più revocabile senza l’accettazione da parte del lavoratore, e attribuendo al datore di lavoro un diritto potestativo di ripensamento, da esercitare entro un termine perentorio, con conseguente ricostituzione del rapporto senza possibilità per il lavoratore di opporsi.

Nello specifico, con l’articolo 1, comma 42, lettera b), L. 92/2012, è stato introdotto, nell’articolo 18, L. 300/1970, il comma 10, che dispone quanto segue: “Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo”.

La ratio di tale disciplina consiste “sia in un effetto deflattivo del contenzioso, sia nel consentire al datore di lavoro, oltre che nei casi di ripensamento sostanziale della propria decisione, di ritirare facilmente licenziamenti che presentino vizi formali o di procedura, evitando così di incorrere nelle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 18 della legge 300/1970” (Trib. Monza, 29 gennaio 2014. Negli stessi termini: Cass. Civ., Sez. lav., 21 maggio 2018, n. 12448).

Conseguentemente, con la revoca disposta dal datore entro il termine perentorio di 15 giorni dall’impugnazione del licenziamento, il lavoratore ha diritto alla sola ricostituzione del rapporto di lavoro con efficacia retroattiva alla data del recesso, e alla rimozione del danno subìto consistente nella perdita della retribuzione che avrebbe nel frattempo maturato dalla data del recesso sino a quella dell’intervenuta revoca del licenziamento, rimanendo espressamente esclusa l’applicazione dei regimi sanzionatori previsti per il recesso illegittimo dall’articolo 18, L. 300/1970.

Occorre precisare che la giurisprudenza ha, invece, escluso la ricostituzione automatica del rapporto di lavoro nel caso in cui la revoca del licenziamento, effettuata entro il termine di 15 giorni dall’impugnazione, contenga anche diverse condizioni contrattuali, come ad esempio un mutamento della sede di lavoro, poiché non si è in presenza di una semplice revoca, ma di una nuova proposta contrattuale per la quale occorre il consenso del lavoratore (Tribunale Vigevano, 25 marzo 2013).

La revoca del licenziamento è, dunque, oggi, un negozio tipico e nominato, espressione di un diritto potestativo attribuito al datore di lavoro, diritto il cui esercizio determina la ricostituzione ex tunc del rapporto.

Il testo dell’art. 18 comma 10 è quasi del tutto identico a quello dell’art. 5 del D.Lgs. 23/2015 (relativo ai dipendenti soggetti alla disciplina del c.d. Jobs Act), rinvenendosi, quale unica differenza, il rinvio a diversi sistemi sanzionatori del recesso.

Il fatto affrontato

Con lettera del 17 gennaio 2018, una dipendente veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice impugnava il recesso con comunicazione trasmessa alla società a mezzo pec il 13 febbraio 2018, ricevuta dal datore di lavoro in pari data.

Il successivo 1° marzo la dipendente riceveva un telegramma, inviatole dalla società il 28 febbraio, avente ad oggetto la revoca del licenziamento e contenente l’invito a riprendere servizio.

La dipendente contestava la tardività della revoca e non adempiva all’invito del datore di lavoro.

A causa dell’assenza ingiustificata della lavoratrice protrattasi per oltre tre giorni, la società le intimava il recesso per giusta causa.

La dipendente agiva in giudizio eccependo la tardività della revoca del primo licenziamento, in quanto la relativa comunicazione era stata da lei ricevuta oltre il termine di 15 giorni decorrente dell’impugnazione del recesso.

Il tribunale nonché la corte d’appello, nel rigettare le domande della ricorrente, precisavano che la revoca del primo licenziamento era da considerarsi tempestiva, in quanto non si era verificata alcuna decadenza, dovendosi applicare – in tema di revoca del recesso – il principio di scissione degli effetti dell’atto inviato e ricevuto.

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – ha rilevato, preliminarmente, che l’istituto della revoca del licenziamento, introdotto della L. 92/2012 e disciplinato dall’articolo 18, comma 10, Stat. Lav., è un diritto potestativo del datore di lavoro cui soggiace il lavoratore.

Secondo i Giudici di legittimità, trattasi di una sorta di autotutela, esercitabile dal datore di lavoro, che determina il ripristino del rapporto senza soluzione di continuità e senza che sia necessario il concorso di una analoga manifestazione di volontà da parte del dipendente.

Unica condizione necessaria stabilita dalla norma è che detta revoca sia effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro della impugnazione del licenziamento.

Partendo, dunque, dall’analisi del testo letterale della norma – che àncora il dies a quo alla comunicazione dell’impugnativa di licenziamento e il dies ad quem all’effettuazione della revoca – i giudici di legittimità hanno statuito che, l’assenza di un espresso riferimento alla comunicazione all’interessato, “induce a ritenere sufficiente il mero invio della revoca al lavoratore nel termine prescritto e non anche la ricezione da parte dello stesso nel medesimo termine”.

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