Come noto, nel nostro ordinamento vige il principio generale dell’irriducibilità della retribuzione secondo cui il lavoratore ha diritto a percepire la retribuzione che ha pattuito con il datore di lavoro.
In merito, il Tribunale di Torino, con sentenza n. 440 del 18 febbraio 2015 aveva sancito che “Il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art. 2103c.c., implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore di lavoro e il prestatore di lavoro e ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto” e aveva precisato, inoltre, che “in caso di legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello “ius variandi”, la garanzia dell’irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, e cioè caratteristiche estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa e, come tali, suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinseche che ne risultavano compensate”.
Modifica peggiorativa della retribuzione ai sensi del co. 6, art. 2103 c.c.
In deroga al principio di irriducibilità della retribuzione, ai sensi del co. 6, art. 2103 Cod. Civ., le parti possono concordare modifiche anche peggiorative delle mansioni e dell’inquadramento, nonché della retribuzione, purché stipulate nell’ambito di accordi dinnanzi alle cosiddette sedi protette e nell’interesse del lavoratore:
- alla conservazione dell’occupazione;
- all’acquisizione di una diversa professionalità;
- al miglioramento delle condizioni di vita.
Quindi, la deroga al principio di irriducibilità della retribuzione, nell’ipotesi appena descritta, è legittima se soddisfa due requisiti: a) deve sussistere l’interesse del lavoratore, che può farsi assistere da un rappresentante d sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro; b) l’accordo deve essere stipulato in una delle sedi protette di cui al co. 4, art. 2113 Cod. Civ..
Modifica peggiorativa del fringe benefit
Ai sensi del co. 3, art. 2099 c.c., il lavoratore può essere retribuito in tutto o in parte anche con prestazioni in natura che possono consistere nell’erogazione e nell’utilizzo di beni o servizi di una determinata utilità in favore del lavoratore (es. auto aziendale). Si tratta dei cosiddetti “fringe benefit”.
Ora, soffermiamoci sul caso particolare dell’assegnazione dell’auto aziendale ad uso promiscuo, quindi sia privato che lavorativo, per cui la giurisprudenza ormai consolidata ha riconosciuto il diritto dei lavoratori a mantenere il livello retributivo conseguito attraverso il beneficio dell’uso promiscuo dell’auto. Diventa necessario, a tal fine, stabilire il controvalore in denaro del fringe benefit.
In assenza di criteri certi, la determinazione del controvalore in denaro dell’utilizzo dell’auto si determina in conformità̀ con la previsione del co. 4, art. 51 Testo Unico delle Imposte sui Redditi – DPR 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni “TUIR” secondo cui, nella nuova formulazione: […] “a) per gli autoveicoli indicati nell’articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, i motocicli e i ciclomotori di nuova immatricolazione, con valori di emissione di anidride carbonica non superiori a grammi 60 per chilometro (g/km di CO2), concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a decorrere dal 1° luglio 2020, si assume il 25 per cento dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali che l’Automobile club d’Italia deve elaborare entro il 30 novembre di ciascun anno e comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze, che provvede alla pubblicazione entro il 31 dicembre, con effetto dal periodo d’imposta successivo, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente. La predetta percentuale è elevata al 30 per cento per i veicoli con valori di emissione di anidride carbonica superiori a 60 g/km ma non a 160 g/km. Qualora i valori di emissione dei suindicati veicoli siano superiori a 160 g/km ma non a 190 g/km, la predetta percentuale è elevata al 40 per cento per l’anno 2020 e al 50 per cento a decorrere dall’anno 2021. Per i veicoli con valori di emissione di anidride carbonica superiori a 190 g/km, la predetta percentuale è pari al 50 per cento per l’anno 2020 e al 60 per cento a decorrere dall’anno 2021“ […].
Determinare il controvalore del fringe benefit risulta essenziale nell’ipotesi in cui si debba ristabilire l’equilibrio retributivo qualora il datore di lavoro abbia proceduto con una revoca unilaterale e immotivata del fringe benefit.
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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.