La Corte di cassazione, con ordinanza n. 30478 del 28 ottobre 2021, ha stabilito che il datore di lavoro non è obbligato ad allertare il dipendente inabile al lavoro circa l’imminente raggiungimento del periodo massimo di conservazione del rapporto, né a suggerirgli strumenti alternativi all’assenza per malattia (ferie, aspettativa).
I fatti di causa
Il caso di specie trae origine dall’impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto da parte di un lavoratore secondo il quale la società datrice di lavoro avrebbe dovuto avvisarlo in merito all’imminente scadenza del comporto.
Il Tribunale adito dal lavoratore dichiarava illegittimo il licenziamento mentre la Corte d’Appello riformava la pronuncia di primo grado. Il lavoratore soccombente adiva così la Corte di Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nel confermare definitivamente la legittimità del licenziamento, ha osservato che in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, l’impresa non ha l’onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia al fine di permettere al lavoratore di esercitare eventualmente la facoltà di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa.
Secondo la Corte di Cassazione, il licenziamento in esame è motivato dall’oggettiva prolungata assenza per malattia, superiore alla durata massima di cui al CCNL di settore e, quindi, dall’impossibilità di rendere la prestazione lavorativa. Detto licenziamento non ha natura disciplinare e, pertanto, non è necessaria la preventiva contestazione delle assenze. Il datore di lavoro non è, dunque, tenuto a fornire al dipendente l’elenco delle assenze all’atto del licenziamento ma solo se richiesto dopo il licenziamento.
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