La Corte di Cassazione, con sentenza n. 31150 del 21 ottobre 2022, uniformandosi ai principi statuiti dalla giurisprudenza di legittimità, ha precisato che non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare ai fini della validità del licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente per aver eseguito, durante l’orario di lavoro, attività personali, allontanandosi dalla propria postazione di lavoro senza permesso e usando attrezzature aziendali per le quali non era stato previamente addestrato. Ciò in quanto la condotta contestata ha ad oggetto la violazione di norme di legge e, comunque, di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione
Al riguardo, prima di esaminare nel dettaglio la sentenza in commento, appare utile soffermarsi brevemente sulle disposizioni normative applicabili al caso di cui si discute e analizzare il panorama giurisprudenziale di riferimento.
L’affissione del codice disciplinare: normativa e giurisprudenza
Come noto, l’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) rappresenta la norma cardine delle garanzie sostanziali e procedimentali a tutela del lavoratore nell’ambito dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
La norma pone in capo al datore l’onere di predisporre un codice disciplinare contenente le diverse tipologie di infrazione, le relative sanzioni, le procedure di contestazione, tenuto conto degli accordi e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, se esistenti e applicati.
Come espressamente disposto dalla norma statutaria sopra richiamata, il codice disciplinare deve essere affisso in un luogo accessibile a tutti i dipendenti. Se l’impresa è articolata in più unità produttive, l’affissione deve essere effettuata in ciascuna sede, stabilimento e reparto autonomo e altrettanto deve avvenire qualora l’impresa operi presso terzi, utilizzando locali di altri per tenervi materiali o persone.
Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che è idoneo qualunque luogo dell’impresa nel quale l’accesso sia libero e comodo e per il quale non si richiedano permessi o autorizzazioni particolari (es. locali della direzione del personale o con accesso limitato da badge ecc.) (Cass. 3.10.2007, n. 20733).
Con riferimento all’ammissibilità e legittimità di altri mezzi equipollenti di diffusione della normativa disciplinare, la giurisprudenza maggioritaria si è espressa negativamente, precisando che l’onere di pubblicità incombente sul datore di lavoro non può essere assolto mediante modalità diverse dall’affissione, quali, ad esempio, la mera distribuzione a tutti i dipendenti del contratto collettivo e/o del regolamento aziendale contenenti il codice disciplinare (Cass. 28.2.2005, n. 5005).
Le ragioni sottese al principio di cui sopra sono state ben delineate dalle Sezioni Unite della Cassazione nella decisione n. 1208/1988, secondo cui: “Se è vero che il codice disciplinare aziendale è atto unilaterale ricettizio con funzione normativa,…e se la destinataria del codice è la stessa collettività indeterminata – anche perché continuamente variabile – dei lavoratori, ne consegue che in tanto esso produrrà effetti in quanto sia stato reso noto o conoscibile alla collettività cui è destinato; senza tale conoscibilità il codice disciplinare è improduttivo di effetti in quanto giuridicamente inesistente. Ne consegue che l’opzione del legislatore a favore dell’affissione, rispetto ad altri ipotizzabili mezzi di esteriorizzazione di carattere individuale (come ad es., la consegna ai dipendenti dell’intero testo contrattuale o di un estratto contenente le sole disposizioni in materia disciplinare), non è arbitraria, né meramente indicativa ma prescrittiva ed esclusiva, in quanto trova la sua ratio nella natura e nella funzione cui l’atto si riferisce“.
L’affissione preventiva e continuativa del codice disciplinare in un luogo accessibile a tutti i lavoratori è, fatto salvo quanto di seguito precisato, condizione necessaria per avviare legittimamente un procedimento di contestazione disciplinare. Da ciò consegue che l’affissione in un periodo di tempo successivo al fatto contestato rende illegittima la sanzione, a prescindere dall’eventuale conoscenza che il dipendente abbia comunque avuto riguardo ai comportamenti vietati (Cass. 3.5.1997, n. 3845; Cass. 18.5.1989, n. 2366; Trib. Torre Annunziata 27.7.2004).
La necessaria garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti non trova applicazione laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (Cass. 1.9.2015, n. 17366; Cass. 26.3.2014, n. 7105; Cass. 7.2.2011, n. 2970), ovvero a condotte contrarie al cd. minimo etico, essendo in tal caso la condotta addebitata immediatamente percepibile dal dipendente come illecita (Cass. 9 luglio 2021, n. 19588).
Del resto, la Suprema Corte, seguendo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha sostenuto, già dalla metà degli anni ’90, che “il principio di tassatività degli illeciti del prestatore di lavoro non può esser inteso nel senso rigoroso imposto nel diritto penale dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, dovendosi distinguere tra comportamenti illeciti attinenti all’organizzazione aziendale ed ai modi di produzione, i quali si riferiscono a norme per lo più ignote alla generalità e sono, perciò, conoscibili solo se espressamente previste, e quelli manifestamente contrari ai valori generalmente accettati, e perciò stessi illeciti anche penalmente, oppure palesemente in contrasto con l’interesse dell’impresa, per i quali non è necessaria la specifica inclusione nel codice disciplinare, siccome di per sé idonei a manifestare la “culpa lata”, corrispondente al “non intelligere quod omnes intellegunt” (Cass. 26.02.94, n. 1974).
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