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La Corte di Cassazione conferma il licenziamento del dipendente che fornisce informazioni false nei rapporti sulle attività lavorative espletate

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La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 26765 del 15 ottobre 2024, ha respinto il ricorso di un informatore scientifico del farmaco, licenziato dopo essere stato sorpreso dal datore di lavoro a mentire sulle visite effettuate ad alcuni medici indicate nel proprio resoconto mensile. 

Il caso  

La vicenda trae origine dal ricorso proposto da un informatore farmaceutico contro il licenziamento per giusta causa inflittogli dalla società datrice di lavoro. Il dipendente, infatti, era stato licenziato in tronco, ai sensi dell’art. 2119 c.c., per aver falsificato il rapporto mensile relativo alle visite effettuate presso i medici, riportando numeri di visite effettuate ben superiori a quelli effettivi.  

La Società farmaceutica aveva incaricato un investigatore privato per verificare la veridicità delle informazioni fornite del proprio dipendente: le indagini condotte avevano dimostrato che il dipendente aveva mentito, riportando attività non realmente svolte.  

Dalle indagini espletate, in particolare, era risultato che, per tre giorni consecutivi, l’informatore aveva visitato un numero di medici di gran lunga inferiore a quello rendicontato nel rapporto mensile inviato alla società datrice di lavoro e dichiarato di essersi recato in località che non aveva effettivamente visitato. Persino gli orari di visita indicati dal dipendente risultavano non veritieri in quanto, nei medesimi orari, dalle indagini era emerso che il lavoratore era impegnato in attività personali e ricreative. 

Gli esiti del giudizio di merito 

Il Tribunale e la Corte d’Appello di Catanzaro avevano confermato il licenziamento, ritenendo comprovata la lesione irrimediabile del rapporto fiduciario tra il dipendente e la società.  

In particolare, i giudici di merito avevano valutato “grave” la condotta del dipendente, anche in considerazione del fatto che proprio la rendicontazione mensile presentata dal lavoratore era l’unico mezzo a disposizione del datore di lavoro per monitorare la sua attività da informatore scientifico, dal momento che lo stesso godeva di ampia autonomia di movimento e organizzazione. 

Inoltre, era stato evidenziato che tale documentazione era anche necessaria per l’adempimento degli obblighi comunicativi dell’azienda nei confronti dell’Autorità di settore, AIFA. Conseguenzialmente, a causa delle informazioni non veritiere riportate dal dipendente, anche la società farmaceutica si era trovata, incolpevolmente, a riportare dati non corretti all’AIFA sul numero dei sanitari visitati e il numero medio delle interviste effettuate dai propri informatori scientifici. 

Il ricorso del lavoratore e la decisione della Corte di Cassazione 

Il lavoratore, ritenendo sproporzionato il licenziamento, ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che la sua condotta non poteva giustificare un licenziamento, trattandosi al più di una mera “alterazione di cartellino o badge”, punita dal CCNL Chimici Farmaceutici con una sanzione conservativa. 

La Cassazione invece ha avallato la decisione della Corte d’Appello, sostenendo che la condotta del lavoratore integrava non una alterazione di badge, ma una più grave falsificazione di un rapporto informativo sull’attività lavorativa in concreto prestata presso i singoli medici e nelle singole località, punibile con il licenziamento in tronco ai sensi del CCNL. 

In conclusione, la Corte ha respinto il ricorso del lavoratore condannandolo alla rifusione delle spese di giudizio. 

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