La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7221 del 15 marzo 2021, ha ribadito il principio di diritto secondo cui il contratto integrativo aziendale, così come il diritto riconosciuto al dipendente dall’uso aziendale, non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda.
I fatti di causa
Un lavoratore, assunto da una società, passava presso un’altra società tramite una cessione di contratto e infine, per effetto di un trasferimento d’azienda, presso un nuovo datore di lavoro (Società cessionaria).
Le prime due società avevano riconosciuto ai propri dipendenti, per il compimento del trentesimo anno di anzianità aziendale, un orologio d’oro che, tuttavia, non veniva corrisposto dalla Società cessionaria al lavoratore in questione.
Pertanto, il dipendente agiva in giudizio per chiedere il riconoscimento della somma di € 2.500,00 (pari al valore di acquisto dell’orologio d’oro) oltre rivalutazione ed interessi, nonché dell’ulteriore somma di € 1.272,75, oltre rivalutazioni di legge, per l’accantonamento ai fini di T.f.r. (per inclusione in esso di quanto corrispostogli per premio di anzianità, di compenso per festività cadenti la domenica, permessi individuali non fruiti e lavoro straordinario).
Il Tribunale accoglieva il ricorso del lavoratore, condannando la Società cessionaria al pagamento di quanto dallo stesso richiesto. Quest’ultima ricorreva in appello avverso la sentenza di primo grado.
La Corte di merito, investita della sola impugnazione della condanna al pagamento, nel rigettare il ricorso ribadiva che la prassi aziendale di consegna dell’orologio ai dipendenti al compimento del trentesimo anno di anzianità di servizio, era stata mantenuta presso la Società cessionaria.
Secondo la Corte, sebbene detta prassi – poiché fonte eteronoma del contratto individuale e non sua clausola integrativa eventualmente più favorevole – non si conservi nel trasferimento d’azienda, per effetto della sostituzione della contrattazione collettiva applicata dal cessionario (anche se più sfavorevole) era stata riconosciuta anche dalla Società cessionaria con accordo integrativo aziendale.
La Società Cessionaria agiva, dunque, in Cassazione, lamentando l’erronea interpretazione dell’accordo integrativo da parte della Corte territoriale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione adita ha ribadito in primo luogo il principio di diritto secondo cui, nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, si applica la contrattazione integrativa aziendale del cessionario e non già della società cedente. Anche il diritto riconosciuto dall’uso aziendale – parificabile al contratto integrativo sul piano dell’efficacia nei rapporti individuali, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, sostitutivo delle clausole contrattuali e collettive in vigore – non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda (anche se quella applicata dall’impresa cessionaria sia più sfavorevole), sicché non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di una propria contrattazione integrativa.
In secondo luogo, la Corte ribadisce il principio generale secondo cui il contrasto fra contratti collettivi, come è anche il contratto aziendale, va risolto sulla base della effettiva volontà delle parti operanti in area più vicina agli interessi disciplinati, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante. Pertanto, i contratti territoriali possono, sulla base del principio dell’autonomia negoziale ex art. 1322 cod. civ., prorogare l’efficacia dei contratti nazionali e derogarli, anche in peius, fatta salva la salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori. Tali diritti non possono ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa di eguale o diverso livello.
Alla luce di tutto quanto sopra, a parere della Corte di Cassazione, il lavoratore ha maturato il diritto all’equivalente pecuniario dell’orologio, quale premio di anzianità e fedeltà, per effetto della prassi già in uso presso la società cedente e dell’accordo integrativo aziendale (successivo) cui andava riconosciuto valore ricognitivo della prassi aziendale preesistente.
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