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Tribunale di Torino: il diritto alla Naspi nell’ipotesi di dimissioni rassegnate a causa del trasferimento

Categorie: DLP Insights, Giurisprudenza | Tag: dimissioni, NASPI, trasferimento

31 Lug 2023

Con sentenza n. 429 del 27 aprile 2023 il Tribunale di Torino ha stabilito che le dimissioni per giusta causa che danno diritto all’indennità di disoccupazione “Naspi” non obbligano il lavoratore a provare che il trasferimento fosse ingiustificato qualora la nuova sede di lavoro sia distante più di 50 km dalla residenza.

I fatti di causa

I fatti di causa traggono origine dalle dimissioni per giusta causa rassegnate dalla lavoratrice a fronte del trasferimento della sede di lavoro da Torino a Trieste. In particolare, le dimissioni erano dipese, così come indicato nella comunicazione di dimissioni, dal rifiuto a “trasferirsi in altra sede distante oltre 80 km dalla residenza”.

La richiesta di accedere alla Naspi a seguito delle dimissioni conseguenti al trasferimento è stata rigettata dall’INPS. L’istituto richiamando il messaggio n. 369/2018 ha rilevato che, in tale ipotesi, per poter accedere all’indennità Napsi il lavoratore deve provare la giusta causa delle dimissioni e, quindi, che il trasferimento non sia sorretto da ragioni tecniche, organizzative e produttive.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Torino nell’accogliere il ricorso della lavoratrice ha disatteso la prassi dell’INPS anche alla luce della normativa di riferimento, ovverosia al D.Lgs. n. 22/2015.

Ad avviso del Tribunale, infatti, il requisito fondamentale per l’accesso al trattamento Naspi (oltre a quello lavorativo e contributivo) è la perdita involontaria dell’occupazione. Secondo i giudici, al fine di valutare se il lavoratore abbia “perduto involontariamente l’occupazione” occorre verificare se la scelta di dimettersi sia frutto di una decisione spontanea e volontaria del lavoratore oppure indotta da notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento ad altra sede imposto dal datore di lavoro.

Ad avviso dell’INPS tale requisito si considera soddisfatto nell’ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro conseguenti al rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico. Mentre, in presenza di dimissioni che il lavoratore asserisce avvenute per giusta causa a seguito di trasferimento ad altra sede dell’azienda è ammesso l’accesso alla prestazione Naspi a condizione che il trasferimento non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art.2103 c.c.. Pertanto, in caso di dimissioni il lavoratore potrà accedere alla Naspi solo se correda la relativa domanda con documentazione (quale la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli articoli 38 e 47 del D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di difendersi in giudizio nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., nonché ogni altro documento idoneo) impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale.

Sulla base di quanto sopra, quindi, il giudice di merito ha rilevato che lo stesso ente, nel garantire il trattamento Naspi nell’ipotesi di risoluzione consensuale, implicitamente conferma che il trasferimento ad altra sede distante 50 km dalla sede abituale o raggiungibile in 80 minuti con mezzi pubblici comporta una notevole variazione delle condizioni di lavoro.

Pertanto, la decisione del lavoratore di dimettersi dopo aver subito un trasferimento di tale natura, a prescindere dalla legittimità o meno della scelta organizzativa datoriale, deve ritenersi una scelta involontaria del dipendente che ha determinato la decisione di dimettersi e, pertanto, comportato una “perdita involontaria” dell’occupazione.

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