Lo smart working, oltre ad essere uno degli antidoti per contrastare la pandemia, è un valido strumento per incrementare la produttività e migliorare il work life balance. Penso che non assisteremo a un tramonto della modalità lavorativa agile, già divenuta in molte aziende una scelta strutturale, grazie ai suoi vantaggi e resa possibile anche dalla rivoluzione digitale in corso». È l’opinione dell’avvocato Vittorio De Luca, managing partner di De Luca & Partners. «Sin dall’inizio dell’emergenza ho ritenuto che il lavoro agile, sia pure semplificato, dovesse essere accompagnato da una apposita regolamentazione aziendale, poiché coinvolge in modo trasversale diversi istituti normativi, non solo giuslavoristici, quali l’orario di lavoro, il trattamento dei dati, la disconnessione, ma anche profili di cyber security e di sicurezza delle informazioni aziendali».
Quindi le aziende dovrebbero introdurre un’apposita regolamentazione prima della fine dello stato di emergenza? «Certo, per non farsi trovare impreparate all’indomani della fine dello smart working semplificato, è necessario che il datore di lavoro, nell’accordo individuale o in un apposito regolamento aziendale, individui le regole di condotta cui i lavoratori agili devono uniformarsi, così da garantire continuità al ricorso al lavoro agile e limitare il rischio di essere esposti alle pesanti sanzioni».
È necessario introdurre policy che regolamentino il trattamento dei dati personali? «È indubbio che il lavoro agile comporta implicazioni dal punto di vista privacy: lo smart worker può svolgere la prestazione non solo al di fuori dei locali aziendali ma anche al di fuori dell’ambiente domestico. È opportuno che il datore di lavoro una volta individuati i rischi esistenti e potenziali connessi alla tutela dei dati, adotti procedure che regolamentino lo svolgimento dell’attività da remoto anche introducendo strumenti per misurare i risultati, preservando, al contempo, le forme di esercizio del potere datoriale e la sicurezza informatica».