Articolo scritto da Alberto De Luca e Federica Parente
SOMMARIO: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La questione – 4. La soluzione giuridica – 5. Osservazioni
Massime
Ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d), della L. n. 183/2010, in caso di somministrazione irregolare, l’accertamento della titolarità di un rapporto di lavoro in capo all’impresa utilizzatrice deve essere fatto valere nel rispetto dei termini di decadenza previsti dall’art. 6 della L. n. 604/1966 anche nel caso in cui il contratto risulti già cessato alla data di entrata in vigore dei nuovi termini di decadenza previsti dalla norma, dovendosi comunque escludere che in questo caso possa parlarsi di applicazione retroattiva della stessa, essendo i predetti termini decorrenti, per i contratti già cessati, dalla sua data di entrata in vigore.
Con riferimento ai contratti che erano ancora in essere alla data di entrata in vigore della norma in questione, deve escludersi che il termine di decadenza di 60 giorni, previsto per l’impugnazione, sia riferito alla sola ipotesi di comunicazione di recesso, dovendosi applicare anche al caso di cessazione del rapporto di somministrazione per scadenza del termine.
Il caso
Un lavoratore, che aveva prestato la propria attività lavorativa in regime di somministrazione, in forza di contratti stipulati tra il 2008 e il 2010, conveniva in giudizio la società utilizzatrice per chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente in capo a quest’ultima.
Il Tribunale di Brescia, rilevato che l’impugnazione dei contratti aveva avuto luogo solo nel maggio 2012, rigettava la domanda del lavoratore rilevando l’intervenuta decadenza ex art. 32, comma 4, lett. d), L. n. 183/2010.La Corte d’Appello di Brescia confermava la decisione del giudice di primo grado ritenendo a sua volta applicabile il termine decadenziale, anche ai contratti conclusi prima della data di entrata in vigore della normativa in materia.
Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi di impugnazione. Con il primo motivo, il lavoratore censurava la sentenza della Corte territoriale per avere statuito che il termine di impugnazione di 60 giorni – previsto dall’art. 6, comma 1, L. n. 604/1966, come novellato dall’art. 32, comma 1, L. n. 183/2010 – decorresse dalla scadenza del contratto medesimo dovendo trovare applicazione nella sola ipotesi di recesso unilaterale dal rapporto, non intervenuto nel caso di specie. Con il secondo motivo di impugnazione, il lavoratore censurava la sentenza della Corte d’Appello per aver statuito l’applicabilità del regime decadenziale in parola anche ai contratti di somministrazione stipulati e cessati prima dell’entrata in vigore del predetto regime, come differita dal c.d. decreto Milleproroghe al 31 dicembre 2011.
Le questioni
Il quesito sollevato dalla fattispecie in esame, è, da un lato, se i nuovi termini di impugnazione, come previsti dall’art. 6, L. n. 604/1966, trovino applicazione anche ai contratti di somministrazione a tempo indeterminato tout court nel caso in cui non ricorra un recesso formale e, dall’altro, se essi debbano applicarsi anche ai contratti di somministrazione già cessati alla data di entrata in vigore della L. n. 183/2010.
Le soluzione giuridiche
La S.C. ha rigettato entrambi i motivi di impugnazione formulati con il ricorso presentato dal lavoratore sulla base delle argomentazioni già espresse con sentenza gemella dell’8 febbraio 2016, n. 2420.
Per esigenze di logica espositiva, la S.C. ha ritenuto di esaminare, dapprima, il secondo motivo di impugnazione formulato dal lavoratore, concludendo che i termini di impugnazione di cui all’art. 6 della L. n. 604/1966, come modificato dall’art. 32 L. n. 183/2010 (comma 1) ed estesi da tale ultima norma (comma 4, lett. d) alle ipotesi di richiesta di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, trovano applicazione anche in relazione ai rapporti di somministrazione già cessati alla data di entrata in vigore del relativo regime decadenziale.
A sostegno di tale principio, la S.C. riporta tre argomentazioni. Preliminarmente, la S.C. statuisce che non giova all’interpretazione suggerita dal lavoratore il richiamo alla sentenza della Corte Cost. n. 155/2014 nella parte in cui afferma che “L’applicazione retroattiva del più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi prima della entrata in vigore della legge n. 183 del 2010, lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per le altre ipotesi disciplinate dalla norma, non si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza”. Quanto precede, in considerazione del fatto che la pronuncia del Giudice delle Leggi “non prende autonoma posizione sulla correttezza dell’interpretazione proposta dall’ordinanza di rimessione (la cui individuazione è, infatti, compito del giudice della nomofilachia, vale a dire della Corte Suprema), ma si limita ad effettuare lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma come interpretata dall’ordinanza del giudice remittente, che ipotizzava un’irragionevole disparità di trattamento fra l’ipotesi del contratto a termine – di cui alla lett. b) del cit. art. 32 co. 4° legge n. 183/10 – e le altre disciplinate dallo stesso articolo”.
Secondariamente, la S.C. rileva che l’incipit del comma 1 bis dell’art. 32, L. n. 183/2010, introdotto dal c.d. decreto Milleproroghe (D.L. n. 225/2010 conv. con modif. in L. n. 10/2011), facendo riferimento a una “prima applicazione” della norma, “oggettivamente evoca un meccanismo di nuovo conio per il quale è stato assicurato un adeguato arco temporale affinché i lavoratori e i loro difensori potessero adeguarsi alla nuova più rigorosa disciplina, che espone il dipendente licenziato all’onere di ben due diversi termini di decadenza. Ciò non sarebbe stato necessario se tale nuovo meccanismo non fosse stato applicabile anche ai contratti cessati prima dell’entrata in vigore dell’art. 32 cit.”.
Infine, la S.C. precisa che l’assoggettamento al regime decadenziale dei contratti di somministrazione stipulati prima dell’entrata in vigore dell’art. 32 L. n. 183/2010, non comporta alcuna retroattività, propriamente detta, della norma “ma soltanto l’assoggettamento d’un diritto, già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio”. In proposito, viene rammentato che “Non sussiste, invece, retroattività ove la nuova norma disciplini gli atti di un procedimento, anche se riguardanti eventi ed effetti sostanziali già compiuti e si tratti della sua applicazione agli atti da compiere, oppure – ed è questa l’ipotesi che qui viene in rilievo – quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normativa), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina”.
In merito al primo motivo di impugnazione, la S.C. ha dunque rilevato che il contratto di somministrazione cessa allo spirare del termine in esso indicato senza bisogno che il lavoratore riceva una comunicazione formale di cessazione. Tale assunto, secondo la S.C., nell’incertezza espositiva della norma, è incompatibile con la possibilità di far decorrere il termine di decadenza di cui all’art. 6 della L. n. 604/1966 da una comunicazione che per legge non è necessaria: “il presupposto è dato da un contratto di somministrazione a tempo determinato che, come tutti i contratti con predeterminazione con una data scadenza, cessa allo spirare del termine senza bisogno di comunicare il recesso alcuno. Non si vede, quindi, come si possa far decorrere il termine di decadenza di cui all’art. 6 legge n. 604/66 da una comunicazione che per legge non è necessaria, non rispondendo al vero (contrariamente a quanto si legge nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata da parte ricorrente) che l’art. 32 co. 4, lett. d) legge n. 183/10, abbia previsto in capo all’utilizzatore della prestazione lavorativa l’onere di comunicare la scadenza del rapporto, con la conseguenza che – in mancanza – il lavoratore avrebbe il diritto di impugnare sine die la somministrazione irregolare: in realtà tale norma si limita a prevedere l’applicabilità anche all’ipotesi della somministrazione irregolare, dell’art. 6 legge n. 604/66 (come modificato dal co. 1 dello stesso art. 32), che a sua volta non chiarisce espressamente (di qui la controversia in esame) se l’onere in discorso sussiste anche in riguardo a rapporti cessati in forza non d’un atto di recesso, ma dalla scadenza del termine originariamente pattuito. Né il potenziale rinnovo per un numero indefinito di volte del contratto di somministrazione (a differenza di quanto previsto per i contratti a termine dell’art. 5 d.lgs. n. 368/01) autorizza di per sé il lavoratore a nutrire un giustificato affidamento a riguardo, tale da far ritenere indispensabile una formale contraria comunicazione da parte del somministratore”.
Infine, la S.C. esclude la possibilità di invocare il contenuto della risposta all’Interpello n. 12/2014 del Ministero del Lavoro che, oltre a non rappresentare una fonte vincolante per i giudici, si riferisce ai licenziamenti nulli perché intimati in forma orale.
Osservazioni
I dubbi interpretativi che la S.C. ha affrontato con la sentenza in commento, traggono origine dal tenore letterale dell’art. 32 comma 4, lett. d) della L. n. 183/10, che si limita a prevedere l’applicabilità, anche alla somministrazione irregolare, dell’art. 6 L. n. 604/66, senza chiarire espressamente:
•se l’onere di impugnazione sussista anche riguardo a rapporti già cessati alla data di entrata in vigore dell’art. 32, L. n. 183/2010;
•se, in ogni caso, tale onere presupponga un formale atto di recesso del rapporto.
Quanto al primo punto, con l’implicito ricorso alla nozione della c.d. retroattività impropria, la S.C. ribalta il suo recente orientamento, espresso nel 2015, in forza del quale, in assenza di una previsione analoga a quella dettata per i contratti a termine, il regime della decadenza di cui al novellato art. 6, L. n. 604/1966 si applica ai soli contratti a termine in somministrazione in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 183/2010 (24 novembre 2010), e non anche a quelli già scaduti a tale data (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21916, in Giust. civ., Massimario 2015).
Il contrasto sorto a livello di giurisprudenza di legittimità, del resto, rispecchia quello in corso tra i giudici di merito. Infatti, secondo un primo orientamento, basato sostanzialmente sulle argomentazioni rese dalla S.C. con la pronuncia del 2015, l’applicazione del regime decadenziale deve essere limitata solo ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della nuova normativa (Trib. Pisa 4 dicembre 2012 in D&L Riv. crit. dir. lav., 2013, 1-2, 55; Trib. Milano 5 giugno 2013, in D&L Riv. crit. dir. lav. 2013, 1-2, 55, Trib. Firenze, 7 gennaio 2016).
Secondo un ulteriore orientamento giurisprudenziale, invece, prevalentemente sulla base di una interpretazione di ordine sistematico, ad avviso degli scriventi in linea con la ratio della norma, il regime decadenziale dovrebbe trovare applicazione anche in relazione ai contratti di somministrazione a termine già cessati alla data di entrata in vigore dell’art. 32, L. n. 183/2010 con dies a quo coincidente con quest’ultima data (Trib. Milano 24 aprile 2013; Trib. Milano 31 maggio 2013; Trib. Milano 26 luglio 2013; Trib. Milano 18 ottobre 2013; App. Campobasso 17 settembre 2014; App. Milano 7 novembre 2014; Trib. Torino 23 luglio 2015).
Tale orientamento, che risulta maggioritario, ancorché sulla base di argomentazioni diverse da quelle esposte con la sentenza in commento, giunge a riconoscere l’applicazione estensiva del nuovo regime decadenziale.
Il contrasto giurisprudenziale presente in materia fa certamente auspicare un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite della S.C. In merito al dies a quo del termine di impugnazione, la S.C. fornisce una motivazione lineare per la quale deve escludersi che il regime decadenziale sia collegato alla presenza di una comunicazione di cessazione del rapporto, sicché, in assenza della predetta comunicazione, il lavoratore avrebbe diritto ad impugnare sine die. La pronuncia consente di prendere le distanze sia da alcune sentenze di merito di segno contrario (Trib. Lodi 23 ottobre 2013), sia da quella che era stata l’interpretazione ministeriale con risposta all’Interpello n. 12/2014.
Del resto, sul punto e a suffragio dell’interpretazione che risulta più coerente con lo spirito della norma, è anche intervenuto il Legislatore, con l’art. 39 del D.Lgs. n. 81/2015, chiarendo definitivamente che il termine di impugnazione stragiudiziale dei 60 giorni decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore.
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