Con la circolare n. 217 del 2016 l’Inps ha confermato che dal 1° gennaio 2017 l’istituto della mobilità ordinaria cesserà di esistere, così come stabilito dall’art. 2, comma 71, della cosiddetta legge Fornero che ha introdotto, in tema di ammortizzatori sociali, una tutela universale contro gli eventi che provocano la disoccupazione involontaria, abolendo contestualmente liste di mobilità, indennità di mobilità e il cosiddetto collocamento in mobilità.
In conformità a quanto previsto dalla riforma del 2012, nei primi giorni del prossimo anno l’Istituto nazionale della previdenza sociale provvederà, dunque, alla cancellazione dei lavoratori dalle liste di mobilità.
Come è noto, già con la circolare n. 2 del 7 gennaio 2013, l’Inps aveva chiarito che “i lavoratori licenziati a far data dal 31 dicembre 2016 non potranno più essere collocati in mobilità ordinaria, in quanto l’scrizione nelle liste decorre dall’1 gennaio 2017, giorno successivo alla data di licenziamento”. Ciò significa che gli ultimi lavoratori che potranno beneficiare dell’indennità e delle liste di mobilità sono coloro che saranno licenziati al più tardi entro il 30 dicembre prossimo venturo, a prescindere dalla data in cui la relativa procedura di mobilità ordinaria è stata avviata ed esperita.
Occorre al riguardo considerare che la legge 223 del 1991 prevede che i licenziamenti siano effettuati entro centoventi giorni dalla conclusione della procedura di mobilità, salvo che, in conformità a quanto previsto dall’art. 8 della Legge 236/1993, azienda e organizzazioni sindacali non abbiano previsto con accordo sindacale un periodo più lungo per la effettuazione dei licenziamenti.
E’ appena il caso di segnalare che per i lavoratori licenziati entro il 30 dicembre l’indennità di mobilità spetterà a condizione che abbiano maturato una anzianità di servizio di almeno 12 mesi, di cui 6 di lavoro effettivo.
La prospettiva si presenta completamente diversa con il nuovo anno. La circolare in esame, confermando quanto previsto dal decreto legislativo 185 del 2016, cosiddetto “correttivo Jobs Act”, infatti, concede piena centralità alla mobilità in deroga, nuova protagonista dei sistemi di ammortizzazione sociale. Tal ultima prestazione, come precisato dall’Inps, “è sostanzialmente un’estensione ad una platea di beneficiari più ampia della modalità ordinaria, dalla quale mutua diversi aspetti della disciplina”.
In tal senso, l’introduzione del comma 6-bis all’art. 44 del decreto legislativo 24 settembre 2016 n. 185, cosiddetto correttivo Jobs Act, ha giocato un ruolo da protagonista. Le regioni e le province autonome potranno, infatti, disporre l’utilizzo delle di ben il 50% delle risorse complessive ad esse attribuite per prorogare gli effetti degli ammortizzatori in deroga. Viene in tal modo superato in modo consistente il precedente limite del 5%. La quota del 50%, precisa l’Inps nella sua circolare n. 217, potrà essere anche superata, purché gli oneri previsti in capo alle finanze regionali e le risorse assegnate alle regioni e alle province autonome siano ricompresi in appositi piani o programmi coerenti con la specifica destinazione, così come stabilito dall’art. 1, comma 253, della legge. 24 dicembre 2012 n. 228 (Legge di Stabilità 2013).
Quindi per i lavoratori licenziati dal 31 dicembre 2016 l’indennità di mobilità ordinaria cesserà d’esistere. Al suo posto la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI). Quest’ultima, si ricordi, è prevista per tutti i lavoratori dipendenti, con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche amministrazioni e degli operai agricoli, che (i) siano neo-disoccupati involontari alla ricerca di un’occupazione, (ii) che abbiano versato almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti alla richiesta, (iii) e che abbiano lavorato 30 giorni (di effettivo lavoro) nei 12 mesi precedenti allo stato disoccupazione dichiarato.
Tutto ciò con profili di interesse per le società che decideranno di farsi carico dei lavoratori in regime NASPI. Quest’ultime, infatti, potranno beneficiare, per ogni mensilità che verrà corrisposta al dipendente, di un 20% di contributo mensile dell’indennità residua spettante al singolo.