La Corte di cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 24803 del 2016, torna ad affrontare la spinosa questione della possibilità, da parte dei giudici, di controllare l’effettiva esistenza delle ragioni attinenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro o il regolare funzionamento di essa, poste a base del licenziamento impugnato.
La vicenda al vaglio dei giudici di legittimità ha interessato in modo particolare la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, la quale ha pubblicato sul proprio sito, in data 19 dicembre 2016, un approfondimento della pronuncia della Corte, ripercorrendone i passaggi principali.
Nel caso di specie un lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in considerazione sia della sfavorevole situazione del servizio sanitario con conseguente chiusura del reparto di fisiokinesiterapia presso il quale era impiegato, sia per la drastica riduzione dei ricavi aziendali, circostanze comportanti la necessità di interventi riorganizzativi per una più economica gestione dell’impresa.
Nello specifico, entrambi i giudici di merito aditi in sede di impugnazione avevano ritenuto il licenziamento illegittimo, evidenziando come le prove fornite dal datore a sostegno del provvedimento espulsivo fossero in realtà insufficienti, dal momento che la chiusura del reparto di fisiokinesiterapia a seguito di sospensione delle prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale era stato in realtà un provvedimento temporaneo e contingente, essendo risultato poi di fatto revocato. Inoltre, il datore di lavoro non aveva fornito adeguata prova delle difficoltà economiche dedotte dal datore di lavoro, non essendo neppure emerso che il budget dell’anno fosse effettivamente inferiore a quello degli anni precedenti.
Avverso la sentenza, la Società proponeva ricorso per Cassazione, adducendo che la stessa avesse un effettivo interesse alla ristrutturazione del reparto cui operava il lavoratore licenziato e che comunque «non era lecito per i Giudici sindacare nel merito delle scelte organizzative dell’imprenditore».
La Corte di cassazione – confermando le pronunce dei giudici di merito – ha ritenuto illegittimo il licenziamento, facendo leva sulla genericità delle dichiarazioni rese dai testi in ordine alla stabile e non temporanea soppressione del reparto, nonché sulla non comprovata situazione di crisi economica da parte del datore di lavoro, fatto che rendeva pretestuosa la ragione posta a motivo del recesso.
I giudici di legittimità, richiamando un orientamento costante della giurisprudenza (da ultimo la decisione della Cassazione n. 13678/2015), hanno in particolare affermato che le ragioni poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono essere provate e provabili, sicché compete al Giudice verificare che il motivo addotto dal datore di lavoro per giustificare il recesso sia effettivo.
Tale accertamento, osserva la Corte, non deve estendersi al sindacato da parte del Giudice quanto ai profili della congruità ed opportunità delle ragioni inerenti all’attività produttiva, in quanto scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, ma non preclude la verifica della concreta esistenza delle ragioni addotte per legittimate il recesso datoriale.
Come peraltro correttamente evidenziato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, la Cassazione, con la pronuncia in commento, ha dato conferma ai principi per cui il licenziamento per motivo oggettivo deve fondarsi su ragioni concrete, coerenti con il provvedimento di recesso, e che comunque siano suscettibili di adeguata prova da parte datoriale, dovendo i giudici solo accertarne l’effettività.