Con ordinanza 4404/2022 del 10 febbraio, la Cassazione torna a esprimersi circa i profili di legittimità del licenziamento (per giusta causa) intimato al lavoratore sul presupposto del grave inadempimento legato al rifiuto di assoggettarsi al trasferimento ad altra sede. Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha stabilito che, anche in ipotesi di trasferimento che violi l’articolo 2103 del codice civile, il lavoratore non è legittimato a non prestare la propria prestazione lavorativa quando il rifiuto violi il principio di buona fede.
L’ordinanza in commento trae origine da una complessa vicenda giudiziale instauratasi a seguito del licenziamento per giusta causa intimato da una nota compagnia telefonica a un suo dipendente che, a seguito di trasferimento motivato dalla soppressione dell’unità organizzativa di appartenenza, si era rifiutato di recarsi presso la nuova sede di lavoro.
Nel primo grado di giudizio, il Tribunale di Potenza aveva accolto le domande proposte dal lavoratore volte a impugnare il provvedimento datoriale di trasferimento nonché il successivo licenziamento, intimatogli per il rifiuto di raggiungere la nuova sede di lavoro.
Con sentenza 566 del 2011 la Corte d’appello di Potenza, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva invece ritenuto illegittimo il trasferimento e il conseguente licenziamento, con ordine al datore di lavoro di reintegrare il dipendente, sul presupposto che il datore di lavoro non si sarebbe comportato secondo buona fede e correttezza nella gestione delle conseguenze che erano derivate dalla soppressione della unità organizzativa di appartenenza, con conseguente legittimità del rifiuto del lavoratore di recarsi presso la nuova sede.
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