Troppe tutele e rigidità. Il Decreto Dignità è una legge insidiosa e di non semplice applicazione. Per l’avvocato Vittorio De Luca, Managing Partner dello Studio Legale De Luca & Partners, specializzato in diritto del lavoro, “ora più che mai, le aziende si trovano a dover prestare grande attenzione ai motivi che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e alla messa a punto della clausola relativa alla causale. Queste rappresentano infatti le principali insidie dovute alla nuova disciplina dei contratti a tempo determinato”. Il decreto infatti “non si limita a prevedere l’obbligo della causale per il ricorso al contratto a tempo determinato, ma richiede che il motivo sia dovuto a ‘incrementi temporanei, significativi e non programmabili’ dell’attività ordinaria. In caso di contenzioso, non è difficile prevedere che nella gran parte dei casi non sarà semplice per le aziende fornire la prova della sussistenza di tutti e 3 i requisiti richiesti”, spiega ancora l’avvocato. L’obbligo delle causali è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento nel 1962, con la legge 230, in un contesto economico completamente diverso rispetto quello di oggi. Soltanto nel 2014 era stato definitivamente abolito. Ora cambiano nuovamente le carte in tavola. Per il giuslavorista prima di capire se le novità introdotte aiuteranno a far decollare l’occupazione a tempo indeterminato “occorrerà attendere 12 o 18 mesi. Temo tuttavia che non vi sarà il travaso – auspicato dal governo – dai contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato. Se così dovesse essere, mi auguro che vi possa essere un ripensamento da parte del legislatore sulla efficacia della nuova disposizione” aggiunge De Luca.
“La causale potrebbe inoltre spingere le aziende a stipulare 3 contratti da 12 mesi con tre persone diverse, piuttosto che assumere assumere una sola persona per tre anni. Se così fosse, si ridurrebbero le chances per una stabilizzazione del rapporto.
Per disincentivare “l’utilizzo indiscriminato del contratto a termine”, come è nelle intenzioni del governo, sarebbe stato meglio pensare alla riduzione del cuneo fiscale e previdenziale del lavoro a tempo indeterminato.