Da una parte la congiuntura, con il ciclo di crescita che sta rallentando e il timore che molte aziende dovranno gettare la spugna nei mesi a venire. Dall’altra i cambiamenti strutturali che stanno intervenendo nella società e che comportano una crescente domanda di profili professionali difficili da reperire sul mercato, dato che la formazione evolve molto lentamente. Il lavoro continua a essere in cima all’agenda politica, con le ipotesi di riforma che si susseguono alla ricerca di un difficile equilibrio tra garanzia di retribuzione dignitosa per tutti e flessibilità necessaria a non soffocare le energie di mercato. I cambiamenti in atto non riguardano solo le dinamiche della domanda e dell’offerta e le scelte del legislatore, ma anche le pronunce giurisprudenziali, che in questo campo assumono da sempre un ruolo di rilievo. L’ultimo esempio di questo tipo risale a poche settimane fa, con la Corte Costituzionale che è intervenuta nuovamente sulla disciplina dei licenziamenti (sentenza n. 125/2022). “Prosegue lo smantellamento dell’opera riformatrice avviata dal legislatore nel 2012”, analizza Vittorio De Luca, managing partner dello Studio Legale De Luca & Partners, con riferimento alla legge Fornero prima e alle misure varate dal Governo Renzi poi. “Già in passato due sentenze hanno colpito il contratto a tutele crescenti, attuativo della riforma nota come Jobs Act, dichiarando l’illegittimità del meccanismo automatico di determinazione dell’indennità risarcitoria parametrato alla sola anzianità di servizio”. Inoltre, in merito all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla parte riguardante i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
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