Da una parte l’esigenza di salvaguardare la salute pubblica, a maggior ragione ora che una nuova ondata pandemica va prendendo piede, dall’altra il diritto alla riservatezza garantito dal sistema normativo comunitario e nazionale. È lo scenario nel quale si trovano a fare i conti molte aziende a fronte dell’obbligo per i lavoratori di possedere ed esibire il green pass. A partire da oggi il certificato si sdoppia, distinguendo, da un lato, il c.d. green pass “rafforzato” (ossia la certificazione che spetta solo a coloro che hanno concluso l’iter vaccinale e a coloro che sono guariti dal Covid-19) dall’altro il green pass “base” (che si ottiene a fronte di un tampone con esito negativo).
Il punto di partenza, ricorda Vittorio De Luca, Managing Partner dello Studio Legale De Luca & Partners, è l’articolo 32 della Costituzione, in virtù del quale “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tale disposizione deve essere letta congiuntamente all’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che sancisce il diritto alla riservatezza quale diritto fondamentale dell’individuo. “Dunque, il delicato bilanciamento tra diritti fondamentali effettuato dal nostro legislatore è legittimo nella misura in cui il compromesso individuato, cioè l’obbligo di esibizione della certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro introdotto per finalità di tutela della salute pubblica, è quello che comporta il minor sacrificio degli interessi concorrenti, vale a dire quelli privacy”, spiega l’avvocato Vittorio De Luca. Guardando a tale obbligo, anche l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali aveva espresso parere favorevole in merito allo schema di decreto con il quale è poi stato introdotto l’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro, evidenziando come lo stesso fosse legittimo poiché teneva conto, nel rispetto della libertà di scelta in ambito vaccinale, della disciplina della protezione dei dati personali e della disciplina in vigore in materia di certificazioni verdi.
Questo vale anche per la facoltà di consegnare al datore di lavoro copia del proprio green Pass, ottenendo in cambio l’esenzione dai controlli per tutta la durata di validità del documento? Su questo l’esperto ricorda che: “Secondo l’Autorità Garante, che si è espressa con segnalazione al Parlamento e al Governo lo scorso 11 novembre, la conservazione di una copia delle certificazioni è in primo luogo in contrasto con la normativa comunitaria (Considerando n. 48 del Regolamento (UE) 2021/953), secondo la quale, qualora la certificazione non venga utilizzata per scopi medici, non ne ammette la conservazione. Inoltre, tale trattamento di dati personali, si legge nella Segnalazione, violerebbe il principio di esattezza delle informazioni oggetto di trattamento nonché il principio di riservatezza da riconoscere al lavoratore. L’Autorità avverte che la conservazione del green pass non può essere ritenuta legittima sulla base giuridica del consenso del lavoratore e l’adozione, da parte datoriale, di misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, potrebbe causare un incremento importante di oneri, anche sotto un profilo economico”. Di conseguenza, ricorda De Luca, anche se lo scopo di questa misura è meritorio (l’intento è infatti quello di semplificare la vita in azienda, evitando controlli giornalieri), “i datori di lavoro nell’applicazione concreta potrebbero trovarsi a dover porre in essere una serie di adempimenti privacy che potrebbero avere quale conseguenza proprio quella di vanificare l’intento della previsione legislativa”.
Per altro, la legge n. 165 del 19 novembre 2021 di conversione del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 è intervenuta sulla verifica del green pass per i lavoratori in somministrazione, precisando che nei loro confronti il controllo viene effettuato solo dall’utilizzatore, fermo restando l’onere in capo al somministratore di informare i lavoratori circa l’obbligo del possesso e ed esibizione del green pass. “Questa precisazione, senz’altro utile, era già stata oggetto d’attenzione da parte di Assolavoro”, ricorda l’avvocato, “con riferimento a una circolare che aveva chiarito come “l’onere dell’utilizzatore sarà […] quello di verificare il possesso del Green Pass da parte del lavoratore”, rimettendo così in capo all’utilizzatore (presso cui la prestazione viene effettivamente resa) l’onere di verificare il possesso e la validità della certificazione”. La legge di conversione non si è preoccupata invece di disciplinare un’altra ipotesi, maggiormente dibattuta, relativa a chi debba controllare il green pass dei lavoratori subordinati inviati in trasferta presso soggetti terzi, quantomeno nelle ipotesi in cui tale trasferta avvenga senza il preventivo transito presso la sede di appartenenza, lasciando in tale ipotesi ancora margini di opinabilità”, conclude De Luca.