Plurime condotte già contestate non legittimano il licenziamento per scarso rendimento (Modulo 24 Contenzioso Lavoro de Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2023 – Vittorio De Luca, Alessandra Zilla)

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30 Mar 2023

Massima  

Lo scarso rendimento non può essere di per sé dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe una indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite. Occorre, infatti, rilevare che anche nella fattispecie di scarso rendimento trova applicazione il divieto di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica. 

Abstract  

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 1584 del 19 gennaio 2023, è tornata ad occuparsi della fattispecie del licenziamento per scarso rendimento. La Suprema Corte, richiamando i proprio precedenti, ha statuito che lo scarso rendimento si connota, sul piano oggettivo, per un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile e, sul piano soggettivo, per la relativa imputabilità a colpa del lavoratore. Per tale motivo, lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, sussistendo il divieto, più volte affermato dai giudici di legittimità, di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto. 

Scarso rendimento: nozione giurisprudenziale 

Il licenziamento per scarso rendimento non è disciplinato da una specifica disposizione di legge. Il riferimento normativo a cui occorre far riferimento è l’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il quale dispone: «il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (ndr. c.d. licenziamento per giustificato motivo soggettivo) ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (ndr. c.d. licenziamento per giustificato motivo oggettivo).  

Partendo dal dato testuale della norma, negli anni sono state formulate diverse ipotesi circa la natura di tale fattispecie di licenziamento. In particolare, il licenziamento per scarso rendimento, da un lato, è stato ricondotto a una forma di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e, dall’altro lato, è stato annoverato tra le forme di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.   

La giurisprudenza maggioritaria della Suprema Corte è orientata nel riconoscere allo scarso rendimento una valenza di carattere soggettivo, in quanto indice di una prestazione inadeguata, in termini quantitativi e qualitativi, sotto il profilo del diligente adempimento degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro1

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, precisato che “In tema di licenziamento per scarso rendimento deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo trattandosi di un licenziamento fondato su un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore, lesivo dei suoi doveri contrattuali e, dunque, integrante un inadempimento delle obbligazioni nascenti da rapporto di lavoro. Pertanto, il licenziamento per scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore” (Cass. 22 novembre 2016, n. 23735). 

Il lavoratore, come noto, è tenuto a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie, svolgendo, nei tempi e nei modi stabiliti, la prestazione lavorativa richiesta secondo le disposizioni da quest’ultimo impartitegli e ad agire, ai sensi dell’art. 2104 cod.civ., con la diligenza richiesta “dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa“. 

La norma codicistica sopra citata fa riferimento ad una diligenza c.d. qualificata che varia in relazione al contenuto delle mansioni affidate al lavoratore e, dunque, al diverso livello di complessità e responsabilità ad esso connesso.  

Per poter configurare un’ipotesi di legittimo licenziamento per scarso rendimento, la giurisprudenza richiede la necessaria sussistenza dei seguenti elementi: 

a) il licenziamento deve fondarsi su un elemento di carattere oggettivo, ovvero sull’esistenza di una notevole sproporzione tra i risultati conseguiti e gli obiettivi assegnati. La valutazione di tale aspetto non deve però essere effettuata in astratto, bensì utilizzando quale parametro un rendimento concretamente esigibile, che tenga conto del rendimento medio degli altri dipendenti in analoghe funzioni e mansioni (tra le molte: Cass. 18317/16; 14310/2015; Cass. 24361/2010; Cass. 1632/2009). 

b) in secondo luogo, è necessaria la sussistenza dell’elemento soggettivo, ovverosia l’imputabilità al lavoratore della sproporzione tra i risultati attesi e quelli conseguiti. In altri termini, è necessario che sussista un colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sul lavoratore e non invece una sproporzione tra i risultati attesi e quelli conseguiti ascrivibile all’organizzazione del lavoro o ad altri fattori non riferibili al lavoratore (tra le molte: Cass. 10 novembre 2017, n. 26676; Cass. 23 marzo 2017, n. 7522; Cass. 14 febbraio 2017, n. 3855; Cass. 19 settembre 2016, n. 18317). 

La prova in giudizio di tali elementi dovrà essere fornita dal datore di lavoro. In questo quadro, è principio consolidato quello per cui il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare un «notevole inadempimento» degli obblighi contrattuali del lavoratore allo stesso imputabile, intesi quale «fatto complesso» (Cass. 17371/2013), quindi non episodico ma caratterizzato da valutazioni che abbracciano un «apprezzabile periodo di tempo» (Cass. 14310/2015). Al lavoratore, invece, spetterà dimostrare che lo scarso rendimento sia dovuto a causa a lui non imputabile. Il lavoratore sarà, in altre parole, tenuto a dimostrare le ragioni di esonero o di attenuazione della sua responsabilità. 

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