In caso di accertamento giudiziale di illegittimità di un trasferimento d’azienda, il lavoratore ceduto – che vede ripristinato il rapporto di lavoro con il datore di lavoro cedente – non ha diritto alla retribuzione per il periodo intercorrente tra la data di cessione dell’azienda e quella della pubblicazione del relativo provvedimento giudiziale.
Tuttavia, il lavoratore può ottenere il risarcimento del danno subìto a causa dell’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di ricevere la relativa prestazione lavorativa, detratto l’eventuale aliunde perceptum, che andrà calcolato a decorrere dal momento e nella misura in cui il lavoratore abbia provveduto a costituire in mora il datore di lavoro cedente ex art. 1217 cod. civ. mediante l’offerta della citata prestazione.
Le operazioni straordinarie comprendono tutte quelle operazioni dirette a riconfigurare la struttura organizzativa al fine di adeguarla alle mutate esigenze dell’impresa. Vi rientrano il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, le trasformazioni, le fusioni e le scissioni.
Da un punto di vista giuslavoristico tali operazioni assumo rilevanza se comportano un mutamento della titolarità dell’attività economica organizzata.
L’art. 2112, comma 5, cod. civ., definisce il trasferimento di azienda come qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conservi nel trasferimento la propria identità.
Per poter parlare di trasferimento di azienda, occorre dunque che sussistano i seguenti elementi:
Perché possa parlarsi di trasferimento di “ramo d’azienda” quest’ultimo deve consistere in un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Da un punto di vista formale, l’operazione negoziale alla base del trasferimento è di per sé irrilevante ai fini della configurazione o meno di un trasferimento di azienda o di ramo di azienda, potendo consistere, tra le altre nel:
L’effetto principale del trasferimento di azienda o di ramo di azienda è la continuazione dei rapporti di lavoro dal cedente al cessionario. A tal fine non è richiesto il consenso del lavoratore ceduto.
In tal caso, il lavoratore ha diritto al mantenimento presso il cessionario di tutti i diritti già maturati presso il cedente al momento della cessione di azienda (e.g., anzianità di servizio o altri diritti eventualmente pattuiti con il precedente accordo individuale).
Il cessionario è inoltre tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dagli accordi collettivi di qualsiasi livello vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che questi siano sostituiti da altri contratti collettivi di pari livello applicabili all’impresa del cessionario.
L’art. 2112, comma 2, cod. civ. prevede, altresì, uno specifico regime di responsabilità solidale tra cedente e cessionario per tutti i crediti maturati dal lavoratore al momento del trasferimento.
Il trasferimento di azienda o di ramo d’azienda non può costituire l’unica ragione posta alla base del licenziamento dei dipendenti coinvolti nell’operazione né per il cedente né per il cessionario. Il licenziamento basato unicamente sul fatto del trasferimento è nullo.
È tuttavia consentito a cedente e cessionario procedere ad eventuali licenziamenti (individuali o collettivi) quando ne sussistano le ragioni previste per legge (esigenze tecnico-produttive o ristrutturazioni aziendali).
L’art. 2112, comma 4, cod. civ. riconosce al lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica in senso peggiorativo per effetto del trasferimento, la possibilità di rassegnare le proprie dimissioni (nei tre mesi successivi al trasferimento) per giusta causa con conseguente diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso.
Con specifico riferimento ai dirigenti, si segnala che il: