La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11182 del 6 aprile 2022, in linea con il proprio consolidato orientamento, ha statuito che nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modifiche “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendo escludersi che lo stesso possa pretendere di mantenere un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente.
Alcuni lavoratori adivano il giudice del lavoro al fine di ottenere l’accertamento del diritto a percepire – anche a seguito della disdetta da parte della società datrice di lavoro dell’accordo integrativo aziendale – la voce retributiva denominata “ex premio aziendale individuale ad personam” istituita dalla fonte collettiva, chiedendone la condanna al pagamento di quanto a ciascuno dovuto con decorrenza dal giugno 2015. Il Giudice del lavoro assegnatario della causa rigettava il loro ricorso.
La Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, escludeva che la predetta voce retributiva potesse costituire, “per effetto di novazione, un premio di carattere individuale, incorporato nei singoli contratti individuali e come tale insensibile a modifiche non consensuali”.
Inoltre, a parere della Corte d’Appello, il tenore letterale del relativo articolo dell’accordo di secondo livello non consentiva di ravvisare la volontà delle parti di mutare la natura collettiva del premio aziendale fisso in emolumento di natura individuale.
Infine, la Corte d’Appello escludeva che si potesse trattare di un diritto già entrato a far parte del patrimonio dei lavoratori (c.d. diritto quesito), trattandosi di una mera pretesa alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli.
I lavoratori soccombenti ricorrevano in cassazione avverso la decisione dei giudici di merito.
La Corte di Cassazione adita, nel rigettare il ricorso promosso dai dipendenti – dopo aver confermato la correttezza del percorso logico-giuridico della Corte territoriale, la quale aveva accertato che l’ex premio aziendale individuale trovasse la propria unica fonte nel regolamento collettivo disdettato – ha ribadito il principio secondo cui le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma. Da ciò consegue che le disposizioni di fonte collettiva, legittimamente disdettate, non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole.
Il lavoratore non può, pertanto, pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva caducata o sostituita da altra successiva.
L’unico limite in materia, insieme ai vincoli posti dall’art. 36 Cost., è dato dalla intangibilità di quei diritti che siano già entrati a fare parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita (c.d. “diritti quesiti”). Ne consegue che la tutela dei diritti quesiti non è estensibile a mere pretese alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli o ad aspettative sorte alla stregua di precedenti regolamentazioni.
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