Chi ha il potere di licenziare il dipendente nel caso di contratto d’appalto? La questione, che a un primo impatto può apparire tecnica, in realtà ha un interesse diffuso in Italia, dove è frequente il ricorso a questo strumento. In particolare, le aziende devono fare i conti con l’evoluzione non solo normativa, ma anche giurisprudenziale, per assicurarsi di essere nella legittimità, considerato che le sensibilità si sono modificate decisamente nel corso degli anni. «Il rispetto dei requisiti affinché un appalto sia considerato genuino riguardano l’organizzazione dei mezzi, la direzione, il coordinamento delle risorse e l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore», spiega Vittorio De Luca, name partner dello studio legale De Luca & Partners. «Sebbene la normativa di riferimento sia sostanzialmente immutata da 20 anni, la giurisprudenza, in ragione della particolare sensibilità in materia, ha conosciuto sviluppi che per lo più hanno comportato un aggravamento delle conseguenze negative per il committente». Da ultimo si sta formando un nuovo orientamento giurisprudenziale relativo all’appalto non genuino, che si concretizza quando prevale una direzione esterna da parte dell’impresa committente, che governa la forza lavoro della impresa appaltatrice ingerendo in modo diretto sulle modalità di esecuzione delle attività. In questo caso i giudici possono considerare inefficace il licenziamento del dipendente impiegato nell’esecuzione del servizio se non effettuato dal committente in qualità di datore di lavoro di fatto.

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Da sempre, nel nostro ordinamento, il tema degli appalti e della somministrazione di lavoro è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore in campo giuslavoristico. Non a caso, una delle prime leggi di diritto del lavoro ad affiancare la disciplina codicistica è stata la legge 1369 del 1960 la quale sanciva il divieto di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro.

La normativa, dopo essere stata sostanzialmente immutata per quasi quarant’anni, ha registrato un certo dinamismo a partire dalla cosiddetta legge Treu 1997, con cui è stato introdotto il lavoro interinale, e dalla legge Biagi del 2003, che ha meglio disciplinato se ed a quali condizioni vi può essere un disallineamento tra datore di lavoro formale e il beneficiario della prestazione lavorativa.

Sino a pochi anni fa, le conseguenze della illiceità di un appalto per l’impresa committente – al di fuori delle ipotesi di sfruttamento che configurano il reato di caporalato – sono sempre state di natura puramente economica e consistenti nel pagamento di sanzioni amministrative per mancato versamento dei contributi e mancata assunzione diretta del personale utilizzato nell’ambito dell’appalto simulato.

Da qualche tempo, invece, il rispetto dei requisiti sopra menzionati che legittimano il ricorso all’appalto è divenuto ancor più importante per effetto di due orientamenti giurisprudenziali che si sono affermati.

Il primo è emerso in tema di licenziamento. Secondo tale indirizzo, la Cassazione ha ritenuto che l’appaltante, in quanto datore di lavoro sostanziale in caso di appalto non genuino, non può avvalersi del licenziamento effettuato dall’appaltatore, datore di lavoro formale.

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Il prossimo 15 febbraio alle h 17:00 Vittorio De Luca parteciperà al Welfare & Hr Summit de @Il Sole 24 Ore. L’evento, trasmesso in streaming, verterà sul tema: “Nuovi scenari e sfide organizzative per le imprese del futuro”.

FOCUS

Vittorio De Luca analizzerà gli aspetti giuslavoristici legati alla disciplina degli appalti e le relative conseguenze sanzionatorie in caso di appalto non genuino. Un focus anche sugli istituti della somministrazione fraudolenta e dell’interposizione fittizia di manodopera con le connesse conseguenze penali.

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Nell’ordinanza in commento la conferma dell’orientamento di legittimità teso a differenziare i termini
applicabili alle azioni spettanti ai dipendenti impiegati nell’appalto e quelli invece regolanti le azioni di
recupero contributivo spettanti all’INPS.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38151 del 30 dicembre 2022 , è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità solidale negli appalti, confermando il proprio indirizzo secondo cui il termine di decadenza biennale previsto dall’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003 non troverebbe applicazione relativamente all’obbligazione contributiva.

Ad oggi, sulla base del tenore letterale della diposizione normativa in questione, i committenti restano obbligati in solido con gli appaltatori per le retribuzioni, le quote di TFR nonché per i contributi previdenziali ed i premi assicurativi, restando escluse le sole sanzioni civili. L’obbligazione solidale permane, per espressa previsione di legge per un periodo di due anni decorrenti dalla cessazione dell’appalto.

Quello sopra descritto è un vero e proprio termine di decadenza.

Nel corso del 2011 e del 2012, tanto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali quanto l’INPS avevano fornito indicazioni sulla portata di tale disposizione, sposando un’interpretazione letterale della norma e riconoscendo come assoggettata al termine di decadenza biennale anche l’azione di recupero contributivo a carico dell’ente previdenziale.

Secondo le Istituzioni in parola, in pratica, il termine di decadenza biennale si sarebbe dovuto applicare anche alle pretese creditorie dell’INPS nei confronti del responsabile in solido. Decorso il biennio, l’Ente avrebbe pertanto potuto soddisfare la propria pretesa creditoria solo nei confronti dell’obbligato principale entro il termine di prescrizione di cinque anni.

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Con la Circolare n. 1/E del 12 febbraio 2020, l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito alle novità introdotte dall’articolo 17-bis del Decreto Fiscale 2019 (L. 19 dicembre 2019, n. 157) in materia di contratti di appalti.

Entriamo nel dettaglio dei chiarimenti più importanti.

AMBITO SOGGETTIVO

L’Agenzia dell’Entrate, innanzitutto, si sofferma sulla definizione di “committente”. Nello specifico la stessa ritiene che questa definizione si riferisce sia al committente originale che al subappaltatore. Ciò in quanto nei rapporti in cui vi siano committenti, appaltatori e subappaltatori (c.d. rapporti “a catena”) ognuno di essi potrebbe singolarmente rivestire il ruolo di committente rientrando, in tal modo, nell’ambito di applicazione della disciplina.

AMBITO OGGETTIVO

L’Agenzia delle Entrate provvede poi a fornire chiarimenti sui presupposti al ricorrere dei quali il committente deve adempiere ai nuovi obblighi e le relative cause di esonero.

a) Quando il committente deve adempiere ai nuovi obblighi

In particolare, i nuovi obblighi si applicano nel caso di affidamento ad una impresa del compimento di una o più opere o servizi per un importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro, nell’ambito di un contratto di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati a prevalente utilizzo di manodopera.

Sul punto, l’Agenzia chiarisce che non è importante il nomen iuris che le parti attribuiscono al rapporto ma l’effettiva prevalenza di manodopera presso le sedi del committente.

Il riferimento ad una “impresa” porta ad escludere dai soggetti affidatari gli esercenti arti o professioni. Viceversa, vi rientrano i contratti d’opera stipulati con imprese, a condizione che le stesse utilizzano per l’esecuzione dell’opera/servizio commissionato lavoratori aventi diritto alla percezione di reddito da lavoro dipendente o assimilati.

La determinazione della soglia dei 200.000 euro fa riferimento ai singoli contratti in essere nell’anno (solare) di riferimento (1° gennaio-31 dicembre), ad eventuali modifiche sopraggiunte e a tutti i contratti stipulati nell’anno da ciascuna impresa.

Se il contratto è su base annuale o pluriennale con un prezzo predeterminato, il calcolo dovrà essere impostato secondo un meccanismo di pro-rata-temporis. Nel caso, invece, siano sottoscritti dei contratti senza un prezzo o una scadenza predeterminati, si seguirà un criterio di cassa e gli obblighi decorreranno relativamente ai redditi da lavoro dipendente e assimilati al momento di superamento dell’ammontare previsto e fino alla scadenza del contratto.

Ancora. Le prestazioni debbono essere svolte presso “le sedi di attività del committente” tra cui rientrano le sedi legali, operative, gli uffici di rappresentanza e ogni altro luogo riconducibile al committente e che sia destinato allo svolgimento dell’attività attraverso l’utilizzo di “beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma”. Se l’utilizzo di beni strumentali è occasionale o comunque non indispensabile per l’esecuzione dell’affidamento, non si deve ritenere esistente tale condizione.

Non rientrano nell’ambito di applicazione della norma i contratti di somministrazione ex art. 30 del D.Lgs. 81/2015. Ciò in quanto l’agenzia di somministrazione “mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”. Rientrano, però, nell’ambito di applicazione le ipotesi di somministrazione illecita di manodopera

b) Quando il committente è esonerato dall’adempiere ai nuovi obblighi

Il committente è esonerato dall’adempiere ai nuovi obblighi se:

(i) risulta essere in attività da almeno tre anni,

(ii) è in regola con gli obblighi dichiarativi,

(iii) ha eseguito i versamenti e registrato nel conto fiscale un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime e

(iv) non ha iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito relativi alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000,00.

Per dimostrare la presenza dei predetti requisiti, è necessario allegare una certificazione messa a disposizione dell’impresa o di un suo delegato, a partire dal 3° giorno lavorativo di ogni mese, dalla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente. Il certificato ha una durata di 4 mesi dalla data del rilascio, superati i quali l’impresa deve acquisire un nuovo certificato. Qualora il committente sia una Pubblica Amministrazione la sussistenza dei requisiti dovrà essere oggetto di autocertificazione.

OBBLIGHI

L’Agenzia ha chiarito, altresì, che le imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici sono obbligate al versamento delle ritenute dei lavoratori, con distinte deleghe di pagamento per ciascun committente, senza possibilità di compensazione.

E’ possibile predisporre distinti modelli F24 per ciascun committente o un modello F24 cumulativo per tutti i contributi e premi dovuti dall’impresa. In tale ultimo caso, sarà onere dei contribuenti ricostruire le modalità di calcolo utilizzate in sede di controllo.

Le imprese affidatarie sono obbligate a rilasciare al committente:

(i) un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante CF, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere/servizi affidati dal committente. Nel caso di pagamento delle retribuzioni nel mese successivo a quello di riferimento della “busta paga” occorrerà fare riferimento al secondo mese precedente;

(ii) il dettaglio delle ore lavorate da ciascun percipiente;

(iii) l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente (imponibile ai fini fiscali come risultante dalla “busta paga”) nonché

(iv) il dettaglio delle ritenute fiscali operate nel mese precedente, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata da committente.

A carico del committente, invece, vi è l’obbligo di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice se entro 5 giorni lavorativi: (i) sia maturato il diritto a ricevere corrispettivi dall’impresa appaltatrice o affidataria ma questa non gli ha trasmesso le deleghe di pagamento e le informazioni relative ai lavoratori impiegati o (ii) risulta l’omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali rispetto ai dati che emergono dalla documentazione trasmessa.

Se i nuovi obblighi dovessero ricadere in capo all’appaltatore, quest’ultimo sarà il solo legittimato a sospendere i pagamenti nei confronti dei subappaltatori fino a che non avranno adempiuto ai loro obblighi.

LE SANZIONI

In caso di violazione degli obblighi esaminati, è stata prevista l’erogazione di una sanzione amministrativa non tributaria a carico del committente. Quest’ultimo, nell’ipotesi in cui non dovesse eseguire correttamente i versamenti delle ritenute fiscali ovvero lo facesse tardivamente senza la possibilità di effettuare una compensazione, dovrà versare una somma pari alla sanzione comminata all’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice.

Tuttavia, la sanzione non è dovuta, se l’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice dimostri di aver correttamente assolto ai propri obblighi ovvero sia ricorsa al ravvedimento operoso sanando, in tal modo, le violazioni commesse prima che gli organi adibiti al controllo procedano con una contestazione.

In ogni caso, e comunque fino al 30 aprile 2020, all’appaltatore non verrà contestata alcuna violazione a condizione che sia fornita la necessaria documentazione prevista ex lege.