Il Tribunale di Milano, con decreto del 28 marzo 2021 , ha riconosciuto la condotta antisindacale ex art. 28 della legge n. 300/1970 di una società che, attraverso un video messaggio diffuso dal proprio presidente del consiglio di amministrazione, aveva invitato i propri collaboratori ad iscriversi ad una organizzazione sindacale, al fine di stipulare un accordo collettivo di settore.
Il fatto – Con ricorso ex art. 28, Legge 300/1970, le OO.SS. Filcams CGIL, NIDIL CGIL, UILTEMP Lombardia e UILTUCS Lombardia si sono rivolte al Tribunale di Milano, in funzione del Giudice del Lavoro, al fine di accertare e dichiarare la natura antisindacale della condotta posta in essere dalla società convenuta. In particolare, la società, in persona del proprio Presidente del Consiglio di Amministrazione nonché Presidente di una associazione di categoria, nel gennaio scorso ha inviato un video messaggio a tutti i propri collaboratori, non inquadrati con rapporto di lavoro subordinato, invitandoli ad aderire a una associazione sindacale di nuova costituzione, al fine di siglare l’accordo nazionale raggiunto in data 30 dicembre 2020 con FISASCAT. A fronte della denuncia di antisindacalità presentata dalle sigle sindacali ricorrenti, la società resistente ha opposto plurime eccezioni preliminari e, nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La decisione del Tribunale di Milano – In via preliminare, la società ha eccepito che lo strumento processuale (ricorso ex art. 28 St. Lav.) utilizzato dalle sigle sindacali risulta inapplicabile al caso di specie, in quanto il predetto rimedio può essere utilizzato esclusivamente per i rapporti di lavoro riconducibili nell’alveo della subordinazione.
Il Tribunale di Milano, ribaltando, di fatto, un recentissimo precedente giurisprudenziale sul punto (Trib. Firenze, 9 febbraio 2021), ha affermato che la suddetta tesi non può essere condivisa, per le ragioni di seguito esposte.

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Il Tribunale di Firenze, con decreto pubblicato il 9 febbraio 2021, ha osservato che la legittimazione ad azionare il procedimento per la repressione della condotta antisindacale prevista dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori non può essere estesa alle organizzazioni sindacali dei rider poiché questi non sono lavoratori subordinati.

I fatti di causa

Nel caso di specie, le tre organizzazioni territoriali della Cgil hanno presentato ricorso contro una società del food delivery, lamentando la condotta antisindacale attuata dalla stessa.

L’antisindacalità, secondo le OO.SS. ricorrenti, sarebbe consistita nell’avere l’azienda imposto ai rider l’applicazione del nuovo contratto collettivo di settore sottoscritto da Assodelivery (associazione dell’industria del food delivery) con Ugl riders. Contratto, tra l’altro, che era stato qualificato – non solo dai sindacati, ma anche dallo stesso Ministero del Lavoro – come “contratto pirata”, poiché stipulato con un sindacato compiacente e carente del necessario requisito della rappresentatività.

La decisione del Tribunale

Secondo il Tribunale adito l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori – che legittima le articolazioni territoriali delle organizzazioni sindacali nazionali ad agire in giudizio qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale – è una garanzia tipica riconosciuta nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, non può essere estesa alle organizzazioni sindacali di soggetti, quali lavoratori autonomi o parasubordinati.

In conclusione, ad avviso del giudice, nei confronti dei rider non sono applicabili le tutele di cui all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto essi non sono lavoratori subordinati ma, al più, collaboratori autonomi ai quali è applicabile solo la disciplina sostanziale relativa al trattamento economico e normativo del lavoro subordinato.

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La Corte di Cassazione, con la sentenza 1 del 2 gennaio 2020, ha affermato che non devono confondersi i requisiti di cui all’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori per la costituzione di rappresentanze sindacali, titolari dei diritti di cui al titolo 3, con la legittimazione prevista dall’art. 28 del medesimo Statuto (repressione condotta sindacale). Ciò in quanto l’art 19 richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purché applicati in azienda) oppure la partecipazione del sindacato alla negozazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori. Invece, l’art. 28 richiede solo che l’associazione sia nazionale. Il relativo procedimento è riservato ai casi in cui venga in questione la tutela dell’interesse collettivo del sindacato al libero esercizio delle sue prerogative. Interesse questo che è distinto ed autonomo rispetto a quello dei singoli lavoratori. E nel caso di specie la Corte di Cassazione ha dichiarato antisindacale la condotta del datore di lavoro che aveva trasferito da uno stabilimento all’altro l’80% dei lavoratori iscritti o affiliati ad una determinata sigla sindacale, indipendentemente dal fatto che le esigenze aziendali poste a fondamento fossero risultate legittime. La condotta datoriale è stata considerata lesiva degli interessi collettivi di cui era portatrice l’organizzazione sindacale. A parere della Corte l’elemento statistico, dal quale emerga una situazione di svantaggio per la sigla sindacale, realizza una presunzione di discriminazione a fronte della quale è onere del datore di lavoro fornire la prova contraria.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 88 del 4 gennaio 2018, ha statuito che non è considerabile quale condotta antisindacale, la decisione del datore di lavoro di modificare l’orario di lavoro, senza consultare la delegazione sindacale, bensì fornendo una semplice informativa, se lo stesso si è limitato a dare esecuzione ad un accordo già raggiunto con le parti sociali. Nel caso di specie, Poste Italiane S.p.A. era stata convenuta in giudizio per condotta antisindacale sull’assunto che avesse proceduto ad una modifica dell’orario di lavoro in violazione delle disposizioni di cui al CCNL applicato, e cioè senza aver proceduto alla preventiva consultazione della delegazione sindacale. Tuttavia, la Corte di Cassazione, nel confermare decisione della Corte Territoriale, ha evidenziato che la società e le organizzazioni sindacali avevano raggiunto uno specifico Accordo operante in caso di nuovi regimi di orario la cui introduzione nell’unità produttiva di riferimento prevedeva l’obbligo di informativa alla Delegazione sindacale cui spettava l’onere, entro i cinque giorni, di provocare – se del caso – la consultazione. Orbene, a parere della Corte, la società aveva rispettato l’onere di informazione, essendo, invece, rimasta inattiva la Delegazione, con conseguente correttezza del comportamento aziendale dimostratosi rispettoso sia delle previsione del CCNL che dell’accordo sindacale.