Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2652 dell’11 novembre 2022, è tornato ad occuparsi del tema della impugnabilità dei verbali di conciliazione, statuendo che in mancanza di una res litigiosa, i verbali non possono essere qualificati come patti transattivi, con conseguente possibile impugnazione delle rinunce ivi contenute.
In occasione della conclusione di un contratto di appalto, veniva riferito ai lavoratori ivi impiegati che, se avessero voluto continuare a prestare attività lavorativa a favore dell’appaltatore subentrante, avrebbero dovuto sottoscrivere un verbale di conciliazione in sede sindacale, dichiarando, ai sensi dell’art. 2113, comma 4, cod. civ., di non avere più nulla a pretendere in relazione al pregresso rapporto di lavoro.
I lavoratori sottoscrivevano tali verbali di conciliazione, rinunciando, tra l’altro, a rivendicazioni afferenti all’inquadramento superiore in base alle mansioni effettivamente espletate e al pagamento delle relative differenze retributive.
I lavoratori firmatari impugnavano i verbali sottoscritti, proponendo ricorso dinnanzi al giudice del lavoro al fine di ottenere l’annullamento degli stessi e, conseguentemente, l’accertamento del superiore livello di inquadramento contrattuale e la condanna della società al pagamento delle differenze retributive.
Il Tribunale di Milano, nell’accogliere il ricorso promosso dai lavoratori, accertava l’assenza della natura transattiva dei verbali di conciliazione impugnati e ciò in quanto gli accordi stipulati dalle parti risultavano privi dell’elemento essenziale di un accordo transattivo, ovverosia la res litigiosa.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 1965 c.c., la transazione è definita come il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Dalla lettura di tale disposizione emerge, dunque, che la causa tipica della transazione è quella di risolvere o evitare una lite, con reciproche concessioni dei contendenti.
Conseguentemente, il Tribunale meneghino, sulla base di tali principi pure confermati dalla giurisprudenza di legittimità (ex pluris: Cass. n. 8917/2016), ha accertato che, non emergendo in alcun modo la c.d. res litigiosa negli accordi sottoscritti dai ricorrenti, tali accordi “non possono essere qualificati come patti transattivi, ma semplicemente come atti di finale regolazione del rapporto, senza nessuna preclusione per l’instaurazione di un giudizio”.
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Informazioni più complete. Non basta il riferimento ai contratti collettivi
Il decreto legislativo attuativo della direttiva europea sulla trasparenza (la numero 2019/1152), che dovrà essere recepita entro il 1° agosto, persegue l’obiettivo di garantire ai lavoratori una conoscenza dettagliata delle condizioni del rapporto di lavoro e garanzie minime di prevedibilità dello svolgimento del rapporto medesimo. Non basterà più, dunque, il semplice rinvio alla contrattazione collettiva di settore, come attualmente previsto dalla quasi totalità dei contratti di lavoro in essere.
Tali obblighi informativi dovranno essere assolti per iscritto dal datore di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa, direttamente nel contratto di lavoro oppure tramite consegna della copia della comunicazione d’instaurazione del rapporto. Alcune informazioni, inoltre, potranno essere fornite entro sette giorni ovvero il mese successivo all’inizio della prestazione lavorativa.
Ogni variazione al contatto di lavoro che intervenga successivamente all’assunzione dovrà essere comunicata per iscritto al lavoratore entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica.
I nuovi obblighi informativi, inoltre, troveranno applicazione non solo nei confronti dei dipendenti e collaboratori di nuova assunzione, ma altresì, se richiesto dal lavoratore, anche con riferimento ai rapporti in essere.
I lavoratori che lamentino la violazione dei diritti previsti dal decreto di attuazione e, dunque, dal Dlgs 152/1997, ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, hanno la possibilità di ricorrere ai seguenti strumenti preventivi di risoluzione delle controversie: tentativo di conciliazione presso gli uffici territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro; collegi di conciliazione e arbitrato; camere arbitrali istituite presso gli organi di certificazione previste dall’articolo 76 del decreto legislativo 276 del 2003.
Lo schema di decreto, inoltre, evidenzia il divieto di licenziamento per ritorsione, intimato dal datore di lavoro quale conseguenza alle legittime rimostranze del lavoratore sull’assolvimento degli obblighi di informazione.
Nel caso in cui il lavoratore ricorra al Giudice del Lavoro denunciando di aver subito un licenziamento o un trattamento pregiudizievole come ritorsione conseguente all’esercizio dei diritti previsti dal decreto, incomberà sul datore l’onere di dimostrare che il licenziamento o gli altri provvedimenti sono stati adottati per motivi diversi da quelli a scopo ritorsivo.
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