Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo se il datore di lavoro non dimostra di aver offerto al lavoratore posizioni di livello inferiore, anche a tempo determinato.

Il datore di lavoro, infatti, prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve dimostrare di aver esplorato tutte le possibili soluzioni per ricollocare il lavoratore all’interno dell’azienda.

Ad affermare tale principio è stata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18904 del 10 luglio 2024, con ciò rafforzando l’obbligo di repêchage per i datori di lavoro.

La Corte ha quindi concluso che il licenziamento è illegittimo quando esistono, al momento del recesso, delle posizioni di lavoro alternative, ancorché in mansioni inferiori oppure a tempo determinato, e non viene effettuata da parte del datore di lavoro alcuna offerta di lavoro per la ricollocazione in queste mansioni.

La Corte ha ribadito che l’onere della prova in merito all’impossibilità di ricollocamento grava completamente sul datore di lavoro.

Le imprese devono quindi adottare un approccio scrupoloso nella gestione delle risorse umane, documentando ogni tentativo di ricollocazione, al fine di evitare di incorrere nell’illegittimità del licenziamento.

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Con la circolare n. 17 del 31 ottobre 2018 il Ministero del Lavoro ha dato le prime indicazioni operative relativamente all’applicazione del Decreto legge del 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazione dalla Legge 9 agosto 2018 n. 96, (il “Decreto Dignità”).

a) Nuova disciplina del contratto a termine

Innanzitutto, la circolare prende posizione in merito alle modifiche introdotte dal Decreto Dignità alla disciplina dei contratti a termine di cui al D.Lgs. 81/2015, la cui durata massima ha visto una sensibile riduzione da 36 mesi a 24 mesi.

Sul punto, la circolare precisa che le parti hanno la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato di durata non superiore ai 12 mesi liberamente, superati i quali è necessaria l’indicazione di specifiche ragioni, ossia:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  • esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

 

Nel computo dei 12 mesi occorre, come chiarito dalla circolare, tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, comprendendovi sia i contratti già conclusi sia quelli che si intende prorogare in quanto non ancora conclusi. Al riguardo la circolare riporta il seguente esempio esemplificativo: “Si consideri l’esempio di un primo rapporto a termine della durata di 10 mesi che si intenda prorogare di ulteriori 6 mesi. In tale caso, anche se la proroga interviene quando il rapporto non ha ancora superato i 12 mesi, sarà comunque necessario indicare le esigenze innanzi richiamate in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite, come previsto dall’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015.”

 

Ad ogni modo, così come previsto dall’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 81/2015, è fatta salva la possibilità delle parti, una volta sopraggiunti i 12 mesi, di stipulare un altro contratto di 12 mesi davanti all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. E sul punto, così come chiarito nella circolare, rimangono in vigore le indicazioni fornite dal ministero stesso con la circolare n. 13/2008 in ordine alla:

–       “verifica circa la completezza e la correttezza formale del contenuto del contratto”, nonché

–       “genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.”.

 

Secondo la circolare, la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano spinto alla predisposizione del contratto a termine, fatta in ogni caso eccezione per la necessità di prorogarne la data entro i termini previsti per la scadenza del contratto. Pertanto, chiarisce la circolare, non

(i)            sarà possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone le motivazioni, poiché si darebbe luogo a un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, e

(ii)           si potrà parlare di proroga nel caso in cui il nuovo contratto a termine dovesse decorrere dopo la scadenza del precedente contratto.

 

Elemento di novità rispetto alla disciplina introdotta con il Jobs act è la riduzione del numero di proroghe che passa da 5 a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero di contratti in essere, con esclusione dei contratti instaurati per lo svolgimento di attività stagionali.

 

Ad ogni modo, il Decreto Dignità non ha modificato l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 nella parte in cui rimette alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine. I contratti collettivi, pertanto, potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore rispetto al nuovo limite di 24 mesi del contratto. Tuttavia, chiarisce la circolare, le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018 che abbiano disposto una durata dei contratti a termine pari o superiore a 36 mesi continueranno a mantenere la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.

 

La circolare entra anche nel merito della forma mediante la quale i contratti debbano essere redatti. In particolare, è stato eliminato il riferimento all’art. 19, comma 4 del D.Lgs. 81/2015, secondo il quale il termine deve risultare direttamente o indirettamente da atto scritto, dandosi dunque maggiore chiarezza in merito alla sussistenza del requisito di cui sopra.

 

Resta ferma la possibilità che, in alcune situazioni, il termine del rapporto continui a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha portato all’assunzione, come nel caso della sostituzione di lavoratrice in maternità della quale non è possibile conoscere ex ante la data di rientro, pur sempre nel limite di durata massima (24 mesi).

La circolare si preoccupa, altresì, di individuare quelle che sono le contribuzioni addizionali a carico del datore di lavoro nell’ipotesi in cui lo stesso decida di sottoscrivere un contratto a tempo determinato. Invero, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del Decreto Dignità, così come modificato dalla legge di conversione, a partire dal 14 luglio 2018 il contributo addizionale a carico del datore di lavoro è pari al 1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicate contratti non a tempo indeterminato, incrementato dello 0,5% in occasione di ciascuno dei rinnovi del contratto a tempo determinato anche in somministrazione.

Pertanto, al primo rinnovo la misura ordinaria del contributo addizionale pari a 1,4% dovrà essere aumentata dello 0,5% a cui si dovrà aggiungere un ulteriore 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. La maggiorazione non si applica in caso di proroga del contratto.

b) Nuova disciplina del contratto di somministrazione a tempo determinato

La circolare si è preoccupata, altresì, di chiarire alcuni aspetti anche del contratto di somministrazione a tempo determinato così come modificato dal Decreto Dignità.

L’art. 2 del Decreto Dignità ha esteso la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine, già disciplinata dagli artt. 30 e seguenti del D.Lgs n. 81/2015, con la sola eccezione delle previsioni contenute negli artt. 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza).

Ad ogni modo, precisa la circolare, nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Ovvero, ai sensi dell’art. 31 del D.Lgs. 81/2015, i lavoratori potranno essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza che vi sia alcun tipo di obbligo di indicazione di una causale o di un limite di durata del rapporto, nel rispetto ovviamente, dei limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione.

Rimane, comunque, inalterata la possibilità per la contrattazione collettiva di regolare il regime delle proroghe e dei rinnovi, prevista all’art. 34, comma 2, del Dlgs 81/2015.

Chiarisce, altresì la circolare che per l’effetto della riforma è applicabile alla somministrazione del rapporto di lavoro determinato l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. 81/2015.  Pertanto, il datore di lavoro, una volta raggiunto il limite temporale di 24 mesi, non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.

Anche in questo caso, la circolare precisa che nel computo dei 24 mesi di lavoro si dovrà tener conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi fra le parti, ivi compresi quelli che siano precedenti alla data di entrata in vigore della riforma.

Inoltre, la circolare evidenzia che, se la durata della somministrazione presso lo stesso utilizzatore supera i 12 mesi o vi è un rinnovo della missione, il contratto di lavoro stipulato fra il somministratore e il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo e non dunque dell’agenzia di somministrazione.

Specifica ancora la circolare che l’obbligo di indicare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoro a termine sorge qualora lo stesso utilizzatore abbia instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categorie.

Anche in questo caso, troviamo considerazioni in merito ai limiti quantitativi di lavoratori somministrati. A tal proposito la legge di conversione del Decreto Dignità ha introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine. Infatti, il nuovo art. 31 dispone che, fermo restando la percentuale massima del 20% dei contratti a termine prevista dall’art. 23, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine entro una percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.

Anche in questo caso i contratti collettivi già in essere che prevedono delle percentuali superiori continueranno ad avere efficacia fino alla loro scadenza. Il limite percentuale de quo, trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018.

c) Periodo transitorio

La circolare affronta, altresì, la questione del periodo transitorio. L’art. 1, comma 2, del Decreto Dignità aveva stabilito che le nuove disposizioni sarebbero state applicate ai contratti a termine stipulati successivamente alla sua data di entrata in vigore nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso nella medesima data. In sede di conversione, specifica a la circolare ministeriale, la previsione del citato comma 2 è stata modificata unicamente con riferimento al regime dei rinnovi e delle proroghe prevedendo che per essi la nuova disciplina trovasse applicazione solo dopo il 31 ottobre 2018. Ciò al fine di sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti fino a tale data.

Orbene, dallo scorso 1° novembre, trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di (i) rinnovo sempre e (ii) proroghe dopo i 12 mesi.

Non da ultimo, la circolare precisa che il periodo transitorio trova applicazione anche con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, avendo il Decreto Dignità appunto esteso la disciplina del rapporto a tempo determinato alla somministrazione a termine.

 

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22188 depositata lo scorso 18 settembre, si è pronunciata in merito alla validità di un contratto a tempo determinato stipulato allorquando la relativa disciplina presupponeva l’attivazione del rapporto di lavoro solo a fronte di specifiche ragionidi carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Nel caso in esame il rapporto di lavoro a termine era assoggettato alla disciplina dell’allora vigente D.Lgs. n. 368/2001 poi superata dal Decreto Legge n. 34/2014 (cd. Decreto Poletti), convertito nella legge n. 78/2014. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha avuto occasione di ribadire che la validità di un contratto a termine presuppone la specifica e puntuale indicazione di tutte le circostanze utili a comprovare la sussistenza di un’oggettiva esigenza aziendale posta alla base del contratto. Tuttavia, oltre l’analitica ed esaustiva indicazione delle ragioni, è necessario che il lavoratore venga, sul piano operativo, effettivamente adibito alle mansioni che permettono di soddisfare la causale indicata. Tale ultimo requisito, a parere della Corte di Cassazione, difettava nel caso di specie essendo stata la lavoratrice adibita a mansioni non direttamente afferenti al progetto che costituiva oggetto della causale bensì allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee al progetto. In conclusione, la vicenda in esame, seppur disciplinata da una disposizione non più in vigore, diviene più che mai attuale considerata la reintroduzione del meccanismo delle causali ad opera del Decreto Legge n. 87/2018, convertito nella Legge n. 96/2018 (cd “Decreto Dignità”). Pertanto, le “nuove” causali (ndr. condizioni), oltre a dover essere riportate compiutamente nel contratto, dovranno ritrovare effettività sul piano sostanziale dovendo il lavoratore essere adibito alle attività ricomprese nelle dedotte esigenze aziendali.

E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 186 dell’11 agosto 2018 la legge di conversione (Legge n. 96) del D.L. 87 (cd Decreto Dignità), entrato in vigore il precedente 14 luglio. Importanti novità sono state apportate al contratto a tempo determinato. In particolare, il contratto a tempo determinato può essere stipulato senza casuale per 12 mesi, superati i quali necessita di una specifica ragione. In ogni caso la durata complessiva del contratto a tempo determinato non può superare i 24 mesi, pena la sua conversione a tempo indeterminato. Il numero massimo delle proroghe viene ridotto a 4; nell’ipotesi di quinta proroga il contratto si considera, pertanto, a tempo indeterminato. In caso di rinnovo la causale va sempre inserita. Esentati dall’obbligo della causale le proroghe ed i rinnovi dei contratti per attività stagionali. Il termine per impugnare il contratto a tempo determinato passa da 120 a 180 giorni. Viene, altresì, previsto un aggravio contributivo dello 0,5% a carico del datore di lavoro per ogni rinnovo. Le nuove regole si applicano ai contratti a tempo determinato sottoscritti dopo il 14 luglio 2018 ed alle proroghe ed ai rinnovi a partire dal 1° novembre 2018. Alla somministrazione si applica la disciplina del contratto a tempo determinato, ad eccezione delle disposizioni sul numero complessivo dei contratti a tempo determinato, sul diritto di precedenza e sul cd. stop and go. La somministrazione a termine può essere utilizzata entro il limite quantitativo del 30% dell’organico a tempo indeterminato; nel limite rientrano anche i rapporti a tempo determinato. E’ stato reintrodotto il reato di somministrazione fraudolenta.