Il 22 settembre 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 127/2021 (il “Decreto”), in vigore, dal 23 settembre, secondo il quale dal prossimo 15 ottobre sino al successivo 31 dicembre, chiunque svolga una qualsiasi attività lavorativa, di formazione o volontariato nel settore privato è tenuto a possedere e a esibire, su richiesta, il Green pass per accedere ai luoghi di lavoro. L’obbligo non si applicherà ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione. Obbligati al controllo sono i datori di lavoro in relazione ai propri dipendenti e agli eventuali soggetti esterni che svolgono attività lavorativa all’interno dei propri siti. Entro il 15 ottobre, i datori di lavoro sono tenuti a definire le modalità operative per l’organizzazione dei controlli, anche a campione. Ove possibile, deve essere prioritariamente previsto che i controlli vengano effettuati al momento dell’accesso al luogo di lavoro e devono essere individuati formalmente i soggetti incaricati dei controlli e della contestazione in caso di violazione. Le modalità organizzative con cui dovranno essere effettuate le verifiche saranno definite con apposito DPCM. I lavoratori non in possesso del Green pass o che si rifiutino di mostrarlo, verranno considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione dello stesso e, comunque, non oltre il 31 dicembre, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per i giorni di assenza ingiustificata non saranno dovuti la retribuzione o altro compenso o emolumento, comunque denominato. Per i datori di lavoro con meno di 15 dipendenti varranno le regole generali con la specificità che dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro potrà sospendere il lavoratore e stipulare un contratto a tempo determinato per sostituirlo della durata massima di 10 giorni, rinnovabile per una sola volta, non oltre il termine del 31 dicembre. I lavoratori che accederanno ai luoghi di lavoro senza possedere il Green pass saranno sanzionabili disciplinarmente dal datore di lavoro, oltre che soggetti a una sanzione amministrativa di importo variabile da 600 a 1.500 euro. Inoltre, il datore di lavoro che non organizzerà o non eseguirà i controlli sarà soggetto a una sanzione amministrativa di importo variabile da 400 a 1.000 euro. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione verrà raddoppiata.
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L’avvocato Vittorio De Luca, Managing Partner dell’omonimo studio, entra nel merito dei provvedimenti legislativi che hanno introdotto il divieto, dapprima generalizzato e successivamente settoriale, dei licenziamenti per motivi economici. Il Governo ha raggiunto un’intesa con le parti sociali in merito al blocco dei licenziamenti che ne pensa? “L’intesa prevede un impegno a far ricorso a tutti gli ammortizzatori sociali esistenti prima di ricorrere ai licenziamenti, in particolare l’utilizzo della cassa integrazione” dichiara il legale. “L’impegno in questione, per come strutturato, rappresenta una pura forma di raccomandazione, non certo un obbligo. A fronte di un divieto generalizzato dal marzo 2020 e sino al marzo 2021, ci troviamo ora di fronte ad un quadro variegato: con il Decreto Sostegni e con la legge di conversione del Decreto Sostegni bis, il blocco dei licenziamenti è stato in parte superato e in parte prorogato a determinate condizioni”. Dando uno sguardo al panorama europeo, l’Unione Europea ha, di fatto, bocciato la misura in vigore dal marzo 2020, ricordando che l’Italia è l’unico Stato membro ad aver introdotto un divieto generalizzato sui licenziamenti dall’inizio della crisi Covid-19.
Che ne pensa? “Con le Raccomandazioni pubblicate il 2 giugno la Commissione Europea ha rilevato come il blocco dei licenziamenti non sia stato particolarmente efficace e si sia rivelato superfluo in considerazione dell’ampio ricorso a sistemi finalizzati al mantenimento del posto di lavoro. La Commissione ha bocciato il provvedimento evidenziando che si tratta di una misura che avvantaggia i lavoratori a tempo indeterminato a scapito di quelli a tempo determinato, gli interinali e gli stagionali. Occorre quindi sottolineare – continua il legale – che il congelamento di interi settori produttivi rischia di essere controproducente perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle mutevoli esigenze aziendali”.
Con sentenza dell’8 luglio 2021, il Tribunale di Trento, ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare (per giusta causa) irrogato nei confronti di un’insegnante che si è ripetutamente rifiutata di indossare la mascherina protettiva durante il servizio scolastico.
Nel caso di specie l’insegnante, alle dipendenze della Provincia autonoma di Trento, aveva manifestamente espresso il proprio rifiuto a ottemperare alla disposizione di servizio emanata dalla dirigente del servizio attività educative, che la invitava a utilizzare la mascherina protettiva al fine di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei bambini, dei colleghi e dell’intera comunità scolastica. A sostegno del proprio rifiuto, nel corso della sua audizione durante il procedimento disciplinare, la lavoratrice adduceva, da un lato, di non voler indossare la mascherina in quanto «obiettrice di coscienza» e, dall’altro, di essere impossibilitata a farlo per ragioni di salute. Licenziata per giusta causa, proponeva quindi ricorso dinanzi al giudice del lavoro di Trento, avanzando domanda di reintegra.
Il Tribunale, non rinvenendo tra le allegazioni della lavoratrice alcuna certificazione medica idonea a giustificare il rifiuto di indossare la mascherina, rilevava inoltre che la condotta dell’interessata si poneva in aperto contrasto con le linee di indirizzo per la tutela della salute approvate dal presidente della Provincia autonoma di Trento con ordinanza del 25 agosto 2020 e, a livello nazionale, dal Protocollo d’intesa siglato dal ministero dell’Istruzione il 6 agosto 2020, prescrivente l’obbligo «per chiunque entri negli ambienti scolastici» di «adottare precauzioni igieniche e l’utilizzo di mascherina».
Sotto un profilo giuridico, secondo il Tribunale di Trento, i predetti atti e provvedimenti amministrativi troverebbero idoneo fondamento anche nella volontà del legislatore (articolo 16, comma 1, del Dl 18/2020), che considera le mascherine un dispositivo di protezione individuale. Al riguardo, richiamando precedenti orientamenti della Corte di cassazione (25932/2013 e 18265/2013), il giudice trentino ricorda come «il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale giustifica il licenziamento intimato all’inadempiente».
Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Il Quotidiano del Lavoro de Il Sole 24 Ore.
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 151 del 16 giugno 2020 il Decreto Legge n. 52/2020 recante “ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione di rapporti di lavoro” (il “Decreto”).
Il Decreto – che introduce rilevanti novità in materia di trattamento di integrazione salariale ordinario, straordinario o in deroga con causale “emergenza COVID-19” – è entrato in vigore il 17 giugno 2020.
In particolare, il Governo, rispondendo alle sollecitazioni provenienti dal mondo del lavoro e dalle parti sociali, ha previsto che le 4 settimane aggiuntive di integrazione salariale introdotte dal c.d. Decreto Rilancio, inizialmente fruibili per il periodo dal 1° settembre 2020 al 31 ottobre 2020, possano essere richieste anche a copertura di periodi antecedenti rispetto al 1° settembre 2020.
Tale deroga, originariamente prevista per i soli datori di lavoro del settore turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è stata quindi estesa a tutti i datori di lavoro a cui è consentito l’accesso agli ammortizzatori sociali relativi all’emergenza Covid.
La norma prevede che la fruizione anticipata di tali ulteriori 4 settimane è, in ogni caso, subordinata all’avvenuto integrale utilizzo, da parte del datore di lavoro richiedente, delle 14 settimane (9 + 5) riferite al periodo 23 febbraio 2020 – 31 agosto 2020. Resta ferma la durata massima complessiva di 18 settimane di integrazione salariale.
La novella precisa, inoltre, che la concessione in esame è subordinata al monitoraggio dei limiti di spesa. L’Inps, qualora tali limiti vengano raggiunti, non potrà emettere ulteriori provvedimenti concessori.
In deroga alla normativa vigente, il Decreto detta altresì nuovi termini per la presentazione delle domande relative ai trattamenti di integrazione salariale. Nello specifico viene previsto che le stesse debbano essere presentate, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. In sede di prima applicazione, tale termine è spostato al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore del Decreto in commento.
Per le domande riferite a periodi sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 30 aprile 2020, il termine per la presentazione della domanda è fissato, a pena di decadenza, al 15 luglio 2020.
Viene, altresì, prevista una sanatoria, indipendentemente dal periodo di riferimento, per i datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato domanda per trattamenti di integrazione salariale diversi da quelli spettanti o a cui avrebbero avuto diritto o comunque recante errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione.
Questi datori di lavoro potranno ripresentare la domanda nelle modalità corrette entro 30 giorni dall’avvenuta comunicazione dell’errore da parte dell’amministrazione di riferimento. La presentazione della nuova domanda è in ogni caso considerata tempestiva se effettuata entro 30 giorni dall’entrata in vigore del Decreto.
Vittorio De Luca ha partecipato in diretta streaming sul sito e sugli account social del gruppo Il Sole 24 Ore, alla rubrica “Il Sole Risponde” condotta da Marco lo Conte, per affrontare la tematica dello smart working in tempi di Coronavirus. Durante la diretta, sono stati analizzati il quadro normativo, le novità introdotte, i benefici e limiti evidenziati in emergenza, le opportunità e le sfide di un cambio di paradigma nel post emergenza.
Qui la registrazione dell’intervista.