Il decreto Rilancio interviene con previsioni anche inerenti alla salute e sicurezza sul lavoro, a volte introducendone ex novo, altre volte ampliando il contenuto di misure già previste in altre fonti normative emergenziali.
Innanzitutto, per agevolare la fase della ripartenza anche del mondo di lavoro, il Decreto introduce misure di sostegno economico del datore di lavoro. Si tratta di due crediti d’imposta per prevenire il contagio e limitare il rischio di diffusione del Covid 19 negli ambienti di lavoro: a) il primo nella misura del 60% per un massimo di 80mila euro, in relazione agli interventi necessari per far rispettare le prescrizioni sanitarie e le misure di contenimento contro la diffusione del Covid-19, è riconosciuto ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione in luoghi aperti al pubblico ed è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese; b) il secondo nella misura del 60% – per un massimo di 60mila euro – è una nuova versione del credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto di mascherine e Dpi, introdotto dal decreto Cura Italia e ampliato dal decreto Liquidità ed è riconosciuto ai soggetti esercenti arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo Settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti.
Anche il Decreto Rilancio pone l’accento sulla rilevanza dello smart working che assume la rilevanza di misura di contenimento del contagio. In particolare, il Decreto ne esalta anche la valenza di misura nell’ambito del cosiddetto work life balance, riconoscendone il diritto «fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore».
Ne parlano Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis per il Sole 24 Ore di sabato 23 maggio, sullo speciale dedicato alle regole sul lavoro del Decreto Rilancio.
Scarica sul sito de Il Sole 24 ore lo speciale per leggere il contributo dello Studio in materia di sicurezza e salute sul lavoro.
Le infezioni da Coronavirus avvenute nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa sono tutelate a tutti gli effetti come infortunio sul lavoro.
A statuirlo è l’articolo 42 del D.L. Cura Italia (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 27/2020), il quale, al comma 2, dispone che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.
Come noto, per infortunio sul lavoro si intende ogni lesione del lavoratore originata da una causa violenta (o virulenta, secondo l’indirizzo Inail vigente) in occasione di lavoro.
Al fine di delimitare l’ambito di intervento dell’Inail occorre, pertanto, soffermarsi sull’analisi della locuzione “occasione di lavoro”.
Con un’interpretazione estensiva, la giurisprudenza di legittimità vi ha fatto rientrare“tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore” (Cass.13 maggio 2016, n. 9913).
Al fine dell’intervento dell’Istituto assicuratore non è tuttavia sufficiente che l’infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro, in quanto è necessario che sussista il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infortunio.
Il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’”equivalenza delle condizioni”: ciò significa che il nesso eziologico sarà riconosciuto ad ogni circostanza che ha contribuito, anche in modo indiretto e remoto, alla produzione dell’evento, mentre dovrà escludersi quando un fattore esterno sia stato di per sé sufficiente a produrre l’evento.
Richiamati brevemente i principi cardine su cui si fonda l’attivazione dell’assicurazione, l’Inail, a fronte della novella legislativa relativa all’infortunio da Coronavirus, ha fornito, con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, i primi chiarimenti in merito alle tutele garantite ai propri assicurati.
L’Istituto ha precisato che l’assicurazione infortunistica opera non solo in ipotesi di contagio nell’ambiente di lavoro, ma altresì nell’ipotesi di contagio avvenuto durante il normale percorso di andata e ritorno da casa al lavoro (c.d. infortunio in itinere).
Per quanto attiene al nesso causale, l’Inail ha precisato che nell’attuale situazione pandemica l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio nonché quelle attività lavorative che comportino il costante contatto con il pubblico/l’utenza. Sul punto l’Istituto ha evidenziato come per tali situazioni sia prevista la presunzione semplice di origine professionale, considerata proprio la elevatissima probabilità che gli stessi vengano a contatto con il coronavirus.
Tuttavia, tali situazioni non esauriscono l’ambito di intervento dell’Istituto, in quanto residuano fattispecie che, pur in assenza di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice, potrebbero essere qualificati come infortunio sul lavoro.
Ebbene, nel contesto epidemiologico di riferimento caratterizzato da incertezze scientifiche relative alle modalità di contagio, al grado di virulenza e ai tempi di incubazione, non v’è chi non veda come l’equiparazione del Coronavirus ad infortunio sul lavoro conduca a notevoli criticità connesse alla dimostrazione che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro e, conseguentemente, all’accertamento del relativo nesso di causalità.
Alla luce del quadro sopra descritto, non sono tardate critiche e preoccupazioni da parte dei datori di lavoro in relazione ai possibili profili di responsabilità, anche penali, derivanti dal riconoscimento del contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro.
Al fine di arginare tali timori, l’Inail, in una nota diffusa il 15 maggio u.s. a poche ore dalla riapertura delle attività produttive, ha precisato che la previsione normativa introdotta dal c.d. Cura Italia “non assume alcun rilievo per sostenere un’accusa di responsabilità penale o civile del datore di lavoro”, argomentando che il datore di lavoro ne potrà rispondere solo “se viene accertata la propria responsabilità per dolo e colpa”.
A ben vedere, la nota pubblicata dall’Inail – seppur diffondendo l’illusione di un ’’alleggerimento” dalla responsabilità gravante sul datore di lavoro – ha semplicemente ribadito i principi cardine del nostro ordinamento in tema di responsabilità del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Come noto, infatti, il datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare, ai sensi della norma di chiusura del sistema antinfortunistico ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, secondo la miglior scienza ed esperienza del momento, al fine di impedire il verificarsi di eventi dannosi (gli “infortuni”) per la salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.
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Fonte: Agendadigitale.eu
Vittorio De Luca in onda su Class CNBC a “Il prezzo del virus” condotto dal Direttore Andrea Cabrini, insieme ad altri ospiti tra i quali, il Sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro, Stanislao Di Piazza. Tra gli argomenti, la responsabilità dei datori di lavoro in caso di contagio dei dipendenti e gli ammortizzatori sociali previsti dal Decreto Rilancio in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (intervento dal minuto 24’55’’).
Guarda qui l’intervista.
L’emergenza in atto integra l’ipotesi di causa di forza maggiore per la sospensione della retribuzione? Quando il datore di lavoro può sospendere il pagamento legittimamente?
A fronte di questo quesito, si è ritenuto opportuno volgere qualche breve riflessione in merito all’incidenza che questa vicenda potrà avere sui rapporti di lavoro, valutando se la peculiare contingenza possa o meno esonerare l’operatore impossibilitato nell’adempimento del contratto – nel caso di specie, il datore di lavoro che sospende il pagamento della retribuzione – e ad invocare la forza maggiore.
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L’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del virus Covid-19 ha provocato una vera e propria emergenza economica.
Basti pensare che il “lock-down” unitamente alle altre azioni per prevenire la diffusione del virus disposte con il Dpcm del 22 marzo 2020 e prorogate sino al prossimo 3 maggio 2020 con il Dpcm del 10 aprile 2020, ha imposto la sospensione della gran parte (si stima non meno del 50%) delle attività produttive.
Nei prossimi giorni, l’Italia dovrebbe avviare la Fase 2, in cui si assisterà ad una graduale ripartenza.
In preparazione delle complesse situazioni che le aziende si apprestano ad affrontare, assistiamo ad un susseguirsi di innumerevoli interventi da parte di istituzioni ed enti, a livello sia internazionale, sia nazionale e regionale, volti all’elaborazione di linee guida contenenti misure di prevenzione per ridurre la diffusione del virus nei luoghi di lavoro e per garantire una ripartenza delle attività imprenditoriali in sicurezza.
Basti pensare al “Covid-19: guidance for the workplace” pubblicato dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) e al “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” pubblicato dall’INAIL sottoposto attualmente all’attenzione del Governo che lo utilizzerà come ulteriore fonte sulla quale implementare le prossime misure di prevenzione per l’attesa Fase 2.
Il Documento Tecnico si propone l’obiettivo di fornire all’operatore politico, dunque in ultima analisi proprio al Governo, informazioni anche di natura statistica utili per compiere una valutazione finalizzata a determinare i livelli di priorità progressiva di intervento sulla ripresa delle attività produttive durante la tanto spesso auspicata Fase 2, nonché delle strategie di intervento eventualmente da implementare sui luoghi di lavoro.
Il documento si compone principalmente di due parti: la prima parte contiene un’analisi utile a definire l’ambito di rischio e ad individuare in quale di questi ambiti di rischio ricade ogni lavoratore a seconda del proprio impiego, la seconda, invece, detta linee generali di contenimento del rischio sui luoghi di lavoro.
Tuttavia, anche il Documento Tecnico, seppur di pregevole contenuto, omette di considerare che talvolta la realtà aziendale è così complessa da non potersi esaurire in linee guida o protocolli che individuano generiche, seppur articolate, misure di prevenzione. In altre parole, tutti questi documenti, seppure indubbiamente utili, hanno un limite incolpevole legato alla contingenza pandemica in corso.
A ciò deve essere aggiunto che le modalità di diffusione del COVID-19 (peraltro non tutte note) tramite azione di fattori microbici o virali che penetrano nell’organismo umano sono tali per cui il rischio di contagio si può ridurre ma certamente non eliminare del tutto.
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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro