È stato pubblicato nella scorsa notte in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 (il “Decreto”), recante misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
I nostri Professionisti hanno approfondito le misure a sostegno di imprese e lavoratori:
1. Misure speciali in tema di ammortizzatori sociali:
2. Misure speciali in materia di riduzione dell’orario di lavoro e sostegno ai lavoratori:
3. Misure sullo svolgimento dell’attività giudiziaria:Misure sullo svolgimento dell’attività giudiziaria:
La nostra “Coronavirus HR Task Force” rimane a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.
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Ecco il commento in merito di Vittorio De Luca, pubblicato anche da Affari Italiani.
In merito al lavoro agile e diffusione del virus Covid-19, Vittorio De Luca dello Studio De Luca & Partners commenta: “Siamo in piena emergenza e molte aziende sono state improvvisamente costrette a cercare e ad adottare prontamente alternative al normale svolgimento dell’attività lavorativa. In altre parole, le aziende da un giorno all’altro hanno dovuto ripensare e riorganizzare il lavoro e rivalutare il cosiddetto lavoro agile. Ma cosa succede a tutte quelle aziende che non hanno voluto o potuto adottare questo nuovo approccio al lavoro? In primo luogo, diciamo che sino a quando non sarà cessata l’emergenza Covid-19, il datore di lavoro non è totalmente libero di decidere se ricorrere o meno al lavoro agile. In effetti, il DPCM dell’ 11 marzo, prevede che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”.
“Occorre poi considerare – continua De Luca – che sul datore di lavoro incombe un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del lavoratore che trova la propria fonte nell’art. 2087 cod. civ. L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il datore di lavoro deve, cioè, adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, le misure generiche dettate dalla comune prudenza e tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoratore secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica. La violazione di questo obbligo comporta il rischio che sia imputata al datore di lavoro la responsabilità, in questo caso, di un eventuale contagio e della diffusione dello stesso. Il datore di lavoro potrebbe essere pertanto chiamato a risarcire il lavoratore per l’eventuale danno patito e a rispondere dei reati che danno origine alla responsabilità amministrativa della società” conclude Vittorio De Luca.
In piena emergenza da epidemia di coronavirus, molte aziende sono state costrette a cercare e adottare alternative al normale svolgimento dell’attività lavorativa. In altre parole, da un giorno all’altro hanno dovuto ripensare e riorganizzare il lavoro e rivalutare il cosiddetto lavoro agile. Ma cosa succede invece ad aziende che non hanno voluto o potuto adottare questo nuovo approccio? “Fino a quando non sara’ cessata l’emergenza, il datore di lavoro non è totalmente libero di decidere se ricorrere o meno al lavoro agile. In effetti, il Dpcm dell’11 marzo scorso prevede che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalita’ di lavoro agile per le attivita’ che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalita’ a distanza”, osserva Vittorio De Luca dello Studio De Luca & Partners. Il legale invita tuttavia a considerare che “sul datore di lavoro incombe un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del lavoratore”. In altre parole. “l’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che – secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica – sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro. Deve cioe’ adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attivita’ esercitata, le misure generiche dettate dalla comune prudenza e tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoratore”. La violazione di questo obbligo, dice De Luca, “comporta il rischio che sia imputata al datore di lavoro la responsabilita’, in questo caso, di un eventuale contagio e della diffusione dello stesso. Potrebbe essere pertanto chiamato a risarcire il lavoratore per l’eventuale danno patito e a rispondere dei reati che danno origine alla responsabilita’ amministrativa della societa’”.
Qui la news lanciata da Finanza TgCom24.
Qui la notizia ripresa da Business People in merito al commento di Vittorio De Luca.
Da un giorno con l’altro le imprese hanno dovuto ripensare l’organizzazione del lavoro, rivalutando il telelavoro. Ma cosa succede se c’è chi non ha voluto o potuto adottare questa nuova modalitàda tradurre in inglese e francese.
Nonostante l’emergenza coronavirus, l’invito del governo a stare a casa e a utilizzare – dove possibile – la modalità del lavoro agile, l’azienda non ricorre al lavoro agile? Il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile di un eventuale contagio del dipendente. È il punto di vista di Vittorio De Luca di De Luca & Partners, studio legale specializzato in diritto del lavoro. “Diciamo subito che sino a quando non sarà cessata l’emergenza Covid-19, il datore di lavoro non è totalmente libero di decidere se ricorrere o meno al lavoro agile”, sottolinea l’avvocato. “In effetti, il Dpcm dell’ 11 marzo, prevede che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Nella sua analisi De Luca considera anche il fatto che sul datore di lavoro incomba un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del lavoratore (art. 2087 cod. Civ.). “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, spiega il legale. “Il datore di lavoro deve, cioè, adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, le misure generiche dettate dalla comune prudenza e tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoratore secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica. La violazione di questo obbligo comporta il rischio che sia imputata al datore di lavoro la responsabilità, in questo caso, di un eventuale contagio e della diffusione dello stesso. Il datore di lavoro potrebbe essere pertanto chiamato a risarcire il lavoratore per l’eventuale danno patito e a rispondere dei reati che danno origine alla responsabilità amministrativa della società”.
In merito al lavoro agile e diffusione del virus Covid-19, Vittorio De Luca dello Studio De Luca & Partners commenta: “Siamo in piena emergenza e molte aziende sono state improvvisamente costrette a cercare e ad adottare prontamente alternative al normale svolgimento dell’attività lavorativa.
Anche LeUltimeNotizie.eu riprendono la notizia lanciata da Affari Italiani in merito al commento di Vittorio De Luca.