Il Tribunale di Asti, con ordinanza del 5 gennaio 2022, ha statuito che il periodo di quarantena (ex art. 26, co.1., D.L. 18/2020 ratione temporis applicabile) o di isolamento fiduciario non rileva ai fini del calcolo del periodo di comporto, non solo nei confronti dei soggetti che hanno avuto un contatto stretto con casi di contagio confermati, ma anche nei riguardi dei soggetti risultati positivi al Covid-19. Ciò in quanto impossibilitati per legge a rendere la prestazione lavorativa a prescindere dalla presenza o meno di sintomi legati alla patologia.
Nel caso di specie, la lavoratrice, a seguito di contatto con una propria collega risultata positiva al Covid-19, veniva posta dapprima in quarantena e, successivamente, a seguito di esito positivo del tampone effettuato, in isolamento fiduciario. Il datore di lavoro procedeva al suo licenziamento per superamento del periodo di comporto ai sensi del CCNL di settore.
La lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento intimatole, deducendo che:
Contrariamente a quanto sostenuto dalla lavoratrice, il datore di lavoro sosteneva che la tutela prevista dall’art. 26, comma 1, D.L. n. 18/2020 si riferisse soltanto ai periodi di quarantena con sorveglianza attiva o di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva disposta dall’autorità e non anche alle ipotesi in cui il lavoratore avesse contratto l’infezione da Covid-19.
Secondo il Giudice assegnatario della causa, nel periodo di comporto non avrebbero dovuto essere computate le giornate di assenza dovute a quarantena o isolamento fiduciario previsti dal legislatore per contrastare la diffusione del virus.
Il Giudice – nel richiamare l’art. 26, comma 1, del D.L. n. 18/2020 così come modificato dai successivi interventi legislativi che ne hanno esteso la portata temporale – ha sottolineato come tale disposizione sia stata introdotta con il fine di tutelare quei lavoratori costretti a rimanere assenti dal lavoro poiché sottoposti alle misure di quarantena e di isolamento fiduciario equiparando detta assenza alla malattia ed escludendone la computabilità ai fini del periodo di comporto.
Alla luce di quanto sopra, secondo il Tribunale, nel caso di specie, non avrebbero dovuto essere computati, ai fini del superamento del periodo di comporto, sia i giorni di assenza disposti per quarantena che quelli disposti per isolamento dovuto all’accertamento della positività della lavoratrice al virus.
Si legge, infatti, nella sentenza che “la ratio della norma è quella di non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro che sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore e assunte con provvedimento dalle autorità al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici)” Si continua poi a leggere nella sentenza che ”anche in caso di contagio con malattia, ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre malattie è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che – ancora una volta – prescindono dall’evoluzione della malattia ma dipendono dalla mera positività o meno al virus”.
Su tali considerazioni il Tribunale ha accolto il ricorso della lavoratrice, annullando il licenziamento e disponendo (i) la sua reintegrazione nel posto di lavoro nonché (ii) il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, e in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione come per legge e oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
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Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, sono state introdotte in Italia misure per garantire la pubblica sicurezza, la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro a fronte della diffusione del Covid-19. In questo contesto, è stato introdotto, per coloro che svolgono un’attività lavorativa, formativa o di volontariato, per accedere ai luoghi di lavoro l’obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde (“Green Pass”) a dimostrazione del completamento del ciclo vaccinale, della guarigione o dell’esito negativo del tampone nelle ultime 48/72 ore. Non si è trattato inizialmente di un obbligo di vaccinazione, ma dell’obbligo per i lavoratori (autonomi o subordinati) di dimostrare di essere in possesso dei requisiti descritti per rendere la prestazione lavorativa. Questa misura è stata estesa fino al 31 marzo 2022.
Il Governo italiano, con Decreto-legge 1/2022, ha introdotto l’obbligo vaccinale quale condizione di accesso al luogo di lavoro per i lavoratori che abbiano una età pari o superiore ad anni 50 – obbligo già previsto per i lavoratori del settore sanitario e dell’intero comparto scuola -. In particolare, fino al 15 giugno 2022 è richiesto il possesso e l’esibizione del Green Pass ottenuto a seguito di vaccinazione o guarigione (“Green Pass Rafforzato”). Tale obbligo è rivolto ai cittadini italiani e ai cittadini UE residenti in Italia.
Fino al 31 marzo 2022, chiunque entri in Italia, inoltre, deve presentare: a) il digital “Passenger Locator Form” (PLF), o b) il Certificato Covid europeo da cui risulti:
Versione integrale pubblicata sulla rubrica mensile “La Bussola dell’Imprenditore” in collaborazione con AlteaLex Studio Legale Von Der Seipen.
È stato pubblicato il 24 dicembre 2021 in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 221, intitolato “Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19” (il “Decreto”), in vigore dal successivo 25 dicembre.
In considerazione del rischio sanitario connesso al protrarsi della diffusione del Covid 19, lo stato di emergenza dichiarato dal Consiglio dei Ministri con delibera del 31 gennaio 2020 è stato ulteriormente prorogato al 31 marzo 2022.
A tale data sono state di conseguenza prorogate determinate previsioni in ambito lavoristico volte al contenimento del virus COVID19.
Green Pass in ambito lavorativo
Fino al 31 marzo 2022 i lavoratori, sia del settore pubblico che del settore privato, sono tenuti a possedere e esibire all’atto di accesso ai luoghi di lavoro la certificazione verde (c.d. “Green Pass”).
Pertanto
È richiesto il Green Pass anche per la partecipazione a corsi di formazione se svolti in presenza.
Per lavorare è sufficiente il c.d. Green Pass base, ovverosia la certificazione verde rilasciata a seguito di tampone (molecolare o antigenico), vaccinazione o guarigione da Covid. Continuano a rimanere esclusi i lavoratori esenti dalla campagna vaccinale.
Sul punto si segnala però che lo scorso 5 gennaio il Consiglio dei ministri, su proposta del proprio Presidente e del Ministro della Salute, ha discusso nuove misure finalizzate a tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. Tra esse, vi rientrerebbe l’obbligo vaccinale per i cittadini che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, ad eccezione dei soggetti dichiarati esenti dal personale sanitario competente ovvero immunizzati a seguito di malattia naturale.
Qualora ciò fosse confermato, i lavoratori over 50 anni, a decorrere dal 15 febbraio p.v., dovranno esibire il c.d. Super Green pass all’atto di accesso al luogo di lavoro, ossia una delle certificazioni verdi COVID-19 di vaccinazione o di guarigione (di cui all’articolo 9, comma 2, lettere a), b) e c-bis) del decreto-legge n. 52 del 2021). I lavoratori non in possesso della suddetta certificazione saranno considerati assenti ingiustificati, con conservazione del rapporto di lavoro e senza conseguenze disciplinari sino alla presentazione della stessa, e comunque non oltre il 15 giugno 2022.
La violazione di tale divieto esporrebbe il lavoratore ad una sanzione amministrativa da euro 600 a 1500 euro.
Del decreto contenente, tra le altre, tali nuove misure si attende la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Procedura semplificata smart working
Viene prorogato al 31 marzo 2022 la procedura semplificata per la comunicazione dello smart working. Orbene, sino a tale data, non è necessario l’accordo individuale richiesto dalla disciplina ordinaria di cui alla Legge 81/2017 ed è sufficiente la notifica telematica e massiva al Ministero del Lavoro.
Sorveglianza sanitaria
Rimane confermato l’obbligo di sorveglianza sanitaria dei lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagi, in ragione dell’età, della condizione da immunodepressione e di una pregressa infezione da Covid-19 ovvero da altre patologie che determinano particolari situazioni di fragilità. Di tali lavoratori il medico competente o quello dell’INAIL può accertare l’idoneità alla mansione a cui sono adibiti. L’inidoneità alla mansione, in ogni caso, non giustifica il recesso dal rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro.
Prestazione lavorativa dei soggetti fragili
I lavoratori fragili, fino al prossimo 22 febbraio, continuano a svolgere di norma, secondo la disciplina prevista nei Contratti Collettivi, ove presente, la prestazione lavorativa in modalità agile. Ciò, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti vigenti e specifiche attività di formazione professionale sono svolte da remoto. Con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per la pubblica amministrazione, da adottare entro 30 giorni dalla entrata in vigore del Decreto (ossia entro il 24 gennaio p.v.), verranno individuate le patologie croniche con scarso compenso clinico e con particolari connotazioni d gravita da prendere in considerazione.
Congedi parentali
Prorogate sino al prossimo 31 marzo anche le previsioni di cui all’art. 9 del D.L. 146/2021, convertito con modificazione nella Legge 215/2021 (c.d. Decreto Fiscale), le quali disciplinano i congedi parentali durante il periodo emergenziale.
In particolare, viene prorogata la possibilità per i lavoratori genitori di figli minori di 16 anni conviventi di fruire dei congedi parentali in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza, di infezione da covid-19 o di quarantena. Tali periodi vengono indennizzati al 50% della retribuzione sino a 14 anni di età del figlio.
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Da una parte l’esigenza di salvaguardare la salute pubblica, a maggior ragione ora che una nuova ondata pandemica va prendendo piede, dall’altra il diritto alla riservatezza garantito dal sistema normativo comunitario e nazionale. È lo scenario nel quale si trovano a fare i conti molte aziende a fronte dell’obbligo per i lavoratori di possedere ed esibire il green pass. A partire da oggi il certificato si sdoppia, distinguendo, da un lato, il c.d. green pass “rafforzato” (ossia la certificazione che spetta solo a coloro che hanno concluso l’iter vaccinale e a coloro che sono guariti dal Covid-19) dall’altro il green pass “base” (che si ottiene a fronte di un tampone con esito negativo).
Il punto di partenza, ricorda Vittorio De Luca, Managing Partner dello Studio Legale De Luca & Partners, è l’articolo 32 della Costituzione, in virtù del quale “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tale disposizione deve essere letta congiuntamente all’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che sancisce il diritto alla riservatezza quale diritto fondamentale dell’individuo. “Dunque, il delicato bilanciamento tra diritti fondamentali effettuato dal nostro legislatore è legittimo nella misura in cui il compromesso individuato, cioè l’obbligo di esibizione della certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro introdotto per finalità di tutela della salute pubblica, è quello che comporta il minor sacrificio degli interessi concorrenti, vale a dire quelli privacy”, spiega l’avvocato Vittorio De Luca. Guardando a tale obbligo, anche l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali aveva espresso parere favorevole in merito allo schema di decreto con il quale è poi stato introdotto l’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro, evidenziando come lo stesso fosse legittimo poiché teneva conto, nel rispetto della libertà di scelta in ambito vaccinale, della disciplina della protezione dei dati personali e della disciplina in vigore in materia di certificazioni verdi.
Questo vale anche per la facoltà di consegnare al datore di lavoro copia del proprio green Pass, ottenendo in cambio l’esenzione dai controlli per tutta la durata di validità del documento? Su questo l’esperto ricorda che: “Secondo l’Autorità Garante, che si è espressa con segnalazione al Parlamento e al Governo lo scorso 11 novembre, la conservazione di una copia delle certificazioni è in primo luogo in contrasto con la normativa comunitaria (Considerando n. 48 del Regolamento (UE) 2021/953), secondo la quale, qualora la certificazione non venga utilizzata per scopi medici, non ne ammette la conservazione. Inoltre, tale trattamento di dati personali, si legge nella Segnalazione, violerebbe il principio di esattezza delle informazioni oggetto di trattamento nonché il principio di riservatezza da riconoscere al lavoratore. L’Autorità avverte che la conservazione del green pass non può essere ritenuta legittima sulla base giuridica del consenso del lavoratore e l’adozione, da parte datoriale, di misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, potrebbe causare un incremento importante di oneri, anche sotto un profilo economico”. Di conseguenza, ricorda De Luca, anche se lo scopo di questa misura è meritorio (l’intento è infatti quello di semplificare la vita in azienda, evitando controlli giornalieri), “i datori di lavoro nell’applicazione concreta potrebbero trovarsi a dover porre in essere una serie di adempimenti privacy che potrebbero avere quale conseguenza proprio quella di vanificare l’intento della previsione legislativa”.
Per altro, la legge n. 165 del 19 novembre 2021 di conversione del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 è intervenuta sulla verifica del green pass per i lavoratori in somministrazione, precisando che nei loro confronti il controllo viene effettuato solo dall’utilizzatore, fermo restando l’onere in capo al somministratore di informare i lavoratori circa l’obbligo del possesso e ed esibizione del green pass. “Questa precisazione, senz’altro utile, era già stata oggetto d’attenzione da parte di Assolavoro”, ricorda l’avvocato, “con riferimento a una circolare che aveva chiarito come “l’onere dell’utilizzatore sarà […] quello di verificare il possesso del Green Pass da parte del lavoratore”, rimettendo così in capo all’utilizzatore (presso cui la prestazione viene effettivamente resa) l’onere di verificare il possesso e la validità della certificazione”. La legge di conversione non si è preoccupata invece di disciplinare un’altra ipotesi, maggiormente dibattuta, relativa a chi debba controllare il green pass dei lavoratori subordinati inviati in trasferta presso soggetti terzi, quantomeno nelle ipotesi in cui tale trasferta avvenga senza il preventivo transito presso la sede di appartenenza, lasciando in tale ipotesi ancora margini di opinabilità”, conclude De Luca.
L’Inps, con il messaggio n. 3589 del 21 ottobre 2021, ha fornito dei chiarimenti in merito all’utilizzo del portale istituzionale dell’Istituto “Greeenpass50+” per il controllo massivo del Certificato verde Covid-19, (c.d. “Green pass”), da parte dei datori di lavoro, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPa, con più di cinquanta dipendenti.
Il servizio fornito dall’INPS – che ottiene le informazioni interrogando direttamente la Piattaforma Nazionale DGC (PN-DGC) – consente la verifica asincrona del Green pass con riferimento all’elenco di codici fiscali dei propri dipendenti, noti all’Istituto al momento della richiesta.
Il servizio può essere utilizzato dalle aziende interessate previo accreditamento presso l’istituto seguendo la procedura disponibile sul sito internet (accessibile nella sezione servizi per le aziende e i consulenti) indicando i codici fiscali dei verificatori, cioè dei soggetti autorizzati a controllare il Green pass dei lavoratori, che verranno quindi abilitati.
In particolare, il servizio prevede 3 distinte fasi:
Attraverso questo sistema, da un lato, l’INPS individuerà giornalmente tramite i flussi Uniemens i dipendenti delle aziende accreditate e verificherà il possesso del Green pass da parte di questi ultimi; dall’altro, i verificatori potranno visualizzare ogni giorno tutti i dipendenti dell’azienda, procedendo alla verifica del Green pass solo per coloro che siano effettivamente in servizio.
In risposta si ottiene l’elenco dei nominativi indicati e l’esito, espresso attraverso una croce rossa o una spunta verde, della verifica.
Il lavoratore, se il sistema dovesse indicare che non ha un Green pass valido, ha diritto di chiedere la verifica del certificato in suo possesso al momento dell’accesso al luogo di lavoro tramite l’applicazione Verifica C19.
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