Il “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscrittoil 6 aprile 2021, ha previsto, per i lavoratori rimasti positivi dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi da COVID-19, la riammissione al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in una struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario; il referto molecolare negativo necessario per il rientro dovrà essere indirizzato al medico competente. Inoltre, il Ministero della Salute, con una circolare del successivo 12 aprile, ha dettato le procedure da eseguire per il rientro al lavoro dei dipendenti che hanno contratto il virus. In particolare, per i lavoratori per i quali è stato necessario un ricovero ospedaliero, il medico competente – previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione – deve effettuare la visita medica preventiva per verificare l’idoneità alla mansione indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia. I lavoratori che presentano sintomi meno gravi di malattia possono rientrare in servizio dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. I lavoratori positivi ma asintomatici per tutto il periodo, invece, possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo. Infine, il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo, deve informare il proprio medico curante affinché rilasci una certificazione di malattia salvo che lo stesso non possa essere collocato in regime di lavoro agile. In tal caso, il lavoratore, dopo aver effettuato una quarantena di 10 giorni dall’ultimo contatto con il caso positivo, potrà essere riammesso in servizio dopo essersi sottoposto a tampone molecolare o antigienico, informando il datore di lavoro per il tramite del medico competente, ove nominato.
Lunedì 8 marzo, a partire dalle 12.00 in diretta su Class CNBC (canale 507 Sky) e su www.milanofinanza.it appuntamento con #Ripartitalia, l’agenda per il futuro del lavoro. Vittorio De Luca sarà tra gli ospiti, moderati da Andrea Cabrini, per parlare delle nuove regole del lavoro.
La crisi pandemica ha radicalmente trasformato le dinamiche e i processi del mercato del lavoro imponendo l’adozione di nuovi modelli organizzativi.
Vittorio De Luca, traccia un quadro su carenze e necessità dell’attuale cornice normativa di fronte alle nuove forme di lavoro “liquido”.
Quali interventi normativi potrebbero assicurare la giusta flessibilità e produttività alle aziende per competere nel mercato post-pandemico? Quali tutele garantire ai lavoratori investiti dal processo di cambiamento? Quali le soluzioni adottate all’estero?
Clicca qui per seguire l’intervista.
Le FAQ hanno l’obiettivo di supportare i datori di lavoro nella corretta applicazione della normativa in vigore derivante dal combinato disposto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, della disciplina in materia di salute e sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro e della normativa emergenziale.
Il 17 febbraio 2021 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (l’“Autorità”) ha pubblicato sul proprio sito istituzionale le FAQ (“Frequently Asked Questions”) riguardanti il trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo.
L’Autorità ha innanzitutto chiarito che il datore di lavoro non rientra tra i soggetti legittimati a chiedere ai dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o comunque una copia dei documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19.
Secondo l’Autorità un siffatto trattamento di dati personali sanitari da parte del datore di lavoro non sarebbe consentito né dalle vigenti disposizioni emergenziali né dalla normativa applicabile in materia di salute e sicurezza nei luoghi lavoro, ad oggi contenuta nel “Testo Unico Sulla Salute e Sicurezza Sul Lavoro” (“D.Lgs. 81/2008”).
Le FAQ chiariscono che nel contesto lavorativo neppure il consenso dello stesso lavoratore legittima tale trattamento; il consenso, in tal caso, non può costituire una valida condizione di liceità. Ciò in ragione dello squilibrio e dell’assenza di parità nel rapporto tra il datore di lavoro, titolare del trattamento, e il lavoratore, interessato, i quali non assicurano la libertà di espressione del consenso eventualmente prestato dal lavoratore stesso (sul punto cfr. considerando 43 del Regolamento UE 2016/679 in materia di protezione dei dati personali).
Allo stesso modo, a parere dell’Autorità, il datore di lavoro non può chiedere al Medico Competente di condividere l’elenco dei nominativi dei dipendenti che abbiano aderito alla campagna vaccinale in corso.
E’ il Medico Competente il solo soggetto legittimato a trattare i dati sanitari dei lavoratori, tra i quali rientrano, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica, anche le eventuali informazioni relative alla vaccinazione dei lavoratori medesimi.
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Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 21 gennaio 2021, ha statuito che costituisce giusta causa di licenziamento il comportamento del dipendente che risulti assente dal lavoro per isolamento fiduciario disposto in conseguenza della sua (evitabile) scelta di trascorrere le ferie all’estero. La pronuncia del Tribunale trae origine dall’impugnazione promossa da una lavoratrice licenziata in quanto, a valle di reiterate assenze a vario titolo (ferie, permessi 104, malattia del figlio ecc.) e rientrata da ultimo da un periodo di ferie in Albania, era rimasta assente dal lavoro per 14 giorni per osservare la quarantena obbligatoria per legge. Assenza, questa, che aveva peraltro causato “pesanti problemi organizzativi (…), procurando in tal modo grave nocumento all’azienda”. La lavoratrice impugnava il licenziamento denunciandone la nullità – ritenendola imputabile a motivo ritorsivo e in quanto tale illecito – e, gradatamente, la carenza degli estremi della giusta causa essendo il fatto ben giustificabile dall’osservanza di un obbligo di legge.
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Dall’inizio di febbraio 2020, le autorità pubbliche italiane – per contenere il rischio di contagio e mitigare gli effetti economici e sociali della pandemia – hanno introdotto diverse disposizioni emergenziali garantendo un sostegno finanziario alle famiglie, alle imprese e ai lavoratori.
Inoltre, a seguito dell’emergenza in corso, il Governo italiano continua a rinviare l’efficacia di alcune misure di emergenza e ne introduce di nuove in quanto lo stato di emergenza epidemiologica, ad oggi, scade il 31 gennaio 2021.
Tutte le aziende stanno attraversando un momento critico in quanto devono garantire un adeguato livello di sicurezza nell’ambito delle nuove disposizione introdotte, tra cui si annoverano:
Il Governo italiano ha introdotto nuove procedure per l’ottenimento degli ammortizzatori sociali per far fronte alla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa nell’ambito della crisi economica causata dalla Covid-19. In particolare, a partire dal mese di febbraio 2020, il Governo italiano ha introdotto nuovi criteri per la concessione dei seguenti ammortizzatori sociali:
Fermo restando l’osservanza dei principi generali di correttezza e buona fede, non sono previste particolari restrizioni circa i criteri per l’individuazione dei dipendenti da collocare in cassa integrazione. Sul punto, si segnala che solo il personale dirigente non può accedere agli ammortizzatori sociali.
Ai fini dell’individuazione dell’ammortizzatore sociale, le aziende faranno riferimento alle regole generali che tengono conto del numero di dipendenti e della categoria merceologica. In termini generali, la CIGO è concessa alle imprese industriali, mentre il FIS è concesso alle imprese commerciali che occupano tra 5 e 50 dipendenti. L’altro ammortizzatore – CIGD – è concesso alle imprese che non hanno accesso agli altri ammortizzatori sociali.
Per quanto riguarda la durata, il governo ha prolungato la durata degli ammortizzatori sociali più volte nel corso dell’anno. Ad oggi, la durata è la seguente:
Per poter accedere agli ammortizzatori le imprese devono avviare una procedura di consultazione sindacale semplificata che prevede l’invio di un’informativa alle parti sindacali firmatarie del contratto collettivo di lavoro applicato nell’ambito della quale si indicano le ragioni e la misura dell’intervento richiesto. Le organizzazioni sindacali possono richiedere, entro tre giorni, un incontro che può essere svolto anche in modalità telematica.
Le domande di accesso ai regimi di integrazioni salariali CIGO e FIS devono essere inviate all’INPS, mentre le domande di CIGD sono presentate a livello regionale, a seconda della sede del datore di lavoro.
L’indennità corrisposta ai dipendenti ammonta all’80% della retribuzione ordinaria e non può eccedere determinate soglie (l’indennità massima è pari a circa 1.200 euro lordi al mese).
Per quanto riguarda la CIGO e la FIS il datore di lavoro può decidere (di solito nell’ambito della procedura di consultazione) di anticipare il trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori interessati. Mentre, per quanto riguarda la CIGD la stessa viene corrisposta direttamente dall’INPS al dipendente.
Per le imprese che non fanno ricorso agli ammortizzatori sociali (ad eccezione di quelle appartenenti al settore agricolo), il Governo italiano ha introdotte l’esenzione dal versamento dei contributi previdenziali, fatta eccezione per i premi e i contributi all’INAIL.
Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge n. 104/2020 (c.d. “Decreto Agosto”) le imprese che non hanno presentato domanda per le 18 settimane di cassa integrazione ma che hanno già beneficiato degli ammortizzatori sociali Covid-19 a maggio e giugno 2020 possono richiedere l’esenzione dal versamento dei contributi previdenziali, per un massimo di 4 mesi, fino al 31 dicembre 2020. L’esenzione è consentita anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale ai sensi del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 nei periodi successivi al 12 luglio 2020.
L’importo dell’esenzione non può superare il doppio delle ore di cassa integrazione salariale usufruite nei mesi di maggio e giugno 2020.
Inoltre, un ulteriore sgravio contributivo è concesso (per un periodo massimo di 6 mesi dall’assunzione) in favore dei datori di lavoro che assumono dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Il limite massimo di esenzione è pari a circa 8.000 euro su base annua. Tale esenzione sarà consentita anche in caso di trasformazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Infine, ai sensi dell’art. 12 del Decreto Legge n. 137/2020 (c.d. “Decreto Ristori”) i datori di lavoro non agricoli che non fanno richiesta delle 6 settimane di cui al Decreto Ristori (ovvero le 6 settimane aggiuntive descritte nel paragrafo precedente) possono beneficiare dell’esenzione contributive per un ulteriore periodo di 4 settimane, utilizzabile entro il 31 gennaio 2021 nei limiti delle ore di integrazione salariale già percepite dalle aziende nel giugno 2020.
Fino al dicembre 2020, è possibile prorogare o rinnovare i contratti a tempo determinato anche in assenza delle causali di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015. Le proroghe o i rinnovi devono essere effettuati entro e non oltre il 31 dicembre 2020, ma la scadenza di tali contratti può essere successiva a tale data. La durata massima complessiva del contratto a tempo determinato rimane di 24 mesi come previsto dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2015.
Nell’ambito dell’attuale emergenza il Governo ha introdotto il divieto di comminare licenziamenti ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 604/1966 e di avviare procedure di licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223/1991, salvo le seguenti ipotesi:
Nella fase di emergenza è stata introdotta una modalità semplificata per avviare il lavoro agile. Infatti, fino alla fine dello stato di emergenza epidemiologica, il lavoro agile può essere attivato anche in assenza di accordi individuali.
Di conseguenza, una volta terminato lo stato di emergenza, il lavoro agile dovrà essere regolamentato nell’ambito della normativa ordinaria di cui al D.Lgs. n. 81/2017.
Nell’ambito dell’emergenza il ricorso al lavoro agile è risultato notevole anche al fine di limitare la diffusione del virus e garantire la continuità aziendale. Tuttavia, al termine del periodo emergenziale, è auspicabile che il lavoro agile recuperi lo spirito originario di accrescere la competitività delle imprese e al contempo ricercare un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
Infine, anche se è possibile attivare il lavoro agile nella modalità semplificata e, quindi, senza l’accordo individuale con il dipendente, è consigliabile sottoscrivere l’accordo individuale disciplinando, ad esempio: (i) il potere di controllo del datore di lavoro, (ii) alcuni profili relativi all’utilizzo di strumenti informatici che hanno evidenti implicazioni sul trattamento dei dati, (iii) il cosiddetto diritto alla disconnessione.
Fonte: Invest in Tuscany