In questa sede, verranno esaminate la nota diffusa dal Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo il 12 maggio 2020 e la previsione contenuta nell’articolo 1.3 dell’Ordinanza della Regione Lombardia 547 del successivo 17 maggio relativa alla misura della rilevazione della temperatura corporea.

Entrambi i documenti si preoccupano di fornire chiarimenti e indicazioni operative per assicurare una business continuity o una ripresa dell’attività aziendale in sicurezza.

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A.  Le indicazioni della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo

La Procura della Repubblica di Bergamo, con nota del 12 maggio 2020, preso atto della riapertura di numerose attività produttive, ha inteso offrire indicazioni operative agli Organi di Vigilanza deputati alla verifica dell’applicazione del Protocollo condiviso di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID19 negli ambienti di lavoro del 24 aprile 2020 (il “Protocollo”).

Oltre a far cenno dei numerosi provvedimenti emergenziali che si sono susseguiti per il contenimento dell’emergenza da diffusione del COVID19, la nota sottolinea che ai sensi del comma 6 dell’articolo 2 del DPCM 26 aprile 2020 le imprese, le cui attività non sono sospese, devono rispettare i contenuti, tra l’altro, del Protocollo.

Precisato ciò, la nota affronta la questione della natura dei contenuti del Protocollo e delle sanzioni previste in caso di inosservanza.

Al tal proposito, la nota sottolinea che:

  • il Governo, mediante il D.L. 19/2020, ha attribuito il potere di individuare le misure di contenimento al Presidente del Consiglio dei Ministri, che l’ha esercitato con l’emanazione dei Decreti 10 Aprile e 26 Aprile 2020, nei quali sono state espressamente individuate “tali misure: esse, poiché previste dal D.L. 19/2020 ed emanate in attuazione di esso, presentano natura normativa”;
  • essendo i contenuti del Protocollo “misure di contenimento, la loro violazione, al pari dell’inosservanza di qualsiasi altra misura di contenimento, comporta l’applicazione delle sanzioni individuate dal D.L. 19/2020, precisamente dall’art. 4 rubricato ‘Sanzioni e controlli’” e quindi l’applicazione dell’impianto sanzionatorio di cui alla Legge 689/1981 (trattasi di sanzioni di natura amministrativa immediatamente applicabili).

La Procura evidenzia, tuttavia, che l’impianto sanzionatorio di cui alla Legge 689/1981 non prevede il potere di prescrivere l’adozione di misure organizzative e gestionali “che produrrebbero il virtuoso effetto dell’adeguamento dei luoghi di lavoro alle precauzioni anti-contagio indicate nei protocolli e, quindi, il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene allo scopo di ridurre il fattore di rischio Covid-19”.

Per sopperire a questa lacuna, la nota sostiene che alle misure di contenimento contenute nel Protocollo corrispondano i precetti di cui alle norme del D.Lgs. 81/2008 e riprendendo l’articolazione del Protocollo, riporta i seguenti punti in comune:

  • punto 1 “INFORMAZIONE” – “si propone di contestare al datore di lavoro/dirigente la violazione dell’art. 36 c. 2 let. a): per non aver provveduto affinché ciascun lavoratore ricevesse una adeguata informazione sui rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia”;
  • punto 4 “PULIZIA E SANIFICAZIONE IN AZIENDA” – “si propone di contestare al datore di lavoro/dirigente la violazione dell’art. 63 c. 1, in combinato disposto con l’art. 64 c. 1 lett. d) e l’All. IV punto 1.1.6.: per non aver mantenuto puliti i locali di lavoro, facendo eseguire la pulizia”;
  • punto 5 “PRECAUZIONI IGIENICHE PERSONALI” – “si propone di contestare al datore di lavoro/dirigente la violazione dell’art. 18 c. 1 let. f): per non aver richiesto l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro”;
  • punto 6 “DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE” – “si propone di contestare al datore di lavoro/dirigente, in caso di mancata fornitura dei DPI previsti dal Protocollo condiviso, la violazione dell’art. 18 c. I let. d): per non aver fornito ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente”.

B. Ordinanza 547 della Regione Lombardia

Limitatamente, alle società con sedi site nella Regione Lombardia, di fondamentale importanza, per poter assicurare una safety business continuity o una ripresa dell’attività lavorativa in sicurezza, è l’Ordinanza regionale 547 emessa il 17 maggio 2020 ed efficace sino al successivo 31 maggio. La violazione delle disposizioni in essa contenute comporta l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 2 D. L. n. 33/2020.

In questa sede, ci si soffermerà sulla previsione contenuta nell’articolo 1.3 relativa alla rilevazione della temperatura corporea da parte del datore di lavoro o di un suo delegato.

Nello specifico il predetto articolo prevede che il datore di lavoro o un suo delegato è tenuto a rilevare la temperatura corporea del personale dipendente prima dell’accesso al luogo di lavoro o anche qualora durante l’attività il lavoratore dovesse manifestare i sintomi di infezione da COVID19.

Se tale temperatura dovesse risultare superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso o la permanenza nel luogo di lavoro. Le persone in tale condizione saranno momentaneamente isolate e non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede.

Il datore di lavoro sarà tenuto a comunicare tempestivamente tale circostanza, tramite il medico competente di cui al D.Lgs. 81/2008 e/o l’ufficio del personale, all’ATS territorialmente competente, la quale fornirà le opportune indicazioni cui la persona interessata dovrà attenersi.

Nel caso in cui il lavoratore prenda servizio in un luogo di lavoro o svolga la propria prestazione con modalità particolari che non prevedono la presenza fisica del datore di lavoro o suo delegato:

  • lo stesso dovrà tempestivamente comunicare eventuali sintomi da infezione da COVID-19 al datore di lavoro o al suo delegato, astenendosi dal presentarsi sul luogo di lavoro e medesima comunicazione dovrà essere effettuata se i sintomi insorgono durante l’attività lavorativa;
  • di conseguenza, il dipendente non dovrà accedere o permanere nel luogo di lavoro e dovrà mettersi in momentaneo isolamento senza recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede;
  • il datore di lavoro o suo delegato, a sua volta, comunicherà tempestivamente tale circostanza, tramite il medico competente di cui al D.Lgs. 81/2008 e/o l’ufficio del personale, all’ATS territorialmente competente, la quale fornirà le opportune indicazioni cui la persona interessata dovrà rivolgersi;
  • in ogni caso, il datore di lavoro o il suo delegato è tenuto a rammentare – attraverso, per esempio, appositi sms o mail – al personale dipendente l’obbligo di misurare la temperatura corporea;
  • inoltre, il datore di lavoro o suo delegato potrà in ogni momento verificare, anche a campione, l’eventuale sussistenza di sintomi da affezione che impediscono l’inizio o la prosecuzione della prestazione lavorativa da parte del dipendente

Da ultimo, l’ordinanza “raccomanda fortemente” la rilevazione della temperatura anche nei confronti dei clienti/utenti, prima dell’accesso. La raccomandazione si trasforma in un obbligo, in caso di accesso ad attività di ristorazione con consumo sul posto

Se la temperatura dovesse risultare superiore a 37,5°, non sarà consentito l’accesso alla sede e l’interessato sarà informato della necessità di contattare il proprio medico curante.

L’ordinanza si preoccupa di considerare anche l’ipotesi in cui il datore di lavoro non sia fornito di uno strumento di rilevazione idoneo per difficoltà di reperimento sul mercato, ammettendo solo in via transitoria, che lo stesso o suo delegato verifichi all’arrivo sul luogo di lavoro, la temperatura che il dipendente o anche il cliente, prova con strumento personale idoneo.

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Il Tribunale di Bologna, con la sentenza 2759 del 23 aprile 2020, ha chiarito la corretta applicazione e portata dell’articolo 39 del Decreto Legge 17/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”), convertito nella Legge 27/2020, affermando che il lavoratore disabile ha il diritto di svolgere la propria attività in modalità di lavoro agile.

I fatti di causa

Una lavoratrice nel mese di marzo aveva richiesto, stante il proprio stato di invalidità, di essere collocata in modalità lavorativa agile per il periodo dell’emergenza da coronavirus. A sostegno della propria domanda la lavoratrice allegava documentazione medica attestante un’invalidità in misura del 60 per cento. Inoltre, la stessa evidenziava di avere una figlia affetta da disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992.

La società datrice di lavoro rispondeva alla lavoratrice che al momento sarebbe stata collocata in cassa integrazione e che alla ripresa dell’attività lavorativa sarebbero state prese in esame le richieste di collocamento in modalità di lavoro agile pervenute. Tuttavia, alla ripresa dell’attività solo ad alcuni dipendenti veniva concessa la possibilità di lavorare in modalità di lavoro agile e non alla stessa.

Da qui il ricorso sottoposto al Giudice del Lavoro, in via d’urgenza ex articolo 700 cod. proc. civ., finalizzato da un lato, ad accertare l’illegittimità della decisione assunta dalla società e, dall’altro, il diritto a poter prestare l’attività lavorativa in modalità agile.

La decisione del Tribunale

Le fonti normative che si sono succedute negli ultimi mesi per fronteggiare l’emergenza pandemica in corso hanno individuato talune categorie di lavoratori a cui è riconosciuto il diritto o la priorità al lavoro agile.

In particolare, hanno diritto al lavoro agile. i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui al predetto articolo e hanno, invece, la priorità i lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.

Sulla base delle disposizioni normative sopra richiamate, il Tribunale di Bologna ha ritenuto sussistente il diritto della ricorrente a essere collocata in modalità lavorativa agile qualificando la stessa come soggetto “fragile” sia per lo stato di invalida sia per aver a proprio a carico una figlia affetta da grave disabilità. Condizioni queste, sufficienti a giustificare la sussistenza del requisito del fumus boni iuris.

Mentre, per quanto concerne la sussistenza del periculum in mora il giudice di merito ha stabilito che sia la lavoratrice che la figlia sono “gravemente esposte al rischio di contagio, anche in forma grave, e l’emergenza sanitaria è ancora in corso. Vi è più che fondato timore di ritenere che lo svolgimento della attività di lavoro in modalità ordinarie, uscendo da casa per recarsi al lavoro, esponga la ricorrente, durante il tempo occorrente per una pronuncia di merito, al rischio di un pregiudizio imminente ed irreparabile per la salute sua e della figlia convivente”.

Su tali presupposti, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso della lavoratrice ed ordinato alla società di consentirle lo svolgimento delle proprie mansioni in modalità di lavoro agile., riconoscendo come sussistente la compatibilità della modalità agile del lavoro con le caratteristiche della prestazione. Ciò sull’assunto che la ricorrente già utilizzava ordinariamente telefono e strumenti informatici.

Il precedente del Tribunale di Grosseto

Sul tema del lavoro agile. ai tempi del COVID-19 si è anche pronunciato il Tribunale di Grosseto con l’ordinanza 23 aprile 2020. A parere del Tribunale i numerosi provvedimenti emergenziali emanati allo scopo di prevenire la sua diffusione hanno considerato il ricorso al lavoro agile, disciplinato in via generale dalla legge 81/2017, come una priorità.

Pertanto, il datore di lavoro, laddove sia nelle condizioni di applicarlo, non può imporre, come nel caso di specie, al dipendente (disabile) la fruizione delle ferie. Il ricorso alle ferie, secondo il Tribunale, “non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”.

Per completezza si segnala che il sempre maggior rilievo del lavoro agile in questo contesto epidemiologico è stato, da ultimo, confermato dal Decreto Rilancio. In particolare, detto Decreto ha riconosciuto, fino alla cessazione dello stato di emergenza e, comunque non oltre il 31 dicembre 2020, il diritto al lavoro agile ai genitori con figli di età inferiore a 14 anni, le cui mansioni siano compatibili con tale modalità di lavoro. Ciò a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.

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È stato approvato in Commissione alla Camera, il 21 maggio scorso, un emendamento al Decreto Liquidità che limiterebbe la responsabilità dei datori di lavoro qualora i dipendenti dovessero contrarre il COVID-19 in azienda, se seguiranno i protocolli. L’emendamento recita testualmente che: “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da SARS-CoV-2, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del Codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Se l’emendamento in esame dovesse essere approvato in sede di conversione assumerebbe valore normativo quanto annunciato dall’INAIL nelle sue circolari. A questo punto non resta che attendere la conversione in legge del Decreto Liquidità.

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È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 128 del 19 maggio 2020 il Decreto legge 19 maggio 2020 n. 34 (cd. “Decreto Rilancio”), rubricato “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Si tratta di un testo complesso e corposo, costituito da 266 articoli e contenente misure in materia di salute e sicurezza, sostegno alle imprese e all’economia, misure in favore dei lavoratori e delle famiglie, oltre che misure fiscali e disposizioni di settore.

Di seguito verranno riassunte le principali novità connesse ai profili lavoristici introdotte dal Decreto.

A. Modifiche in materia di (i) trattamento ordinario di integrazione salariale (“CIGO”) e assegno ordinario (“FIS”), (ii) Cassa integrazione straordinaria (“CIGS”) e (iii) trattamento di integrazione salariale in deroga (“CIGD”):

1. In materia di Cassa Integrazione ordinaria (“CIGO”) e assegno ordinario (“FIS”) con causale “emergenza COVID-19” di cui all’art. 19 del “Decreto Cura Italia” vengono previste le seguenti principali modifiche e integrazioni:

  • Viene reintrodotto all’art. 19, comma 2, l’obbligo di informazione, consultazione ed esame congiunto con le Organizzazioni sindacali da svolgersi, anche in via telematica, entro i tre giorni successivi rispetto al giorno dell’invio della comunicazione, precedentemente soppresso dalla legge di conversione del “Decreto Cura Italia”.
  • In merito ai nuovi termini, sono stati introdotti due ulteriori commi all’art. 19:
  • il comma 2 bis prevede che “Qualora la domanda sia presentata dopo il termine indicato nel comma 2” – quindi non entro la fine del mese successivo di inizio del periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa – “l’eventuale trattamento di integrazione salariale non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione”;
  • Il comma 2 ter prevede che “Il termine di presentazione delle domande riferite a periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa che hanno avuto inizio nel periodo ricompreso tra il 23 febbraio 2020 e il 30 aprile 2020 è fissato al 31 maggio 2020. Per le domande presentate oltre il predetto termine, si applica quanto previsto nel comma 2 bis”.
  • la platea dei lavoratori interessati dai due ammortizzatori sociali in oggetto deve risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione alla data del 25 marzo 2020 e non più alla data del 23 febbraio 2020 come previsto dalla precedente formulazione di cui all’art. 19, comma 8, del “Decreto Cura Italia”.

2. In materia di trattamento ordinario di integrazione salariale (“CIGO”) per le aziende che si trovano già in Cassa integrazione straordinaria (“CIGS”) di cui all’art. 20 del “Decreto Cura Italia”, viene prevista la seguente modifica:

  • Il trattamento ordinario di integrazione salariale ai sensi dell’art. 19 può essere richiesto per una durata massima di nove settimane per i periodi compresi dal 23 febbraio al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente esaurito tutte le nove settimane precedentemente concesse. Anche in questo caso viene riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento dal 1° settembre al 31 ottobre 2020, fruibili nei limiti finanziari dell’art. 22 ter del “Decreto Rilancio”.

3. Con riferimento alla Cassa integrazione guadagni in deroga (“CIGD”), di cui all’art. 22 del “Decreto Cura Italia” vengono previste le seguenti principali modifiche e integrazioni:

  • Il periodo di integrazione salariale in deroga, può essere riconosciuto per una durata massima di nove settimane per i periodi compresi dal 23 febbraio al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro ai quali sia stato interamente già autorizzato il precedente periodo di nove settimane. Viene, altresì, riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento per i periodi compresi dal 1° settembre al 31 ottobre 2020, fruibili ai sensi dell’art. 22 ter del “Decreto Rilancio”. Per i datori di lavoro del settore turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è possibile usufruire di tali ulteriori quattro settimane anche per periodo precedenti al 1° settembre a condizione che abbiano interamente esaurito il periodo massimo concesso di quattordici settimane.
  • In merito alla procedura da seguire per poter richiedere il trattamento di CIGD, continua a non essere richiesto l’accordo con le Organizzazioni sindacali per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, mentre l’accordo viene richiesto per i datori di lavoro che hanno chiuso l’attività in ottemperanza ai provvedimenti di urgenza emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica.

B. Modifiche in materia di (i) congedi specifici e bonus baby-sitting, (ii) permessi retribuiti ex. Art. 33, L. 104/1992 e (iii) licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

1. Congedi specifici. Modifiche all’articoli 23 del “Decreto Cura Italia”:

  • Viene prorogato fino a 30 giorni, usufruibile fino al 31 luglio 2020, il congedo specifico per i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con figli di età non superiore ai 12 anni;

2. Permessi retribuiti ex articolo 33, L. 104/1992. Modifiche all’articolo 24 del “Decreto Cura Italia”:

  • Il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’articolo 33, comma 3, della L.104/92, viene incrementato di ulteriori 12 giornate usufruibili nei mesi di maggio e giugno 2020.

3. Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Modifiche all’articolo 46, del “Decreto Cura Italia”:

  • viene esteso di ulteriori 5 mesi, decorrenti dal 17 marzo 2020 (e dunque fino al 17 agosto 2020), il termine di preclusione all’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e di sospensione delle procedure instaurate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;
  • viene, altresì, esteso di 5 mesi, decorrenti dal 17 marzo 2020 (e dunque fino al 17 agosto 2020), il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3, L. 604/66;
  • sono sospese per il medesimo periodo tutte le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7, L. 604/66 (procedure per giustificato motivo oggettivo avviate innanzi all’ITL);
  • infine, al datore di lavoro che abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 17 marzo 2020, viene consentito di revocare in ogni tempo il recesso, con conseguente ripristino senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro. Ciò senza oneri né sanzioni a carico del datore di lavoro, a condizione che contestualmente alla revoca faccia richiesta del trattamento di integrazione salariale a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento.

C. Nuove misure in materia di (i) rimodulazione dell’orario di lavoro (ii) diritto al lavoro agile (iii) proroga e rinnovo dei contratti a termine

  1. In materia di rimodulazione dell’orario di lavoro, all’art. 88 del Decreto, rubricato “Fondo Nuove Competenze”, viene previsto che:
  • per l’anno 2020 i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operative in azienda ai sensi della normativa e degli accordi interconfederali vigenti, potranno realizzare specifiche intese di rimodulazione dell’orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa;
  • parte dell’orario di lavoro potrà essere finalizzato a percorsi formativi i cui oneri relativi alle ore di formazione, comprensivi dei relativi contributi previdenziali e assistenziali, saranno a carico di un apposito Fondo denominato “Fondo Nuove Competenze”, costituito presso l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro;
  • i criteri e le modalità di applicazione della misura e di utilizzo delle risorse saranno individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economa e delle finanze, da emanare entro 60 giorni dalla entrata in vigore del Decreto.

2. In materia di lavoro agile, all’art. 90 del Decreto viene riconosciuto ai lavoratori del settore privato con almeno un figlio minore di anni 14 – fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 – un vero e proprio diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, anche in assenza di accordi individuali:

  • il diritto sarà esercitabile a condizione che la modalità di lavoro agile sia compatibile con le caratteristiche della prestazione;
  • la prestazione lavorativa in lavoro agile potrà essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità dal dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro;
  • il datore di lavoro dovrà comunicare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero.

3. In materia di contratti a termine, l’art. 93 del Decreto, rubricato “Disposizioni in materia di proroga o rinnovo dei contratti a termine” prevede la possibilità per i datori di lavoro di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere, anche in assenza di una delle causali previste dal c.d. Decreto dignità.

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Lo studio legale De Luca & Partners rimane a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.

I provvedimenti emergenziali emanati dal Governo per gestire l’emergenza pandemica in corso da Covid-19 hanno attribuito, a tutti gli effetti, al lavoro agile anche la funzione di strumento di contenimento del contagio e conseguentemente di misura per la tutela della salute dei lavoratori.
Il lavoro agile infatti, è una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa che pur consentendone la continuazione, permette, riducendo sostanzialmente gli ingressi e la frequentazione della sede di lavoro, di ridurre i contatti tra le persone e di conseguenza anche i rischi di contagio.
Se è vero che non si può parlare di un diritto del lavoratore al lavoro agile è altrettanto vero che non si può definire mera facoltà, quella del datore di lavoro, ad attivare la modalità di lavoro agile ai tempi del COVID19.


Sul punto, è lo stesso Tribunale di Grosseto (sez. lavoro, ordinanza 23 aprile 2020 ), il cui provvedimento esamineremo nel proseguo ad affermare che: “In tale contesto, il ricorso al lavoro agile, disciplinato in via generale dalla legge 22 maggio 2017, n. 81, è stato considerato una priorità. Per ovvie ragioni, tale modalità lavorativa non può, né poteva, essere imposta in via generale ed indiscriminata; cionondimeno la stessa è stata, reiteratamente e fortemente, raccomandata ed addirittura considerata modalità ordinaria di svolgimento della prestazione nella P.A. (cfr. art. 87, D.L. 18/2020). Inoltre, ai sensi dell’art. 39, co. 2, D.l. ult. cit., “ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017,”
La vicenda trae origine da un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. depositato da un lavoratore che rivendicava il diritto all’attivazione della modalità di lavoro agile.


Il lavoratore, de quo, con mansioni di addetto all’attività di back-office del servizio di assistenza legale e contenzioso, con contratto a tempo indeterminato ed inquadramento al 5° livello del CCNL del settore commercio e terziario:
– con comunicazione del 2 marzo 2020, aveva richiesto al proprio datore di lavoro di poter svolgere la prestazione lavorativa in modalità lavoro agile in considerazione della “personale condizione patologica” essendo invalido civile oltre che a fronte “degli eventi drammatici che stanno interessando il nostro paese”;
– dal 3 marzo 2020 era in malattia e avrebbe dovuto riprendere il servizio il successivo 20 marzo, avendogli il medico prescritto l’allontanamento dal posto di lavoro in quanto, a causa delle patologie croniche polmonari preesistenti, non poteva essere sottoposto al rischio di contrarre l’infezione da COVID19.

In riscontro alla richiesta del dipendente, la società gli aveva prospettato la collocazione in ferie da computarsi su un monte ore non ancora maturato o, in alternativa, la sospensione non retribuita del rapporto fino alla cessazione della incompatibilità indicata nella prescrizione medica.

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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro