La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10404 del 1° giugno 2020, in linea con un consolidato orientamento, ha espresso il principio in base al quale il riconoscimento dell’infortunio o della malattia professionale da parte dell’Inail non comporta automaticamente la responsabilità del datore di lavoro per i danni sofferti dal dipendente.
Il lavoratore di una società di trasporto ricorreva giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico provocatogli dalla patologia cui era affetto (afantrite), contratta – a suo dire – a causa dell’inadempimento da parte della stessa dell’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 cod. civ.
La Corte d’appello territorialmente competente, nel confermare la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso presentato, evidenziava che il lavoratore aveva omesso di fornire la prova del dedotto inadempimento mentre la società convenuta aveva provato “di aver ottemperato nel tempo a tutti gli obblighi normativamente previsti in tema di sicurezza sul lavoro”.
Il lavoratore ricorreva così in cassazione affidandosi a due motivi a cui resisteva la società con controricorso.
La Corte di Cassazione, nel formulare la sua decisione, ha osservato innanzitutto che (i) la responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore discende da norme specifiche e, nell’ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla disposizione di ordine generale di cui all’art. 2087 cod. civ. Disposizione questa che costituisce la norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione.
Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, tale responsabilità non può dirsi integrata ogniqualvolta venga diagnosticata una malattia professionale ad un lavoratore. Infatti, in presenza di tali circostanze, incombe proprio sul lavoratore l’onere di provare il fatto che costituisce l’inadempimento datoriale ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno subìto.
Nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, il lavoratore non ha fornito la prova dell’asserito inadempimento datoriale e, anzi, la società sua datrice di lavoro ha dimostrato di aver ottemperato a tutti gli obblighi normativamente previsti in tema di sicurezza.
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La decisione della Corte di Cassazione in esame si pone in linea con le recenti circolari 13 e 22 emesse dall’INAIL rispettivamente il 3 aprile 2020 e il successivo 20 maggio in tema di equiparazione del contagio da Covid-19 all’ipotesi di infortunio su lavoro.
Non solo. La decisione è conforme anche al dettato normativo di cui all’art. 29 bis dalla Legge 5 giugno 2020 n. 40, di conversione del Decreto liquidità, in materia di obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da Covid-19.
Infatti, detto articolo dispone che, ai fini della tutela contro il rischio di contagio Covid-19, i datori di lavoro adempiono all’obbligo ex art. 2087 cod. civ. mediante (i) l’applicazione delle prescrizioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guidadi cui all’art. 1, comma 14, del DL 16 maggio 2020, n. 33, nonché (ii) l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste.
Nell’ipotesi in cui non trovano applicazione le predette prescrizioni rilevano, secondo quanto disposto dalla disposizione de quo, le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
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