Il 5 dicembre 2023 è stato pubblicato l’accordo di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i Dirigenti delle Banche di Credito Cooperativo sottoscritto da Federcasse ed i sindacati FABI, First/CISL, Fisac/CIGL, UGL Credito e UilCa/UIL.
Le novità introdotte riguardano in primo luogo la parte economica con adeguamenti retributivi differenziati (c.d. “doppio binario”). Nello specifico, a decorrere dal 1° gennaio 2024 la retribuzione annua minima spettante ai dirigenti sarà pari ad euro 73.000. In aggiunta, ai dirigenti che non percepiscono una retribuzione fissa complessiva annua lorda pari almeno ad euro 80.000 è riconosciuto un emolumento economico aggiuntivo denominato “Elemento distinto della retribuzione” di importo pari alla differenza sussistente di volta in volta tra la predetta retribuzione e sino a concorrenza della somma di euro 80.000, suddiviso per 13 mensilità.
Infine, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2024 cesseranno di essere corrisposti: (a) il trattamento di reperibilità (art. 21); (b) l’emolumento per la partecipazione normale a riunioni fuori dell’orario di lavoro (art. 24) nonché la diaria di missione (art. 40).
Con riferimento poi, alla parte normativa, di seguito si riportano le modifiche degli istituti di particolare interesse:
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021, si è nuovamente pronunciato in merito all’estensione o meno del blocco dei licenziamenti, disposto dall’art. 46 del Decreto Cura Italia e confermato dai successi provvedimenti emergenziali, al personale dirigenziale. Nello specifico il Tribunale – contrariamente alle conclusioni a cui era giunto il precedente 26 febbraio – ha statuito che “il dato letterale della norma, in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco“.
Per far fronte ad una situazione di crisi, aggravata dalle conseguenze dell’emergenza pandemica, una società, con comunicazione del 29 aprile 2020, aveva licenziato il proprio Chief Operating Officer per soppressione della posizione, con ridistribuzione delle funzioni allo stesso assegnate tra altri responsabili aziendali.
Il dirigente aveva impugnato il recesso eccependo, da un lato, la sua nullità per violazione dell’art. 46 del D.L. 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”) sull’assunto che il divieto di licenziamento individuale introdotto dalla normativa emergenziale dovesse applicarsi anche al personale dirigenziale e, dall’altro, l’illegittimità dello stesso.
Nel rigettare il ricorso promosso dal dirigente, il Tribunale di Roma ha preliminarmente rilevato che l’art. 46 del Decreto Cura Italia – così come i successivi provvedimenti emergenziali che hanno prorogato il blocco dei licenziamenti – ha espressamente escluso la possibilità di intimare recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge 604/66.
Orbene, sulla base del tenore letterale della norma e sull’assunto che l’art. 3 della Legge 604/66 non si applica ai dirigenti, sia per espressa previsione normativa (art. 10 L. 604/66) che per costante orientamento giurisprudenziale, il Tribunale ha escluso che la figura dirigenziale possa essere ricompresa nel blocco dei licenziamenti.
Il Tribunale ha poi rilevato la “chiara ed evidente simmetria” tra il blocco dei licenziamenti e il ricorso agli ammortizzatori sociali, che ha consentito in maniera pressoché generalizzata alle aziende la possibilità di ridurre il costo del lavoro per far fronte alle perdite. Simmetria confermata, oltretutto, dalla possibilità per i dator di lavoro, introdotta sempre dall’art. 46 del Decreto Cura Italia al comma 1-bis, di revocare i licenziamenti già intimati prima del blocco purché contestualmente venisse fatta richiesta di accesso al trattamento di integrazione salariale.
In ogni caso, a parere del Tribunale, il binomio “divieto di licenziamento” e “ricorso agli ammortizzatori sociali” non regge con riferimento ai dirigenti, in quanto agli stessi non è consentito, in costanza di rapporto, di beneficiare degli ammortizzatori sociali. Un’interpretazione che consentisse di includere il personale dirigenziale nel blocco dei licenziamenti presenterebbe profili di incostituzionalità, in quanto lascerebbe a carico del datore di lavoro gli oneri del rapporto di lavoro dirigenziale pur in presenza di una giustificatezza del recesso.
Il Tribunale ha, inoltre, ritenuto di non poter giungere a conclusioni diverse neppure in ragione dell’ordinanza del medesimo Tribunale del 26 febbraio 2021, a parere della quale il divieto si estenderebbe ai dirigenti poiché “secondo una ‘interpretazione costituzionalmente orientata’ non si capirebbe l’esclusione dei dirigenti dal blocco visto la ratio della norma che è quella di impedire il licenziamento in generale senza distinzione di sorta“.
Con la pronuncia in esame, il Tribunale non ha neanche condiviso l’ulteriore motivazione contenuta nell’ordinanza del 26 febbraio scorso secondo cui sarebbe irragionevole non includere i dirigenti nel divieto poiché protetti dalla disciplina del licenziamento collettivo. Ed infatti, con la sentenza in commento, il Tribunale ha statuito che la diversità tra fattispecie giustifica una diversità di trattamento e non può costituire valido motivo per estendere il beneficio del blocco al licenziamento individuale del dirigente.
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Il percorso logico-giuridico che ha condotto il Tribunale ad escludere l’estensione del blocco dei licenziamenti al personale dirigenziale può risultare condivisibile, poiché in linea con le previsioni di legge e con la ratio dell’intero impianto normativo emergenziale.
Non può non riflettersi, tuttavia, sulla circostanza che la giurisprudenza di merito sino ad oggi intervenuta sull’interpretazione della medesima fonte normativa, sia giunta a soluzioni diametralmente opposte, con una conseguente incertezza per le aziende circa gli esiti e costi dell’eventuale licenziamento delle figure apicali.
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Il 10 settembre 2019 Confcommercio e Manageritalia, in seguito all’accordo di proroga della vigenza del CCNL per i Dirigenti delle Aziende del Terziario dello scorso 11 luglio, hanno sottoscritto un Verbale di accordo in tema di welfare e bilateralità contrattuale. Tra le novità di rilievo si segnala che, a decorrere dal 10 settembre 2019, i redditi derivanti da Piani Azionari o, comunque, derivanti da piani retributivi calcolati su strumenti finanziari “non rilevano ai fini del calcolo del TFR, degli istituti contrattuali diretti o indiretti e dell’indennità sostitutiva del preavviso”. Ciò sia al fine di adeguare il trattamento di Stock Option alle leggi e ai regolamenti vigenti sia per favorire maggiormente l’accesso a strumenti di incentivazione del management.