L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali con un Provvedimento dello scorso 7 marzo 2024 [reso noto con la Newsletter del successivo 3 maggio 2024] ha accolto il reclamo presentato da una lavoratrice che aveva chiesto all’azienda di cui era stata dipendente di accedere al proprio fascicolo personale per conoscere quali informazioni potevano aver dato origine ad una sanzione disciplinare nei suoi confronti.
L’azienda non aveva dato un adeguato riscontro alla richiesta e aveva fornito solo un elenco incompleto della documentazione raccolta, omettendo delle informazioni sulla base delle quali era stata poi irrogata la sanzione disciplinare. Informazioni che venivano fornite alla lavoratrice solo a seguito dell’avvio dell’istruttoria da parte dell’Autorità Garante.
Nelle note di riscontro, la società sosteneva di non aver fornito alla lavoratrice la menzionata documentazione per tutelare il proprio diritto di difesa in giudizio nonché la riservatezza dei terzi coinvolti, rilevando anche una assenza di interesse all’accesso da parte della reclamante poiché la sua richiesta di accedere alle informazioni era intervenuta in un momento in cui il procedimento disciplinare non poteva più essere impugnato.
A fronte di tutto ciò, l’Autorità ha, innanzitutto, ribadito che il diritto di accesso riconosciuto dal Regolamento (UE) 2016/679 (il “GDPR”) ha lo scopo di consentire all’interessato di avere il controllo sui propri dati personali e di verificarne l’esattezza e non può quindi essere negato o limitato a seconda della finalità della richiesta. In base alle disposizioni del GDPR, infatti, non è chiesto agli interessati di indicare un motivo o una particolare esigenza per giustificare le proprie richieste di esercizio dei diritti, né il titolare del trattamento può verificare i motivi della richiesta.
Pertanto, l’accesso ai propri dati personali non può essere negato perché i dati richiesti potrebbero essere utilizzati dall’interessato per difendersi in giudizio in caso di licenziamento.
«La giurisprudenza ha in diverse occasioni ribadito che il diritto di accesso deriva, oltre che dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, dal “rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., come del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva del settore in oggetto prevede che l’azienda datrice di lavoro debba conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall’ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all’attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale” (Corte di Cass. 7 aprile 2016, n. 6775)».
In ragione dei suddetti elementi, l’Autorità ha comminato alla società una sanzione pecuniaria nella misura di euro 20.000,00.
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Il diritto di accesso in breve:
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Subordinare l’applicazione del patto al mantenimento delle mansioni originarie introduce un elemento di indeterminatezza che travolge l’intero patto di non concorrenza.
A confermare tale principio è stata la corte di cassazione con ordinanza n. 10679 del 19 aprile 2024. Nel caso di specie il patto di non concorrenza prevedeva che, se fossero mutate le mansioni del dipendente in costanza di rapporto, quest’ultimo decorsi 12 mesi dalle nuove mansioni, sarebbe stato libero dall’obbligo di non concorrenza. Inoltre, il patto prevedeva che l’area geografica in cui operava l’obbligo di non esercitare attività in concorrenza si riferiva al Veneto e a un ulteriore ambito che la società si riservava di definire all’atto della cessazione del rapporto.
Alla luce di quanto sopra ne consegue che gli elementi che qualificano il contenuto del patto di non concorrenza devono essere determinati “ex ante” ed eventuali clausole che comportano l’indeterminatezza dello stesso (quali la modifica delle mansioni o del territorio) ne determinano la nullità.
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Il Decreto-legge n. 19 del 2 marzo 2024 (c.d. DL PNRR-bis), in vigore dalla stessa data, ha introdotto importanti novità in materia di lavoro, con particolare riferimento agli istituti dell’appalto e della somministrazione di manodopera.
Di seguito si riassumono le novità di maggiore rilievo:
Garanzie nell’appalto: gli appaltatori e i subappaltatori sono tenuti a riconoscere al personale impiegato nell’appalto un trattamento economico complessivo che non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali e territoriali maggiormente applicati nella zona e nel settore connesso alle attività appaltate.
Responsabilità solidale nell’appalto: l’istituto della responsabilità solidale retributiva e contributiva in capo all’utilizzatore viene esteso anche in caso di utilizzazione illecita per somministrazione abusiva e di appalto e di distacco illecito.
Lavoro nero: sono aumentati del 30% gli importi delle sanzioni per i datori di lavoro che impiegano lavoratori in nero.
Sanzioni appalto e somministrazione illecita: introduzione di una sanzione penale in caso di appalto irregolare che prevede la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In caso di “recidiva” (se nei tre anni precedenti il datore di lavoro sia già stato destinatario di sanzioni penali per gli stessi illeciti) l’ammenda viene aumenta a 72 euro.
Inasprimento delle sanzioni in caso di fraudolenza: se il datore di lavoro ha l’intento di eludere norme di legge o contratti collettivi, è applicata la sanzione dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda di 100 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.
Patente a punti nei cantieri: dal 1° ottobre 2024 saranno tenuti al possesso della “patente” le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. Il richiedente deve essere in regola con i seguenti adempimenti: iscrizione alla camera di commercio industria e artigianato; obblighi formativi previsti dall’articolo 37 del D.lgs. 81/2008 verso datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori; possesso del Documento Unico Regolarità Contributiva in corso di validità; possesso del Documento di Valutazione dei Rischi; possesso del Documento Unico Regolarità Fiscale.
Imprese agricole e attività stagionali: inasprimento della disciplina sanzionatoria per cui in caso di superamento del limite di 45 giornate annue delle “prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato” i rapporti di lavoro si trasformano a tempo indeterminato.
Lista di conformità: se all’esito di accertamenti ispettivi in materia di lavoro e di legislazione sociale non emergano violazioni o irregolarità, l’INL rilascia un attestato e iscrive l’impresa in un elenco informatico denominato “lista di conformità INL”. I datori di lavoro per un periodo di dodici mesi dalla data di iscrizione non saranno sottoposti ad ulteriori verifiche nelle materie oggetto degli accertamenti mentre in caso di violazioni o irregolarità accertate attraverso elementi di prova successivamente acquisti dagli organi di vigilanza, l’INL provvede alla cancellazione del datore di lavoro dalla lista.
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Con la sentenza n. 2859 del 31 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del licenziamento disciplinare e delle sue conseguenze in caso di violazione delle procedure previste per legge. Nel caso di specie, l’azienda, nell’irrogare il licenziamento al dipendente non aveva rispettato la procedura prevista dal dall’articolo 53 del R.D. n. 148/1931, omettendo di convocare il lavoratore prima del licenziamento per consentirgli di presentare le proprie giustificazioni a sua difesa. La Corte d’Appello di Palermo, investita della questione, aveva ricondotto il vizio nell’alveo del comma 6 dell’art. 18, disponendo solamente il pagamento di un’indennità risarcitoria. La Corte di Cassazione ha invece stabilito che la violazione di tale norma comporta la nullità del provvedimento disciplinare, in quanto l’invalidità deriva dalla violazione di una norma posta a tutela di un interesse meritevole di protezione, come quello di difesa del lavoratore. Dunque, a parere della Corte, al lavoratore spetterà la tutela reale prevista dall’articolo 18, commi 1 e 2, della Legge n. 300 del 1970, ossia il diritto al reintegro nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni arretrate e il versamento dei contributi previdenziali sin dalla data del licenziamento.
Assogrocery e le organizzazioni sindacali NIdiL CGIL FeLSA CISL e UILTemp hanno sottoscritto lo scorso 19 febbraio l’accordo collettivo che prevede una serie di tutele per gli “shopper”, ossia per i collaboratori che, mediante l’ausilio di piattaforme digitali delle aziende committenti, preparano e consegnano la spesa a domicilio dei clienti.
L’accordo attua, di fatto, quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 81/2015, applicabile alle collaborazioni c.d. “etero-organizzate” nella parte in cui prevede un’esplicita esclusione dell’automatica applicazione della normativa del lavoro subordinato in presenza di accordi collettivi che prevedano specifiche tutele di natura economica per i collaboratori.
L’accordo prevede che gli “shopper” restino lavoratori autonomi nella misura in cui è riconosciuta agli stessi la possibilità di scegliere liberamente quando effettuare la prestazione lavorativa, scegliendo gli slot indicati dalla piattaforma e potendo anche revocare la disponibilità data.
Dal punto di vista economico è previsto, tra le misure più rilevanti, il riconoscimento di un compenso minimo di 12,50 euro per incarico (della durata di un’ora) e un’indennità di disponibilità pari a 1,30 euro con maggiorazioni garantite per il lavoro domenicale e festivo.
Contrattualmente inoltre viene prevista una specifica tutela per la malattia che si concretizza nella sospensione dell’account e nel pagamento di un’indennità giornaliera al ricorrere di specifici eventi oltre che una tutela per la maternità per la quale è previsto un indennizzo economico e il mantenimento del rapporto di collaborazione mediante la sospensione dell’account.
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