Il 30 novembre Alberto De Luca parteciperà all’l’Italian Insurtech Summit e sarà relatore all’interno del panel “Insurtech: c’è carenza di talenti?”

Focus:


Il panel si focalizzerà sulla situazione dei talenti nel settore dell’insurtech, focalizzandosi sulla possibile carenza di competenze e sulle strategie per affrontare questa sfida.
Il panel esplorerà le dinamiche del talento nell’insurtech e cercherà soluzioni pratiche per garantire una forza lavoro qualificata e preparata per le sfide del futuro.

Argomenti di discussione:

  • scenario attuale;
  • competenze chiave;
  • strategie di attraction e retention;
  • formazione e sviluppo.

Il panel mira a offrire una prospettiva approfondita sulla questione della carenza di talenti nell’insurtech, fornendo spunti pratici e soluzioni per affrontare questa challenge in modo efficace.

Gli esperti condivideranno le loro esperienze, offrendo insight preziosi su come garantire che il settore dell’insurtech sia dotato delle competenze necessarie per prosperare nell’era digitale.

A questo link tutte le informazioni sul panel: Insurtech: c’è carenza di talenti? | IIA – Italian Insurtech Association (insurtechitaly.com)

Nell’ordinamento italiano non è in vigore una legge che istituisce il salario minimo legale. Difatti, i parametri per una retribuzione “giusta” sono definiti dalla Carta Costituzione.

Nello specifico, l’art. 36 della Costituzione stabilisce che la giusta retribuzione è quella che assicuri al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa nonché sia proporzionata alla quantità e qualità della prestazione lavorativa.

Tale retribuzione viene solitamente quantificata dalla contrattazione collettiva del settore di riferimento.

A tal proposito la Cassazione ha confermato nella pronuncia n. 27711 dello scorso 2 ottobre 2023 che, nell’ipotesi in cui il salario minimo fosse determinato da una norma, come nel caso del settore delle cooperative, la retribuzione “giusta” deve comunque essere valutata sulla scorta del contratto collettivo comparativamente più rappresentativo nell’ambito del settore di attività o di altri elementi “economici” rilevanti.

Difatti, nella citata pronuncia la Cassazione ha chiarito che il giudice anche laddove vi sia una norma che stabilisca il salario minimo, nella valutazione circa il rispetto dei parametri costituzionali sulla giusta retribuzione, debba verificare la conformità di tale salario anche alla luce di quanto previsto dal CCNL sottoscritto dalle associazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative. In caso di esito negativo, il giudice deve estendere l’indagine ad altri parametri concorrenti quali, ad esempio, gli indicatori economici e statistici utilizzati per misurare la soglia di povertà (indice Istat), la soglia di reddito per accedere alla pensione di inabilità o gli indicatori statistici individuati dalla Direttiva Ue sui salari minimi adeguati (2022/2041).


Il Ministero del Lavoro, con la circolare in commento, ha fornito le prime indicazioni sulle innovazioni più significative introdotte dal decreto-legge n. 48 del 2023, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, in materia di contratti a termine.

Tra gli altri, il chiarimento più significativo fornito dal Ministero riguarda la disposizione di cui al comma 1-ter, dell’art. 24 del decreto-legge n. 48/2023, aggiunto in sede di conversione, il quale prevede che “Ai fini del computo del termine di dodici mesi previsto dall’articolo 19, comma 1, e dall’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015 […], si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (ndr. 5 maggio 2023).

Al riguardo, il Ministero ha chiarito che, in forza della disposizione di cui sopra, eventuali rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le medesime parti in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023 non concorrono al raggiungimento del termine di dodici mesi entro il quale viene consentito liberamente il ricorso al contratto di lavoro a termine.

A decorrere dal 5 maggio 2023 i datori di lavoro potranno quindi liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo (massimo) di dodici mesi, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, ferma restando la durata massima dei contratti a tempo determinato prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

Ad esempio, chiarisce il Ministero, se successivamente al 5 maggio 2023 sia venuto a scadenza un contratto di lavoro a termine instaurato prima di tale data, lo stesso contratto, potrà essere rinnovato o prorogato “liberamente” per ulteriori dodici mesi.

Diversamente, sempre a titolo di esempio, se nel periodo intercorrente tra il 5 maggio 2023 e il 4 luglio 2023 – data di entrata in vigore del comma 1-ter – le parti abbiano già rinnovato o prorogato un rapporto di lavoro a termine per sei mesi, le stesse avranno la possibilità di fare ricorso al contratto a termine per un ulteriore periodo non superiore a sei mesi “senza condizioni”.

È dunque al momento in cui è stato stipulato il contratto di lavoro – se anteriormente al 5 maggio 2023 o a decorrere da tale data – che deve farsi riferimento per l’applicazione di questa previsione.

In proposito, prosegue il Ministero, l’espressione “contratti stipulati” utilizzata al comma 1-ter dell’articolo 24 deve ritenersi riferita sia ai rinnovi di precedenti contratti di lavoro a termine sia alle proroghe di contratti già in essere.

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La leadership sostenibile non può e non deve rappresentare una semplice tendenza del momento, ma deve costituire il nuovo approccio all’imprenditorialità, finalizzato a coniugare profitto economico, con la preservazione e lo sviluppo della collettività a lungo termine.

La leadership sostenibile non può e non deve rappresentare una semplice tendenza del momento, ma deve costituire il nuovo approccio all’imprenditorialità, finalizzato a coniugare profitto economico, con la preservazione e lo sviluppo della collettività a lungo termine

Nell’attuale contesto economico mondiale, sempre più aziende stanno mettendo al centro della loro strategia il perseguimento di obiettivi di sostenibilità.

Tale nuova prospettiva impone ad imprenditori, amministratori e, comunque, a chi è deputato alla guida di un’azienda, un approccio al business diverso rispetto al passato.

È in tale contesto che si inserisce il concetto di leadership sostenibile che può essere definita come l’esercizio di un’impresa che coniuga il perseguimento del risultato economico a breve-medio termine, con la preservazione e lo sviluppo del bene comune a lungo termine.

I pilastri su cui si fonda una leadership sostenibile sono sostanzialmente tre.

Innanzitutto, la sostenibilità ambientale. I nuovi leader non possono più limitarsi alla mera – seppur importante – applicazione della normativa a tutela dell’ambiente. La sostenibilità in tale ambito richiede infatti consapevolezza e conoscenza, oltre che delle questioni ambientali globali e locali, anche dell’impatto della singola organizzazione e dei suoi prodotti sul pianeta nonché delle implicazioni a lungo termine delle loro decisioni e azioni, così da consentire di adottare strategie di lungo termine e pratiche aziendali per la sua tutela.

In tale prospettiva, i “leader sostenibili” non potranno agire in solitaria, ma dovranno necessariamente creare sinergie con l’intera catena di approvvigionamento e la comunità locale affinché i modelli organizzativi adottati all’interno dell’azienda a tutela del “verde” non rimangano lì confinati ed incontrino invece il supporto delle altre organizzazioni e del territorio per un’azione più efficace.

Per lo sviluppo del territorio e della comunità in cui opera l’impresa, il nuovo approccio alla guida dell’impresa deve poi basarsi su valori etici solidi sviluppando così la sostenibilità sociale, il secondo pilastro di una leadership sostenibile.

In tale ottica, sarà richiesto ai leader di concentrarsi sulla promozione di relazioni positive tra l’organizzazione e la società, intesa come persone: dai dipendenti, ai lavoratori dell’intera catena di approvvigionamento, arrivando alle comunità locali ed ai clienti.

In particolare, sarà necessario adottare pratiche aziendali etiche, promuovere la diversità e l’inclusione, la sicurezza sul lavoro, investire nelle comunità locali attraverso iniziative di responsabilità sociale d’impresa, promuovendo e tutelando, più in generale, i basilari diritti umani fornendo altresì gli strumenti necessari per prevenire e, se del caso, gestire opportunamente eventuali impatti negativi delle scelte imprenditoriali sulle persone ed i loro diritti.

Terzo pilastro della nuova leadership è la sostenibilità economica intesa quale equilibrio tra profitto ed interesse pubblico.

Sotto tale punto di vista, il leader “sostenibile” impiega criteri etici di governance, adotta una gestione responsabile delle risorse finanziarie, privilegia lo sviluppo dell’economia locale, investe in ricerca per l’innovazione tecnologica, il tutto al fine di migliorare la vita della collettività, dei consumatori e di tutti gli stakeholder interessati dall’attività dell’impresa.

Tale nuova modalità di “fare impresa” non è naturalmente priva di sfide dovendo i leader sostenibili modificare i consolidati modelli di business. In tale contesto, inoltre, le pressioni per il conseguimento di un dato risultato economico e la generazione di profitti a breve termine unitamente alla complessità di talune questioni, come quelle globali relative al cambiamento climatico ed alle disuguaglianze, possono naturalmente rappresentare un ostacolo significativo al cambiamento del paradigma.

Proprio per tali ragioni, i nuovi leader, oltre a possedere una mentalità aperta all’innovazione ed una spiccata capacità di apprendimento continuo, non potranno fare a meno di creare un clima di mobilitazione e motivazione generale verso la sostenibilità, coinvolgendo l’intera popolazione aziendale ed oltre.

Ciò potrà avvenire mediante corsi di formazione, campagne di sensibilizzazione, revisioni delle organizzazioni e, perché no, della struttura dei compensi introducendo, ad esempio, sistemi di incentivazione variabile subordinati al raggiungimento dei determinati obiettivi di sostenibilità.

Il coinvolgimento su dette tematiche non dovrà tuttavia arrestarsi alla sola compagine aziendale. I leader sostenibili dovranno infatti essere in grado di divulgare efficacemente ed in modo coerente i valori di sostenibilità a cui aderisce l’impresa anche all’esterno della stessa, senza tuttavia sconfinare nel greenwashing.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dello scorso 6 luglio sono state disciplinate le linee guida per la pianificazione dei flussi d’ingresso per il triennio 2023-2025.

Tale decreto stabilisce i criteri per determinare i nuovi flussi, fissando una quota triennale di 452.000 ingressi per ragioni di lavoro subordinato (stagionale e non), e per il lavoro autonomo destinati agli stranieri residenti all’estero. Di questi, 136.000 sono previsti per il 2023, 151.000 per il 2024 e 165.000 per il 2025. Inoltre, è prevista una quota triennale di 28.500 ingressi per colf e badanti (9.500 per ciascun anno).

Inoltre, il decreto stabilisce anche i termini per la presentazione delle richieste di nullaosta relative alle nuove quote.

Riguardo alle modalità di applicazione, il dpcm impone la necessità di condurre una ricerca di personale in Italia prima di avanzare una richiesta di nullaosta per l’ingresso di extracomunitari. La definizione di “indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale” e le relative ragioni saranno oggetto di una circolare ministeriale che sarà emanata dai Ministeri del Lavoro, del Turismo, dell’Interno, degli Affari Esteri e dell’Agricoltura. In ogni caso, il datore di lavoro dovrà autocertificare, mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la ragione che giustificherebbero l’indisponibilità a ricopre la medesima posizione da parte di un lavoratore già presente sul territorio nazionale.

Non appena il decreto sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sarà possibile definire i termini per la presentazione delle richieste di nullaosta relative alle nuove quote per l’anno 2023.