Il fenomeno prende piede negli Stati Uniti, mentre sono rari i casi in Italia. Quacquarelli (Bicocca): “Certi temi da noi restano tabù”
MILANO – Occupazione in crescita, richieste degli assegni di disoccupazione in calo e salari sopra l’inflazione. Il mercato del lavoro statunitense sta vivendo un periodo d’oro e questo spinge le aziende a cercare nuove strade per reclutare personale. Dopo l’esperienza pandemica, che ha spinto molte persone a cercare un maggiore equilibrio tra vita personale e lavorativa, la componente retributiva è solo una delle leve a disposizione.
Le tendenze emergenti nel campo del welfare aziendale
Tra le nuove tendenze, segnala un’analisi del Wall Street Journal, c’è quella di offrire copertura dei costi per i trattamenti legati alla fertilità. Un impegno che ha anche un valore “sistemico”, considerato che negli States, come nel resto dell’Occidente, il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione mette a rischio la tenuta dei conti pubblici, in quanto comporta maggiori spese per le pensioni a fronte di una quota minore di persone in età da lavoro.
L’offerta di questi benefit non è una novità assoluta, ma se in passato riguardava soprattutto i manager, oggi spesso coinvolge anche figure con retribuzioni limitate come cassiere, magazzinieri e baristi, oltre che assunti part-time.
In cerca di equilibrio tra costi e ritorni
Già da parecchi anni, Apple e Facebook coprono i costi sopportati dalle dipendenti per il congelamento degli ovuli. Secondo un sondaggio della Society for Human Resource Management, attualmente il 25% dei datori di lavoro negli Stati Uniti offre una copertura per la fecondazione in vitro rispetto al 20% nel 2019, prima cioè che scoppiasse la pandemia. Tra le aziende attive su questo fronte ci sono realtà note come Amazon, Target e Starbucks.
Anche se qualcuno inizia a interrogarsi sulla bontà di questa strategia, considerato che comporta esborsi tutt’altro che trascurabili. Così ad esempio Tractor Supply (catena di negozi al dettaglio americana che vende prodotti per la casa, l’agricoltura e la manutenzione di prati e giardini) ha deciso di concedere il benefit a chi è in azienda da almeno un anno.
Le esperienze italiane e il tabù
“Da un punto di vista fiscale e contributivo i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro non concorrono, entro determinate soglie, a formare reddito da lavoro dipendente con conseguente beneficio economico sia per il datore di lavoro, che per il lavoratore”, spiega Vittorio De Luca, managing partner dello studio legale De Luca & Partners.
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D.L. 4 maggio 2023 n. 48, c.d. “Decreto Lavoro“, entrato in vigore lo scorso 5 maggio, ha previsto nuove misure volte, tra le altre, a semplificare gli obblighi di informazione sul rapporto di lavoro che erano stati introdotti a carico delle aziende dal c.d. “Decreto Trasparenza” (D. Lgs. n. 104/2022).
A differenza del passato, alcune delle informazioni che il datore di lavoro era tenuto a dettagliare all’interno del contratto di lavoro o, in un’apposita informativa (durata periodo di prova, formazione, ferie e congedi retribuiti, preavviso di licenziamento e dimissioni, elementi retributivi, orario di lavoro, lavoro straordinario, enti previdenziali e assicurativi) potranno essere ora fornite ai lavoratori indicando semplicemente il riferimento normativo o della contrattazione collettiva, anche aziendale, applicata al rapporto di lavoro. Ai fini della semplificazione, e al fine di garantire uniformità alle comunicazioni fornite dal datore di lavoro, quest’ultimo sarà tenuto a consegnare o a mettere a disposizione del personale, anche mediante pubblicazione sul sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonché gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro.
Con ordinanza n. 9453 del 6 aprile 2023, La Corte di Cassazione si è espressa in tema di licenziamento per scarso rendimento precisando che detta tipologia di recesso rientra nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo che conseguono ad un notevole inadempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali sullo stesso incombenti. In tale ambito, il datore di lavoro è tenuto a fornire la prova che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato – che non costituisce di per sé inadempimento – derivi da una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal prestatore di lavoro ed allo stesso imputabile.
Il fatto affrontato e il giudizio di merito
In data 5 luglio 2016, ad un lavoratore di un istituto bancario, addetto all’Ufficio Sviluppo, veniva intimato un licenziamento per giusta causa sulla base di cinque addebiti disciplinari. Uno dei predetti addebiti si riferiva per l’appunto allo scarso rendimento, contestato per il periodo da novembre 2015 ad aprile 2016, per il quale la banca aveva comparato l’esiguo numero di visite a filiali e clienti dallo stesso effettuate dal lavoratore interessato dal procedimento disciplinare con i dati di produzione degli altri colleghi addetti al medesimo ufficio e mansioni, risultati enormemente superiori.
Nell’ambito del c.d. Rito Fornero e con particolare riferimento all’addebito sullo scarso rendimento, il Tribunale di Treviso, pur accertando la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, confermava la sussistenza dello scarso rendimento e, sulla scorta di ciò, limitava la tutela in favore del lavoratore all’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma 6, Legge n. 300/70, nella misura di 12 mensilità.
In sede di opposizione ex art. 1, comma 57, Legge n. 92/2012, il Tribunale di Treviso confermava la sussistenza dell’addebito sullo scarso rendimento in relazione al quale, superando l’eccezione di violazione del principio di immediatezza della contestazione, ne confermava l’idoneità a giustificare il recesso per scarso rendimento. Stante ciò, detto Tribunale – richiamando il disposto del CCNL applicato al rapporto di lavoro – convertiva il licenziamento per giusta causa in uno per giustificato motivo soggettivo, con condanna del prestatore di lavoro alla restituzione dell’indennità risarcitoria ex art. 18, comma 6, Legge n. 300/70 sopra richiamata, al netto dell’indennità sostitutiva del preavviso.
In sede di appello, la Corte territoriale di Venezia confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Treviso considerando l’inadempimento contestato al lavoratore di notevole entità avuto altresì conto della mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione di attività da parte del lavoratore medesimo.
La sentenza della Suprema Corte
Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione avverso la decisione assunta dalla Corte d’Appello di Venezia, al quale resisteva l’istituto bancario con controricorso.
Con particolare riferimento al tema dello scarso rendimento, la Corte di Cassazione, sulla scorta di propri precedenti, ha confermato che il licenziamento per scarso rendimento rientra tra i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo rispetto al quale incombe sul datore di lavoro l’onere di provare, non solo il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma anche la riconducibilità di esso ad un colpevole negligente inadempimento degli obblighi scaturenti in capo al lavoratore dal sottostante rapporto di lavoro.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha condiviso l’accertamento compiuto dal Tribunale di Treviso rilevando che il lavoratore, in considerazione del modesto numero di visite effettuate presso i clienti e tenuto conto dell’acquisizione di un solo cliente nel periodo di tempo preso in considerazione dal datore di lavoro, avesse reso una prestazione lavorativa insufficiente che, rapportata ai dati di produzione degli altri colleghi, aveva condotto il giudice di prime cure ad accertare l’effettività dello scarso rendimento e della sua gravità.
In tema di prova, gli Ermellini hanno invece rilevato che la corte territoriale di Venezia avesse correttamente “apprezzato l’inadempimento addebitato” al ricorrente, “una volta escluse (…) le situazioni allegate dal lavoratore (…) che avrebbero potuto quantomeno in parte giustificarlo”. Inoltre, la Corte di Cassazione, sempre richiamando propri precedenti, ha precisato che, per la valutazione della gravità dell’inadempimento, “può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione” lo scostamento da parte del lavoratore da eventuali “parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie”, avuto conto dell’attività resa per “un apprezzabile periodo di tempo”.
A sostegno di tale tesi, la Corte di Cassazione ha richiamato un altro suo precedente (Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014) in cui era stata confermata la legittimità di un licenziamento per scarso rendimento intimato ad un lavoratore che era stato provato aver commesso una “evidente violazione della diligente collaborazione dovuta” ed allo stesso imputabile, “in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.
Circa invece l’esiguità del periodo di tempo considerato ai fini della valutazione dell’inadempimento, la Corte di Cassazione non ha condiviso i rilievi del ricorrente, soprattutto, in considerazione del fatto che dagli elementi probatori offerti dal datore di lavoro (i.e., la comparazione dei dati dell’attività del lavoratore licenziamento con quelli dei colleghi) era emersa “una rilevantissima sproporzione tra le prestazioni dell’attuale ricorrente e quelle di diversi suoi colleghi del medesimo ufficio sviluppo; sproporzione che, a sua volta, ben può essere sussunta in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore”.
Il ricorso del lavoratore è stato pertanto rigettato con condanna dello stesso al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (“INL”), con la nota n. 2572 del 14 aprile 2023, ha fornito indicazioni operative per il rilascio di provvedimenti autorizzativi dei sistemi di videosorveglianza e degli strumenti dai quali deriva la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970). Le indicazioni – si legge nella nota operativa – traggono spunto dall’esperienza applicativa e dalle problematiche operative emerse nel tempo anche alla luce dell’evoluzione tecnologica degli strumenti adottabili tenendo, altresì, conto degli orientamenti dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
L’INL ha, tra le altre, precisato che:
La nota in commento chiarisce anche le modalità di utilizzo dei sistemi di geolocalizzazione. L’INL, riferendosi espressamente alle conclusioni che l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha nel tempo condiviso sul tema, richiama le prescrizioni fornite dall’Autorità circa le modalità di configurazione dei sistemi. Questi ultimi, infatti, devono:
L’INL chiarisce, altresì, che la procedura imposta dall’art. 4 della L. 300/1970 si applica anche alle tipologie di lavoro in relazione alle quali sono normativamente estese le medesime tutele del lavoro subordinato tra cui rientrano le collaborazioni che si concretano in prestazioni prevalentemente personali, continuative ed eseguite secondo modalità etero organizzate anche qualora organizzate mediante piattaforme anche digitali.
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Videosorveglianza: nota del Ministero del Lavoro n. 1241 del 1° giugno 2016
Con il messaggio n. 1269 del 3 aprile 2023 l’Inps ha esteso il termine per la presentazione della richiesta di esonero contributivo per i datori di lavoro privati che siano in possesso, alla data del 31 dicembre 2022, della certificazione di parità di genere di cui all’articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.
In particolare, il termine di presentazione per la domanda di esonero contributivo dell’1% (inizialmente fissato al 15 febbraio 2023) è stato differito al 30 aprile 2023.
Con lo stesso messaggio, inoltre, l’Inps annuncia che saranno fornite d’intesa con il Ministero del Lavoro apposite indicazioni per consentire, anche alla luce degli esiti della prima fase applicativa dell’esonero, l’accesso all’agevolazione contributiva ai datori di lavoro che abbiano conseguito la certificazione della parità di genere dopo il 31 dicembre 2022.
Da ultimo, si segnala che il Ministero del Lavoro con il comunicato stampa del 28 novembre u.s., ha reso noto il decreto ministeriale del 20 ottobre 2022 con il quale sono stati definiti criteri e modalità di concessione dell’esonero contributivo per i datori di lavoro privati che conseguano la certificazione della parità di genere introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 162/2021.
Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende più virtuose possono richiedere e il cui ottenimento porta con sé una serie di agevolazioni tra cui: sgravi contributivi in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di € 50.000,00 / anno per ciascuna azienda; criteri di vantaggio in caso di gare d’appalto; possibilità di accedere a un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.