La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21537 del 20 agosto 2019, ha dichiarato illegittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto collettivo applicato prima della sua naturale scadenza anche se lo stesso è receduto dalla propria associazione di categoria (nel caso di specie Confindustria).
I fatti di causa
La Corte distrettuale aveva riformato parzialmente la decisione di primo grado, confermandola nella parte in cui aveva respinto l’opposizione della Federazione Italiana Lavoratori Chimica Tessile Energia Manifatturiera – CGIL Provinciale e la riconvenzionale della società datrice di lavoro avverso detta decisione. Il Tribunale aveva considerato antisindacale la condotta della società consistita nell’aver omesso di informare ed interpellare un sindacato rappresentativo in merito alle trattative e alla successiva conclusione di un nuovo contratto collettivo con le altre organizzazioni sindacali.
La Corte d’appello aveva rilevato che la società datrice, essendo receduta da Confindustria, non era più tenuta a rispettare le intese sindacali sottoscritte dall’associazione del settore (nel caso di specie Federgomma) e, pertanto, libera di applicare ai propri dipendenti il CCNL richiamato nell’accordo aziendale.
Il sindacato firmatario del contratto con Federgomma ricorreva in cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello, a cui resisteva la Società con controricorso.
La decisione della Corte di cassazione
La Suprema Corte, innanzitutto, ha richiamato un suo precedente secondo il quale nel contratto collettivo la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali, invece al singolo datore di lavoro non è consentito recedere unilateralmente dallo stesso, neppure adducendo l’eccessiva onerosità ai sensi dell’art. 1467 cod. civ., salva l’ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore con i sindacati locali.
La Corte ha poi ripreso un altro precedente per il quale va riconosciuta al datore di lavoro la facoltà di recedere da un contratto collettivo postcorporativo stipulato a tempo indeterminato e senza predeterminazione del termine di scadenza. Ciò in quanto il contratto non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti. In caso contrario verrebbe vanificata la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina deve essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione.
Sempre secondo la Corte tale principio è valido purché il recesso sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto e non siano stati lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio.
In questo contesto la Corte richiama due sentenze (cfr sentenza 14511/2013 e sentenza 24268/2013) a parere delle quali nel nostro ordinamento non sussiste un obbligo a carico del datore di lavoro di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali, rientrando nell’autonomia negoziale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con organizzazioni sindacali anche diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente.
Tuttavia, a parere della Corte, nella fattispecie in esame ciò di cui si discute è l’applicazione del contratto collettivo sino alla sua naturale scadenza, in mancanza di una disdetta dello stesso da parte dei soggetti legittimati.
Sul punto la Corte ritiene che nessun principio o norma induce a ritenere consentita l’applicazione di un nuovo contratto collettivo prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare.
All’esito la Cassazione ha così rinviato la sentenza alla Corte distrettuale, in diversa composizione, a cui spetterà il riesame alla stregua dei principi enunciate nella sentenza in esame, oltre alla liquidazione delle spese di lite.