La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18959/2020, ha affermato che l’interesse al distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, ma di tipo solidaristico. L’importante è che non si risolva in una mera somministrazione di lavoro altrui.
Il caso di specie trae origine dal distacco di un lavoratore di una società automobilistica, in temporanea crisi produttiva, presso un’azienda produttrice di componenti meccaniche per auto. Distacco disposto per non disperdere il patrimonio professionale del lavoratore e, quindi, per incrementare la sua “polivalenza funzionale individuale”. Il distacco, inoltre, aveva comportato il mutamento delle mansioni assegnate al lavoratore e la distanza tra le due società (distaccante e discattaria) era superiore a 50 chilometri.
La Corte di Appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto la domanda del lavoratore, finalizzata ad ottenere la costituzione del rapporto di lavoro con l’impresa distaccataria, per carenza dei requisiti legittimanti del distacco.
Ad avviso della Corte d’Appello, infatti, l’interesse legittimo del distaccante era rappresentato dall’utilità di non disperdere, durante la crisi produttiva temporanea, il patrimonio professionale di impresa costituito dalle competenze di ciascun dipendente, incluso il lavoratore ricorrente.
Avverso la decisione di merito il lavoratore ricorreva in cassazione.
La Corte di Cassazione, nel confermare la decisione di merito, ha affermato che l’interesse al distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto. Nel caso in esame, infatti, l’interesse dell’impresa distaccante è consistito nell’incremento della polivalenza professionale del lavoratore in un contesto di crisi aziendale temporanea e in attesa della ripresa produttiva. Le mansioni affidate al dipendente distaccato, infatti, erano diverse da quelle espletate presso il distaccante, con un miglioramento del suo patrimonio professionale.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha stabilito che la violazione della fattispecie prevista dal comma 3 dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 (distacco che comporti un mutamento delle mansioni che richiede il consenso dei lavoratori e distacco con trasferimento ad una unità produttiva sita a più di 50 Km da quella cui il lavoratore sia adibito che richiede la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive) non debba essere sanzionata con la tutela costitutiva, a differenza dell’ipotesi di cui al comma 1 del medesimo articolo.
A parere della Suprema Corte, la possibilità che il lavoratore interessato possa chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del distaccatario è testualmente prevista solo per il caso dell’art. 30, comma 1, del D.lgs. n. 276/ 2003 e non anche per quello di cui al comma 3.
Ad avviso della Corte di Cassazione, l’intenzione del legislatore è quella di prevedere che all’ipotesi ritenuta più grave del distacco senza i requisiti dell’interesse e della temporaneità sia attribuita la tutela civilistica di tipo “costitutiva” e sanzionatoria di tipo “amministrativo” (prima di tipo penale), mentre per le ipotesi disciplinate dal comma 3 debba essere riconosciuta solamente la tutela civilistica di tipo “risarcitorio”.
Tale impostazione, secondo la Corte di Cassazione, è ragionevole e bilanciata rispetto ai sottesi interessi delle parti a che un lavoratore possa espletare la propria prestazione presso un soggetto diverso dal suo datore di lavoro, in presenza di determinati presupposti e/o attraverso particolari modalità spaziotemporali: un conto, infatti, è che nella struttura dell’istituto manchino i requisiti fondamentali dell’interesse e della temporaneità; altro, invece, è rappresentato dal quomodo attraverso cui il distacco venga attuato e tale ultima ipotesi, che non è in contrasto con i fondamenti dell’istituto giuridico, giustifica pienamente una diversa tutela.
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La Suprema Corte è intervenuta in merito alla fattispecie del distacco fittizio di dipendenti.
È sanzionabile una società distaccante per distacco fittizio di dipendenti. Le sanzioni previste dalla Legge Biagi relative ad una legittima e corretta applicazione dell’istituto del distacco non vanno confuse con quelle del Codice Penale inerenti al reato di truffa ai danni dello stato. Nel caso di specie, il profitto del reato di truffa è consistito nel risparmio contributivo e previdenziale che la distaccante avrebbe conseguito tramite il fittizio distacco.
Con la sentenza n. 23291 del 15 luglio 2020, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha sanzionato una società distaccante per distacco fittizio di dipendenti e ha ribadito che non vanno confuse le sanzioni previste dalla Legge Biagi relative ad una legittima e corretta applicazione dell’istituto del distacco e quelle del Codice Penale inerenti al reato di truffa ai danni dello stato.
Ai sensi dell’art. 30, D. Lgs. n. 276/2003 il distacco costituisce quella fattispecie in cui «un datore di lavoro per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa».
Il distacco coinvolge, sotto il profilo soggettivo, tre parti:
e si considera legittimo se sussiste uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante che deve persistere per tutta la durata del distacco che è temporaneo.
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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.
Il Tribunale territorialmente competente, con sentenza n. 106/2019 pubblicata in data 3 febbraio 2020, ha affermato che l’esistenza dei certificati A1 crea una presunzione di regolarità contributiva del lavoratore distaccato.
I fatti
Una Compagnia aerea avente sede legale fuori dal territorio italiano ha adito in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano (“INPS”), in quanto destinataria di un verbale unico di accertamento ispettivo con cui le veniva contestato il mancato pagamento dei contributi previdenziali in Italia di 31 dipendenti.
In particolare, l’INPS, richiamando il principio della lex loci laboris per il quale i lavoratori occupati nel territorio di uno Stato membro devono essere soggetti alla legislazione di tale stato, ha eccepito che:
La decisione del Tribunale
Il Tribunale investito della causa ha accolto il ricorso della Compagnia area, dando seguito alla giurisprudenza comunitaria dalla stessa prodotta secondo cui: l’esistenza dei certificati A1 crea una presunzione di regolarità contributiva del lavoratore distaccato (Corte di Giustizia C-202/97). Secondo la Corte di Giustizia, inoltre, il certificato A1 (ex E 101) è vincolante per l’ente competente dello Stato membro in cui gli stessi lavoratori sono distaccati. Una soluzione contraria, prosegue la Corte di Giustizia, potrebbe, infatti, pregiudicare il principio dell’iscrizione dei lavoratori subordinati ad un unico regime previdenziale, come pure la prevedibilità del regime applicabile e, quindi, la certezza del diritto.
Il Giudice, nell’argomentare la sua decisione, prosegue richiamando il Regolamento (CE) n. 883/2004 del 29 aprile 2004, il quale all’art. 12 dispone che “la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata in un altro Stato Membro, rimane soggetta alla legislazione del primo stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i 24 mesi e che esse non sia inviata in sostituzione di un’altra persona”.
L’ulteriore Regolamento (CE) n. 987/2009 del 16 settembre 2009, richiamato anch’esso dal Giudice adito, dispone, altresì, che in caso di dubbio sulla validità dei certificati A1, l’istituto previdenziale dello Stato membro destinatario del documento deve chiedere direttamente all’istituzione emittente il certificato i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del certificato stesso.
Sulla base delle richiamate disposizione Europee, pertanto, il Giudice investito di tale complessa questione, conclude le proprie motivazioni affermando che:
(i) l’INPS non ha competenza per pronunciarsi sulla validità o meno dei certificati A1 e
(ii) l’unico strumento riconosciuto all’ente previdenziale è la procedura di dialogo e conciliazione, in base alla quale lo stesso avrebbe dovuto rivolgersi previamente all’Autorità del Paese estero per metterla in condizioni di valutare la correttezza dei formulari A1 rilasciati. Nel caso di mancato accordo, l’INPS avrebbe dovuto investire della questione la Commissione amministrativa comunitaria e che, a dispetto dei formulari, ha comunque provveduto ad addebitare la contribuzione omessa in Italia.
In considerazione di quanto sopra esposto il Giudice di prime cure ha dichiarato infondata la pretesa creditoria azionata dall’INPS, compensando le spese del giudizio.
Al fine di agevolare i datori di lavoro nella presentazione delle richieste di rilascio del Modello A1, l’INPS ha realizzato una nuova procedura finalizzata ad informatizzare l’iter procedurale previsto per l’emissione di tale certificazione. Il documento portatile A1 viene rilasciato per attestare legislazione di sicurezza sociale applicabile al lavoratore, titolare del modello, nei casi in cui lo stesso svolga un’attività lavorativa in uno o più Stati che applicano la regolamentazione comunitaria. Dal 1° settembre 2019 le domande di rilascio del modello A1 devono essere presentate esclusivamente in via telematica. Per tutte le domande approvate verrà prodotta la certificazione A1 da rilasciare al lavoratore. L’applicazione, per ogni domanda accolta con numero di protocollo in uscita valorizzato, permette di scaricare in formato PDF la certificazione A1 che sarà memorizzata nell’applicazione. Il richiedente, oltre a poter visualizzare l’esito nel cruscotto web a lui dedicato, sarà avvisato dell’avvenuta definizione della domanda via e-mail e/o via sms rispettivamente all’indirizzo e al numero di telefono mobile indicati nella domanda (se presenti). Una copia del documento portatile A1 verrà trasmessa al richiedente via PEC o via e-mail. Qualora su richiesta dell’Istituzione estera si renda necessario acquisire il documento portatile A1 in formato originale, la certificazione sarà disponibile per il ritiro presso la Struttura territoriale INPS di competenza.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 290 del 12 gennaio 2018, ha fornito un parere in merito alla compatibilità della formazione in un contratto di apprendistato con il distacco ai sensi dell’articolo 30 del Decreto Legislativo n. 276/2003. In proposito, l’Ispettorato del Lavoro non ravvisa ostacoli alla possibilità di avvalersi dell’istituto del distacco nei rapporti di apprendistato fermo restando il rispetto dei requisiti di legge. In particolare, in ordine alla sussistenza dell’interesse del distaccante, all’espressa previsione del distacco nel piano formativo individuale del lavoratore ed infine alla presenza di un tutor adeguato messo a disposizione dal datore di lavoro. Per quanto riguarda la figura di quest’ultimo soggetto, l’Ispettorato, nel richiamare quanto già affermato dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 40/2004, ha osservato che (i) qualora in azienda sia presente un numero idoneo di specializzati, non è assolutamente rilevante la loro localizzazione nell’unità produttiva in cui operano gli apprendisti e (ii) questo discorso vale sia per l’attività di formazione “a distanza” e che per l’attività di “tutoraggio”. In tali casi la condizione è che il tutor sia in grado di garantire l’integrazione fra l’eventuale formazione esterna e quella interna, potendo egli assumere anche solo “la funzione di controllo in ordine alla regolarità ed alla qualità della formazione svolta dal soggetto apprendista”.