Tra le misure emergenziali adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica ed evitare che la stessa potesse avere effetti dirompenti sul piano sociale ed occupazionale, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, introdotto nel nostro Paese dal Decreto “Cura Italia” e successivamente più volte prorogato, costituisce sicuramente ad oggi un tema al centro di un acceso dibattito. Le ripetute proroghe di tale misura, hanno di fatto reso stabile negli ultimi 12 mesi la compressione della libertà d’impresa di gestire i livelli occupazionali in base al fabbisogno effettivo, e ciò anche al di fuori delle ipotesi di ricadute riconducibili agli effetti dell’epidemia. Ciò ha comportato serie riflessioni sulla possibile contrarietà di questo divieto rispetto alla libertà costituzionale dell’iniziativa economica privata di cui all’Art. 41 della Costituzione.
Analoga alla situazione italiana è quella di altri paesi europei, tra cui la Spagna, dove il Real Decreto-Ley n. 9 del 27 marzo 2020, ha introdotto la “prohibiciòn de despido”, ossia il divieto di licenziamento per ragioni economiche legate all’emergenza epidemiologica e che, come in Italia, è stato oggetto di numerose proroghe. Ed è proprio in un contesto sociale, economico e legislativo pressoché analogo a quello del nostro Paese che il Tribunale di Barcellona è venuto a pronunciarsi con una sentenza di notevole risonanza (Juzgado de lo Social N. 1 de Barcelona, Sentencia 283/2020, 15 Dic. 2020). Il Tribunale spagnolo, chiamato ad esprimersi su un licenziamento per ragioni economiche intimato in costanza di divieto, dopo aver analizzato e constatato la sussistenza dei motivi economici posti alla base del recesso (calo di vendite e commesse dovute alla pandemia), si è infatti soffermato ad approfondire il rapporto tra quest’ultimo e la sopra richiamata disposizione legislativa emergenziale. Al riguardo, il giudice spagnolo ha constatato come, sebbene l’articolo 2 del Real Decreto-Ley n. 9 del 27 marzo 2020 preveda che le cause economiche, tecniche, organizzative e produttive, non possano essere intese come cause che giustificano il licenziamento nel periodo emergenziale, è altrettanto vero che il medesimo Decreto, nella sua relazione introduttiva, aveva giustificato l’adozione di tali misure sulla base del loro carattere temporaneo ed eccezionale con l’obiettivo di garantire che gli effetti della crisi da Covid-19 non impedissero il ripristino dell’attività economica e la salvaguardia dell’ occupazione.
Seguendo l’iter argomentativo del giudice spagnolo, la continua reiterazione del divieto in questione ed il conseguente carattere di stabilità che esso è venuto di fatto ad assumere nel contesto economico e sociale spagnolo identificherebbero non solo l’inidoneità della misura stessa rispetto ai fini prestabiliti, ma anche la sua contrarietà con riferimento al quadro costituzionale spagnolo (che analogamente all’art. 41 della Costituzione Italiana protegge e garantisce la libertà d’impresa) ed europeo.
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L’emergenza sanitaria in atto dovuta al diffondersi del nuovo Coronavirus, Covid-19, ha portato il legislatore italiano ad imporre ai datori di lavoro il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo. Inizialmente introdotto dal c.d. Decreto Cura Italia, nei mesi a seguire, il divieto in questione è stato prorogato e sottoposto a diverse condizioni dal legislatore. Da ultimo, con l’art. 12, comma 11, del Decreto Legge 137/2020 (c.d. “Decreto Ristori”) il divieto di licenziamento è stato prolungato al 31 gennaio 2021. Tuttavia, il legislatore ha previsto delle eccezioni a tale divieto, tra le quali si annovera la riduzione del personale regolata da accordi collettivi aziendali che prevedano una incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro per i dipendenti che vi aderiscono. Le controparti sindacali di tali accordi possono essere le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Si richiama così la nozione di contratto collettivo introdotta dall’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 secondo la quale per contratti collettivi si intendono i “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Rispetto, però, a quanto disposto dall’art. 51, viene preclusa la possibilità di stipulare gli accordi in esame alle Rappresentanze Sindacali Unitarie e alle Rappresentanze Sindacali Aziendali per i settori non coperti dagli accordi interconfederali. Ai lavoratori interessati spetta il trattamento di disoccupazione (NASPI).
Il Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104 (il cd. Decreto Agosto) ha previsto una estensione della durata del divieto dei licenziamenti individuali e collettivi per riduzione di personale, introdotto dal Decreto Cura Italia per 60 giorni e poi prorogato dal Decreto Rilancio sino al 17 agosto 2020. Nello specifico il Decreto Agosto ha precluso l’avvio di procedure di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo per tutti i datori di lavoro che non abbiano interamente fruito delle nuove 18 settimane di ammortizzatori sociali ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali per 4 mesi previsto dal decreto medesimo. Sono fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Per gli stessi, inoltre, restano sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020. Vengono esclusi dal divieto in esame: (a) i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale dell’attività medesima ovvero nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo; (b) i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.
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