Lo scorso 24 ottobre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DCPM recante “ulteriori misure attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Il provvedimento in vigore dal 26 ottobre 2020 al successivo 24 novembre sostituisce il precedente DCPM del 13 ottobre, così come modificato e integrato dal successivo DPCM del 18 ottobre. In esso viene ribadito il rispetto del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto lo scorso 24 aprile fra il Governo e le parti sociali. Viene confermato quanto già introdotto dai decreti precedenti sull’uso di mascherine e delle altre misure di protezione, finalizzate alla riduzione del contagio, tra cui il distanziamento fisico e il lavaggio delle mani, e riporta altri protocolli e linee guida nei diversi settori lavorativi. Viene, altresì, fortemente raccomandato, in ambito privatistico, l’utilizzo del lavoro agile così come lo svolgimento delle riunioni private in modalità a distanza. Inoltre, viene raccomandata la differenziazione dell’orario di ingresso del personale da parte dei datori di lavoro privati. Viene anche confermata la sospensione di tutte le attività convegnistiche o congressuali a eccezione di quelle eseguite con modalità a distanza.
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Con il DPCM del 22 marzo 2020 (“Decreto”), il Governo sancisce, sull’intero territorio nazionale, la “sospensione delle attività produttive industriali o commerciali”, salvo che non siano organizzate con modalità di lavoro a distanza o lavoro agile. Le aziende interessate potranno completare le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo p.v., compresa la spedizione della merce in giacenza. Il Decreto definisce, altresì, l’elenco di circa 100 attività che fanno eccezione all’obbligo di sospensione (All.1). Per tali aziende, è espressamente prescritta l’applicazione del Protocollo del 14 marzo 2020 in materia di misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro. Le disposizioni di cui al Decreto producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 sino al 3 aprile 2020.
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Ecco il commento di Vittorio De Luca in merito alle aziende che non hanno potuto ricorrere al lavoro agile responsabili in caso di contagiato, pubblicato da Business Community.
Siamo in piena emergenza e molte aziende sono state improvvisamente costrette a cercare e ad adottare prontamente alternative al normale svolgimento dell’attività lavorativa. In altre parole, le aziende da un giorno all’altro hanno dovuto ripensare e riorganizzare il lavoro e rivalutare il cosiddetto lavoro agile.
Ma cosa succede a tutte quelle aziende che non hanno voluto o potuto adottare questo nuovo approccio al lavoro? In primo luogo, diciamo che sino a quando non sarà cessata l’emergenza Covid-19, il datore di lavoro non è totalmente libero di decidere se ricorrere o meno al lavoro agile.
In effetti, il DPCM dell’11 marzo, prevede che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Occorre poi considerare che sul datore di lavoro incombe un preciso obbligo di protezione della salute psico-fisica del lavoratore che trova la propria fonte nell’art. 2087 cod. civ.
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Il datore di lavoro deve, cioè, adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, le misure generiche dettate dalla comune prudenza e tutte le altre misure che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela del lavoratore secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica.