Con la recente pronuncia n. 17643 del 20 giugno 2023, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui la prescrizione del diritto del lavoratore a ricevere l’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, ad eccezione del caso in cui il datore di lavoro dimostri di aver messo il lavoratore nelle condizioni di godere delle ferie maturate.

Nello specifico, il datore di lavoro deve offrire la prova di avere invitato il lavoratore a fruire delle ferie in tempo utile a garantire che le stesse siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e lo svago cui sono finalizzate. Inoltre, il datore di lavoro deve aver avvisato il lavoratore del fatto che, in caso di mancato godimento delle ferie, queste andranno perse al termine del periodo di riferimento.

Nel caso al vaglio della Corte di Cassazione, una lavoratrice, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, ha adito il Tribunale di Milano chiedendo, tra le altre domande, la condanna del datore di lavoro a corrisponderle una somma a titolo di indennità sostitutiva delle ferie non godute.

Il Tribunale ha parzialmente accolto la richiesta della lavoratrice, mentre la Corte d’Appello di Milano ha accolto l’appello incidentale della lavoratrice, riconoscendole il diritto a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie per un totale di 248 giorni (invece che di 124 giorni come disposto dal Tribunale in primo grado).

Il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, insistendo, tra l’altro, sulla prescrizione del diritto della lavoratrice, stante la prescrizione decennale dell’indennità sostitutiva delle ferie che deve decorrere in costanza di rapporto di lavoro.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, confermando le pronunce dei giudici di merito, ha affermato che la prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti “decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l’avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.

In definitiva, dunque, è meglio non rinviare le ferie quando è il datore di lavoro a invitarne la fruizione per evitare il rischio di perderne definitamente il diritto, compreso quello relativo alla monetizzazione prevista alla fine del rapporto lavorativo.

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Ogni incentivo datoriale rivolto ai lavoratori per indurli a rinunciare alle ferie ovvero a sollecitarli a rinunciarvi deve ritenersi in contrasto con il principio di irrinunciabilità delle ferie e con il diritto del lavoratore a vedersi garantito il beneficio di un riposo effettivo.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13613/2020 ha chiarito che: “Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio fondamentale del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88. Non è compatibile con l’art. 7 della predetta direttiva, una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti”.

Pertanto, il mancato versamento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro si sarebbe posto non solo in contrato con

  • l’art. 7 “Ferie annuali” della direttiva 2003/88 secondo cui: “1.Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.”;
  • ma anche con l’art. 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13613/2020, ha affermato che il datore di lavoro è tenuto a pagare al dirigente le ferie non godute a meno che non prova di averlo messo nelle condizioni di poterne fruire, avvisandolo per tempo e anticipandogli che in caso di mancato godimento le avrebbe perdute.

I fatti di causa

Nel caso di specie, al momento di cessazione del rapporto di lavoro, l’AUSL – datore di lavoro non aveva riconosciuto a un dirigente medico – direttore di struttura complessa – l’equivalente economico delle ferie annuali non godute. Il dirigente adiva così l’autorità giudiziaria per la tutela dei suoi diritti.

I giudici aditi sottolineavano che l’AUSL – datore di lavoro – non aveva dimostrato (come avrebbe dovuto fare in virtù del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite) che il dirigente medico era stato realmente messo nelle condizioni di fruire delle ferie annuali.

A dire della corte territoriale, il mancato versamento dell’indennità per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro si sarebbe posto in contrato con

  • l’art. 7 “Ferie annuali” della direttiva 2003/88 e
  • l’art. 36 della Costituzione.

L’AUSL soccombente depositava così ricorso in Cassazione avverso la sentenza della corte territoriale, affidandosi a tre motivi.

La decisione della Corte di Cassazione

Due dei tre motivi di ricorso – ritenuti infondati – incentrati sul principio di autodeterminazione delle ferie da parte del dirigente sono stati trattati congiuntamente dalla Corte in ragione della loro intima connessione.

A norma dell’art. 21, co. 8, del CCNL di settore “le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili, salvo quanto previsto nel comma 13. Esse sono fruite, anche frazionatamente, nel corso di ciascun anno solare in periodi programmati dallo stesso dirigente nel rispetto dell’assetto organizzativo dell’azienda o ente; in relazione alle esigenze connesse all’incarico affidato alla sua responsabilità, al dirigente è consentito, di norma, il godimento di almeno 15 giorni consecutivi di ferie nel periodo da 1  giugno al 30 settembre”, trattandosi, a ben vedere, di una forma di autodeterminazione non assoluta ma relativa.

In altre parole, secondo la Corte di Cassazione, l’AUSL avrebbe dovuto sollecitare la fruizione delle ferie da parte dell’interessato tanto più che il dirigente nel decidere di fruirne o meno avrebbe dovuto tener conto, a norme della disposizione citata, dell’assetto dell’azienda in relazione alle esigenze connesse all’incarico affidato alla sua responsabilità.

A fronte di tale fattispecie concreta, la Cassazione ha confermato l’irrinunciabilità del diritto alle ferie, garantito dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, richiamando a supporto di tale lettura, l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C-619/16 in cui si ribadiva che “il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuitedeve essere “considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare (…).

In sostanza, a parere della Corte di Cassazione, il datore di lavoro è tenuto “ad assicurarsi concretamente e in piene trasparenza che il lavorare sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo”. In merito a ciò l’onere della prova grava sul datore di lavoro.

E nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione, la AUSL non è stata in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il dirigente fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto. Pertanto, confermando quanto edotto dai giudici di merito, la stessa è giunta alla conclusione che il mancato versamento al dirigente sanitario della indennità per le ferie annuali non fruite all’atto della cessazione del rapporto di lavoro era in contrato con gli artt. 36 Cost. e 7 della Direttiva 2003/88.

Guida al Lavoro pubblica un contributo a firma di Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis a proposito della gestione ferie in tempi di coronavirus.

Il Governo, con gli ultimi provvedimenti emanati, ha individuato i possibili strumenti a disposizione dei datori per la gestione dei rapporti di lavoro nell’ambito dell’emergenza Covid-19 tra i quali la “raccomandazione” a “promuovere la fruizione dei periodi di ferie”. Poiché “raccomandare” non deve significare consentire al datore il potere di derogare alle norme di legge che regolano l’istituto delle ferie, l’imposizione del datore di lavoro della fruizione da parte dei propri dipendenti di periodi di ferie deve essere attentamente ponderata.

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L’istituto delle ferie

A sancire il diritto alla fruizione di un periodo annuale di ferie retribuite quale diritto di rango costituzionale, è il co. 3, art. 36 Cost. che così prevedendo “Il lavoratore ha diritto […] a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”, tra l’altro, ne prescrive l’irrinunciabilità.

Anche l’art. 2109 Cod. Civ. si interessa in maniera articolata dell’istituto delle ferie, così testualmente “Il prestatore di lavoro ha […] anche diritto […] ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell’articolo 2118.”, dettando in tal modo i tre principi cardine relativi alla modalità di concessione e di fruizione dell’istituto:

  • l’imprenditore stabilisce le modalità di godimento delle ferie tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro;
  • la durata delle ferie è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità;
  • l’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie.

La disciplina legale delle ferie è poi completata dal D. Lgs. n. 66/2003 che – in attuazione alla direttiva 93/104/CE in materia di orario di lavoro (come modificata dalla direttiva 2000/34/CE, i cui principi sono stati poi trasposti nella direttiva n. 2003/88/CE) – all’art. 10 “Ferie annuali” statuisce che “1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore. 2. Il già menzionato periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. 3. Nel caso di orario espresso come media ai sensi dell’articolo 3, comma 2, i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di regolazione.

È opportuno sottolineare che il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva stessa. La direttiva 93/104/CE sul tema sancisce la regola secondo cui il lavoratore deve di norma poter beneficiare di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute, tant’è vero che l’art. 7, n. 2, permette di sostituire il diritto alle ferie annuali retribuite con una compensazione finanziaria solo nel caso in cui si ponga termine al rapporto di lavoro (si vedano i punti 28-29, 35 e dispositivo della sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging del 6.4.2006, C- 124/05).

Si tenga presente altresì che la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000, all’art. 31 co. 2 nel disciplinare il diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque ha anche previsto che “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.

Da quanto evidenziato emerge chiaramente che il diritto alla fruizione delle ferie è imposto da norme imperative, anche di rilievo costituzionale, le quali sono finalizzate alla tutela della persona, della personalità e della dignità del lavoratore permettendo l’esplicazione del fine primario dell’istituto: consentire il recupero delle energie psico–fisiche nonché l’estrinsecazione della personalità del lavoratore durante il godimento del tempo libero che altrimenti sarebbe quantomeno alterata e compromessa da uno svolgimento continuato della prestazione lavorativa, dal cosiddetto superlavoro.

Non solo, l’impianto normativo illustrato delinea i caratteri dell’obbligazione che ricade sul datore di lavoro che compatibilmente con le esigenze connesse con la propria organizzazione aziendale, è tenuto a consentire la fruizione delle ferie, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 10, D. Lgs. n. 66/2003 (Cass. 12-06-2001, n. 7951).

A ciò si aggiunga, come si avrà modo di approfondirlo nel proseguo, che l’inadempimento a tali obblighi o la violazione di quanto impartito dalle norme esaminate configura una violazione anche di disposizioni poste a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.

Smaltimento delle ferie ai tempi del COVID-19

Come noto il Governo, con gli ultimi provvedimenti emanati, ha individuato i possibili strumenti a disposizione dei datori per la gestione dei rapporti di lavoro nell’ambito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 in corso.

In particolare, con il Decreto dell’8 marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha “raccomandato”, all’art. 1, co. 1, lett. e), di “promuovere la fruizione dei periodi […] di ferie”. Tale raccomandazione è pure ribadita nel successivo DPCM dell’11 marzo 2020 (Art. 1, comma 7, lett. b).

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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.