Compliance, contratti di agenzia e gestione della privacy: un quadro di complessità crescente

Lo studio legale De Luca & Partners e HR Capital hanno recentemente messo in luce criticità rilevanti in settori strategici come la gestione dei contratti, la compliance normativa e la protezione dei dati. Questi ambiti, fondamentali per le aziende italiane, si confrontano con un’evoluzione normativa che richiede un’attenzione crescente per evitare conseguenze economiche e reputazionali.


Contratti di agenzia per gli influencer: nuove implicazioni economiche e normative


Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha riqualificato quali contratti di agenzia i rapporti di collaborazione commerciale tra una società e alcuni influencer ai quali era affidata l’attività di promozione tramite canali social dei prodotti della società, condannando quest’ultima, in conseguenza della riqualificazione, al versamento dei contributi omessi a Enasarco.


La riqualificazione dei contratti commerciali in contratti di agenzia potrebbe, peraltro, implicare un ulteriore impatto economico significativo per le aziende, ossia il pagamento in favore dell’influencer/agente dell’indennità di cessazione del rapporto da calcolarsi, di norma, sulla base della media annuale dei compensi riscossi dall’influencer/agente negli ultimi cinque anni. Alla luce di quanto precede, sarebbe opportuno che le aziende aggiornassero i propri bilanci con accantonamenti mirati e procedessero alla corretta qualificazione dei contratti già esistenti sanando eventuali irregolarità in essere.

Tuttavia, secondo i name partner dello studio Vincenzo De Luca e Vittorio De Luca, molte aziende non hanno ancora compreso l’urgenza di implementare una adeguata regolamentazione dei rapporti contrattuali.

Contratti di appalto e requisiti di genuinità: rischi penali per le irregolarità

Il rispetto dei requisiti di genuinità nei contratti di appalto è ormai sotto la stretta sorveglianza delle Autorità. Il Legislatore ha recentemente inasprito, sia per i committenti che per gli appaltatori, le conseguenze previste per gli appalti “non genuini” ove si realizzi, di fatto, una somministrazione irregolare di manodopera, prevedendo anche sanzioni di natura penale.
Per essere considerato conforme, un appalto deve rispondere ai tre requisiti ovvero l’assunzione del rischio d’impresa, l’organizzazione dei mezzi e la gestione autonoma del personale da parte dell’appaltatore, con la direzione effettiva delle persone coinvolte da parte dell’appaltatore.
La reintroduzione delle sanzioni penali dal marzo 2024 rappresenta una spinta ulteriore per le aziende a
garantire la trasparenza e l’autonomia dei rapporti di appalto.

Compliance e nuova “Patente a crediti”: un obbligo per aziende e lavoratori autonomi

Dal 1° ottobre 2024 è entrato in vigore il nuovo sistema della “Patente a crediti,” che richiede una serie di
adempimenti formali per chi opera in cantieri o su progetti di ingegneria rilevanti nel territorio italiano.
Sarà un requisito fondamentale per chi deve lavorare (azienda o lavoratore autonomo che opera nel cantiere) sul territorio nazionale.
La compliance per ottenere questa certificazione include documenti come il Durc e il Durf e il rispetto della normativa attinente alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro, obbligando anche le imprese estere che operano in Italia a soddisfare tali requisiti.
L’avvocato Vittorio De Luca illustra che la Patente a crediti è prevista anche per le imprese estere che operano sul territorio italiano, ad esempio nei cantieri immobiliari e di infrastrutture, così come nell’installazione di data center. L’azienda estera potrà essere esentata dalla regolamentazione della “Patente a crediti” soltanto qualora abbia conseguito un titolo equipollente con una certificazione rilasciata nello stato estero.
L’integrazione tra aspetti legali, fiscali e contributivi diventa cruciale per un’operatività trasparente e conforme.
Vi è perciò una interconnessione tra la parte legale e di compliance, curata dallo Studio De Luca & Partners, e quella fiscale e contributiva, gestita dal consulente del lavoro HR Capital, come spiega il Dott. Andrea Di Nino.

Privacy e protezione dei dati: le gravi conseguenze delle violazioni

La gestione della privacy e dei dati personali è diventata uno dei punti focali per le aziende italiane, specie alla luce delle severe sanzioni imposte per le violazioni del GDPR, che possono arrivare fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo.
La Dott.ssa Martina De Angeli spiega che recenti indagini della Procura di Milano hanno evidenziato come una scarsa sicurezza dei sistemi IT possa portare a intrusioni non autorizzate con conseguenze gravi. Oltre a dover segnalare un eventuale data breach entro le 72 ore – si tenga presente che da un punto di vista operativo è un tempo brevissimo, le aziende devono monitorare costantemente i propri sistemi, formando il personale e implementando processi di controllo e monitoraggio continui.

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Le rivelazioni dall’indagine condotta dalla procura di Milano e dal nucleo investigativo dei Carabinieri di Varese che hanno portato alla luce attività di acquisizione illecita di informazioni – riservate, sensibili e personali – e che, nelle ultime ore, stanno dominando il dibattito politico e pubblico italiano, non possono non far riflettere. L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha costituito una task force interdipartimentale per individuare prontamente le attività da intraprendere e le maggiori garanzie a protezione delle banche dati. La task force si pone, tra l’altro, l’obiettivo di definire misure di sicurezza, tecniche e organizzative, adeguate riguardo agli accessi ai database da parte del personale autorizzato, ma anche al complesso delle operazioni svolte dagli incaricati della loro gestione e manutenzione. In attesa di ricevere nuovi aggiornamenti a riguardo, cosa deve sapere un’azienda e cosa può e deve fare in casi analoghi?

Prima di entrare nel merito, occorre far presente che, come è noto, ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 si definisce “violazione dei dati” (c.d. “Data Breach”) qualsiasi violazione di sicurezza che comporta – accidentalmente o in modo illecito – la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati, che possa compromettere la riservatezza, l’integrità o la disponibilità dei dati personali.

In caso di Data Breach, vi sono specifici obblighi da rispettare.

  • Indagini interne, contenimento e valutazione. Non appena se ne venga a conoscenza, è fondamentale identificare la violazione, valutarne la portata e l’impatto sui dati personali e comprenderne la causa in modo da identificare eventuali vulnerabilità da affrontare.
  • Obblighi di Notifica.
  • All’autorità Garante per la protezione dei dati. Le organizzazioni devono notificare la violazione all’Autorità Garante entro 72 ore dal momento in cui ne sono venute a conoscenza, a meno che sia improbabile che la violazione comporti un rischio per i diritti e le libertà delle persone.
  • Ai soggetti coinvolti. Se la violazione comporta un rischio elevato per le persone interessate, queste devono essere informate senza indebito ritardo.
  • Registro delle violazioni. Mantenere una registrazione della violazione verificatasi, compresi i dettagli sulla sua natura, i suoi effetti e le azioni correttive adottate. La registrazione di una violazione non solo è richiesta dalla normativa vigente ma è fondamentale per la conformità aziendale e per gli audit successivi.
  • Attuare le azioni correttive. Implementare e adottare misure correttive per migliorare la sicurezza dei dati e prevenire future violazioni, tra cui la revisione dei protocolli di sicurezza e attivare programmi di formazione dei dipendenti.
  • Rivedere e aggiornare le politiche. Dopo aver affrontato la violazione, è fondamentale rivedere le politiche aziendali di protezione dei dati e i piani di risposta per assicurarsi che siano solidi ed efficaci.
  • Monitoraggio continuo. Attivare il monitoraggio continuo dei sistemi di dati per rilevare e rispondere tempestivamente a qualsiasi altro incidente.
  • Formazione. Vale la pena ricordare che tutte le azioni e le misure adottate non saranno mai del tutto efficaci se chi opera nel quotidiano non è adeguatamente formato.

È appena il caso di precisare che se un Data Breach si è verificato, eventuali misure già adottate dall’azienda non sono sufficienti e devono essere riviste e rafforzate. Anche a questo serve la procedura di Data Breach.

Come anticipato in premessa, le notizie recentemente emerse devono far riflettere. Le informazioni e i dati sono sempre di più “merce preziosa” e la sicurezza tecnica e organizzativa da applicare a tutela e protezione delle informazioni trattate è un tema fondamentale per le aziende. Rafforzare la struttura informatica e prevedere misure di sicurezza avanzate e in continuo aggiornamento non meritano più di essere considerate dei costi ma degli investimenti. Ne beneficerà il business e la reputazione aziendale.

Rassegna stampa:

Il Tribunale di Udine (sezione lavoro, ordinanza 504 del 2 agosto 2024) ha ritenuto legittimo il provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione che una società aveva comminato a una lavoratrice che si era rifiutata di sottoscrivere per accettazione la lettera a soggetto autorizzato al trattamento dei dati personali in base alla normativa in materia di privacy (si veda anche Ntpluslavoro del 26 settembre).

Secondo il Tribunale, per un fatto determinato dalla volontà della dipendente e comunque fuori dalla propria sfera di controllo, la società si è trovata nelle condizioni di dover necessariamente sospendere dal servizio e dalla retribuzione la ricorrente. Se così non avesse fatto, avrebbe di fatto violato le norme di garanzia previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali esponendosi inevitabilmente al rischio di incorrere nelle sanzioni perviste.

Le conseguenze del rifiuto

Il datore di lavoro affida al dipendente non solo risorse e strumenti adeguati a fare in modo che possa effettuare un corretto trattamento dei dati personali, ma anche la responsabilità di trattare tali dati con la dovuta riservatezza, correttezza e diligenza. Se dunque è vero che la nomina a persona designata ha natura unilaterale essendo un atto che promana dalla parte datoriale, è altrettanto vero che la mancata accettazione da parte del lavoratore porta a conseguenze nella gestione del rapporto di lavoro che producono su diversi piani:

– violazione del generale dovere di lealtà e correttezza nell’esecuzione del rapporto;

– inadempimento dei doveri contrattuali;

– integrazione di condotta disciplinarmente rilavante.

Anche sulla base di queste considerazioni, il Tribunale di Udine ha considerato il rifiuto di accettare la nomina come incaricato al trattamento dei dati elemento sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione.

Il caso specifico porta inevitabilmente a domandarsi quali siano, o possano essere, gli effetti e le conseguenze per il datore di lavoro che si trovi suo malgrado di fronte all’ipotesi in cui un lavoratore non accetti l’incarico a soggetto autorizzato al trattamento dei dati personali o, addirittura, manifesti l’intenzione di revocare una accettazione precedentemente fornita.

Logicamente, ma per completezza di ragionamento vale la pena soffermarsi brevemente anche su questo. Il tema non si pone qualora le mansioni assegnate a un lavoratore non presuppongano un trattamento di dati personali. Ad avviso di chi scrive, il tema non si pone per due ordini di ragioni. Da un lato, autorizzare e istruire un lavoratore che non tratta dati personali nell’espletamento delle attività lavorative sarebbe illogico e non necessario. L’articolo 29 del Regolamento Ue 2016/679 (il Gdpr) e l’articolo 2-quaterdecies del Dlgs 196/2003 dispongono, infatti, che a dover essere istruiti siano coloro che hanno “accesso a dati personali” e non coloro che non effettuano alcuna operazione di trattamento. Dall’altro lato, il rifiuto di chi, in ragione delle mansioni assegnate, non accede a informazioni personali non avrebbe alcun impatto nell’espletamento delle quotidiane attività lavorative. Pertanto, anche di fronte a tale ultima ipotesi, non si determinerebbe alcuna condotta potenzialmente rilevante dal punto di vista disciplinare.

Continua a leggere la versione integrale pubblica su Norme e Tributi Plus Lavoro del Il Sole 24 Ore.

Recentemente, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali è tornata sul tema dell’utilizzo dei dati biometrici nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro. “Ad oggi, l’ordinamento vigente non consente il trattamento dei dati biometrici dei dipendenti, per finalità di rilevazione della presenza in servizio”. Lo ribadisce l’Autorità in un provvedimento dello scorso 6 giugno 2024, con il quale ha comminato ad una concessionaria, datrice di lavoro, una sanzione di euro 120 mila (anche) per aver trattato illecitamente i dati biometrici dei propri dipendenti.

L’Autorità è intervenuta a seguito del reclamo di un dipendente, che lamentava:

  • il trattamento illecito di dati personali, attraverso un sistema biometrico installato presso le due unità produttive della società datrice di lavoro e
  • l’utilizzo di un software gestionale con cui ciascun dipendente era tenuto a registrare gli interventi di riparazione svolti sui veicoli assegnati, i tempi e le modalità di esecuzione dei lavori, nonché i tempi di inattività con le specifiche causali.

Con riferimento al primo motivo del reclamo, ossia la segnalazione inerente al trattamento dei dati biometrici, l’Autorità ha​ nuovamente, chiarito che l’utilizzo dei dati biometrici da parte del datore di lavoro non è consentito. Ad oggi, non esiste infatti nessuna norma di legge che preveda l’utilizzo del dato biometrico per la rilevazione delle presenze e con l’occasione, viene ricordato che neanche il consenso manifestato dai dipendenti può essere considerato un idoneo presupposto di liceità. Ciò per l’asimmetria tra le rispettive parti del rapporto di lavoro.

Con riferimento, invece, al secondo motivo del reclamo, l’Autorità ha accertato che la società da più di sei anni, mediante un software gestionale, raccoglieva dati personali relativi alle attività dei dipendenti per redigere report mensili da inviare a casa madre, contenenti dati aggregati sui tempi impiegati dalle officine per le lavorazioni effettuate. Tale attività era stata da sempre effettuata in assenza di un’idonea base giuridica e di un’adeguata informativa che, nel contesto del rapporto di lavoro, sono espressione dei principi di correttezza e trasparenza.

Vale la pena ricordare che quest’ultima attività potrebbe, tra le altre, comportare un indiretto controllo a distanza dell’attività dei lavoratori che, in quanto tale, richiederebbe che siano esperite le garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori: sottoscrizione di un accordo sindacale o, in mancanza, ottenimento di una autorizzazione da parte dell’Ispettorato Nazionale o Territoriale del Lavoro.

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È notizia di qualche giorno fa che il Garante Privacy è tornato recentemente sul tema della conservazione dei metadati delle e-mail aziendali da parte del datore di lavoro. Il provvedimento del 6 giugno, dal titolo “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati”, estende il periodo di conservazione dei metadati da 7 a 21 giorni. Tale pronuncia, la n. 364 del 6 giugno 2024, avviene a distanza di diverse settimane dalla pubblicazione di una prima versione del documento di indirizzo sulla conservazione dei metadati, che aveva suscitato non poche perplessità e discussioni tra gli addetti ai lavori a tal punto da portare l’Autorità ad avviare una consultazione pubblica.

Cosa sono i metadati

Anzitutto, occorre però fare chiarezza sulla definizione di “metadati”. Con tale termine, infatti, non si devono intendere le informazioni contenute nei messaggi di posta elettronica nella loro “body–part”, bensì le informazioni relative alle operazioni di invio e ricezione e smistamento dei messaggi che possono comprendere gli indirizzi email del mittente e del destinatario, gli indirizzi IP dei server o dei client coinvolti nell’instradamento del messaggio, gli orari di invio, di ritrasmissione o di ricezione, la dimensione del messaggio, la presenza e la dimensione di eventuali allegati e, in certi casi, in relazione al sistema di gestione del servizio di posta elettronica utilizzato, anche l’oggetto del messaggio spedito o ricevuto.

Come sopracitato, con le linee di indirizzo dell’Autorità il periodo di conservazione è stato esteso a 21 giorni, e questa finestra temporale è comunque da considerarsi orientativa.

L’eventuale conservazione per un tempo più ampio, infatti, può essere effettuata solo in presenza di particolari condizioni che rendano necessaria l’estensione e, in ogni caso, le specificità di tale esigenza devono essere adeguatamente comprovate.

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