Il Decreto-legge n. 105/2021 ha stabilito l’obbligatorietà, a partire dal 6 agosto 2021, del certificato verde COVID-19 (c.d. Green Pass) per l’accesso ad una serie di servizi/attività, tra cui servizi per la ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per consumo al tavolo al chiuso, per accesso a palestre e cinema, per partecipare alle manifestazioni sportive e culturali e per prendere parte ai concorsi.
Il Green Pass può essere rilasciato:
Il Ministero dell’Interno, in attesa di chiarimenti da parte del Governo sull’obbligo del certificato verde per i lavoratori nell’ambito della loro attività, aveva stabilito con la nota n. 4073 del 5 agosto 2021, che lo stesso non era necessario per accedere alla mensa, al bar e ai circoli aziendali. Ciò, a condizione che fossero stati rispettati i protocolli già vigenti per la prevenzione e il contenimento del contagio da Covid-19.
Nella nota si leggeva che per le mense esterne all’azienda, invece, il certificato verde restava obbligatorio e i lavoratori sprovvisti, sempre secondo le indicazioni del Ministero, avrebbero dovuto consumare il pasto all’aperto o in modalità take-away.
Il Governo, con una FAQ pubblicata lo scorso 14 agosto sul portale istituzionale relativo alla certificazione verde Covid-19, ha fatto dietrofront rispetto a quanto delineato dal Ministero dell’Interno.
Nello specifico è stato stabilito che anche “per la consumazione dei pasti al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verde COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 giugno 2021”. L’obbligo vale sia per il settore pubblico, che per le aziende private.
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Pertanto, da 6 agosto 2021, sarebbe inibito l’accesso alle mense aziendali e ai locai adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione al lavoratore che non esibisce il certificato verde attestante l’avvenuta vaccinazione o la guarigione o il possesso di un tampone (molecolare o antigenico) negativo nelle ultime 48 ore.
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Emergenza Covid-19 e obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro
Confindustria, con una lettera interna del direttore generale trasmessa via e-mail ai direttori delle associate territoriali e settoriali del sistema, ha espresso la propria linea favorevole al possesso del certificato verde Covid-19 (meglio noto come green pass) per accedere ai contesti aziendali-lavoristici.
Secondo la posizione assunta da Confindustria, l’esibizione del certificato verde dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui si fonda il rapporto di lavoro. Di conseguenza, il datore di lavoro, ove possibile, potrebbe adibire il lavoratore non vaccinato a mansioni diverse da quelle normalmente esercitate erogando la relativa retribuzione; se ciò non fosse possibile il datore di lavoro dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dall’azienda.
Certamente, un’iniziativa di questo tipo, insieme al protocollo sulla sicurezza aggiornato lo scorso 6 aprile e al protocollo per le vaccinazioni nei luoghi di lavoro sottoscritto in pari data, è finalizzata a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché lo stesso svolgimento dei processi produttivi. La proposta, tra l’altro, troverebbe ragion d’essere anche a fronte della forte preoccupazione per una possibile terza ondata pandemica che potrebbe condurre a un nuovo arresto del lavoro e alla conseguente necessità di una ennesima proroga degli ammortizzatori sociali “Covid- 19”.
Tuttavia, da un punto di vista prettamente giuridico, la tematica presenta diversi profili di criticità.
Anzitutto, nella sfera dei diritti individuali, occorre considerare l’articolo 32 della Costituzione in materia di “diritto alla salute”, il quale rappresenta, in vero, un caleidoscopio di molteplici forme di tutela della salute. L’articolo in parola sancisce in primo luogo che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», per poi precisare che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
La disposizione costituzionale in commento, dunque, tutela la salute sia come diritto fondamentale del singolo che come interesse della collettività e permette di imporre un trattamento sanitario se diretto, come specificato dalla Corte Costituzionale, «non solo a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri» (si veda in tal senso la sentenza n. 5/2018 della Corte Costituzionale).
Giova al riguardo sottolineare che l’articolo de quo contempla una riserva di legge “rinforzata” per cui affinché possa essere imposto un trattamento sanitario, rendendo dunque lo stesso obbligatorio, è anzitutto necessario che vi sia una legge a prevederlo e, inoltre, che tale legge, da un lato, imponga trattamenti sanitari determinati e, dall’altro, non violi in nessun modo i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Dalla riserva di legge “rinforzata” di cui all’articolo 32 della Costituzione, ne deriva che la costituzionalità di una previsione normativa in tal senso, oltre che presupporre la proporzionalità e la ragionevolezza delle conseguenze derivanti dalla decisione assunta, non può che avere quale premessa fondamentale la certezza dei dati scientifici, attestata dalle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali competenti, della sicurezza del vaccino.
A tal proposito, non stupisce che nell’attuazione del piano vaccinale consapevolmente e volontariamente il legislatore non sia intervenuto per normare l’eventuale obbligatorietà del vaccino, eccetto per le professioni sanitarie e il personale medico-infermieristico. In effetti, per il momento, con il D.L. n. 105 del 22 luglio 2021, è stato previsto il possesso del certificato verde Covid-19 (in alternativa al test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2, con validità di 48 ore dall’esecuzione del test) quale condizione per lo svolgimento di alcune attività per lo più di tipo ricreativo o culturale.
Ciò posto, in assenza di una norma ad hoc che preveda l’obbligo del vaccino per tutti, ci sembrano quanto meno affrettate le considerazioni espresse da alcuni commentatori nei giorni scorsi secondo cui sarebbe legittimo condizionare l’accesso ai locali aziendali all’avvenuta vaccinazione in forza dell’articolo2087 Cod. Civ.; quest’ultima disposizione, come è noto, prevede l’obbligo per il datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.
La versione integrale dell’approfondimento sarà pubblicata sul prossimo numero 33/34 di Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.
“COME È POSSIBILE CHE IL DATORE DI LAVORO NON POSSA CHIEDERE AI DIPENDENTI SE SI SONO VACCINATI, QUANDO INVECE ESIBIREMO IL PASSAPORTO VACCINALE PER ANDARE ANCHE AL RISTORANTE O IN AEROPORTO? OCCORRE UN IMMEDIATO INTERVENTO LEGISLATIVO”
Anche Norme & Tributi Plus Diritto de Il Sole 24 Ore riprende il commento di Vittorio De Luca in merito alla proposta di Confindustria di consentire ai datori di lavoro di richiedere l’esibizione del green pass per poter accedere ai luoghi di lavoro e svolgere le relative attività.
Vittorio De Luca dello Studio De Luca & Partners commenta: “la proposta è quanto mai opportuna per aprire il dibattito sull’utilizzo del passaporto sanitario per la tutela della salute dei lavoratori e per la salvaguardia delle attività produttive, tuttavia dovrà superare alcuni rilevanti profili di criticità. Come è possibile che il datore di lavoro non possa chiedere ai dipendenti se si sono vaccinati, quando invece esibiremo il passaporto vaccinale per andare anche al ristorante o in aeroporto?”.
Da un punto di vista prettamente giuridico, occorre infatti considerare che il Garante della Privacy, per il momento, ha espresso parere negativo sulla possibilità per il datore di lavoro di chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia dei documenti che attestino l’avvenuta vaccinazione.
Continua l’avvocato De Luca: “Vi è poi un problema di limitazione delle libertà personali e dei diritti di rango costituzionale come la salute e il lavoro. La prima è tutelata non solo come diritto fondamentale del singolo ma anche come interesse della collettività. Il secondo, il lavoro, deve essere “effettivo” (art. 4, comma 1, della Costituzione) e pertanto non è ipotizzabile che lo svolgimento dell’attività lavorativa sia riservata ai soli lavoratori che siano stati vaccinati. Ciò, a meno che non intervenga un provvedimento di legge che allo stato ritengo possa difficilmente essere approvato. Anche la soluzione del cambio della assegnazione temporanea a mansioni differenti ovvero del lavoro in modalità “agile” (cosiddetto smart working) possono essere praticabili solamente in un numero di casi limitati. Si pensi ad un operaio che difficilmente potrà lavorare da remoto o anche solo essere adibito a mansioni differenti tali da non richiedere l’accesso ai locali aziendali. Anche a non voler considerare gli aspetti critici sopra indicati, non possiamo trascurare il fatto che tale iniziativa potrebbe comportare indirettamente l’imposizione di un trattamento sanitario, difficilmente compatibile con il dettato dell’art. 32 della Costituzione secondo cui i trattamenti sanitari (come, ad esempio, la vaccinazione) possono essere resi obbligatori solamente per disposizione di legge”.
Ciò posto, a fronte delle varie criticità del tema, “è auspicabile un risolutivo intervento legislativo che sia in grado di operare un corretto bilanciamento fra i diversi diritti costituzionali coinvolti e orientato al principio della ragionevolezza”.