Nella lettura della Corte il diritto alla indennità sostitutiva delle ferie non godute, al termine del
rapporto di lavoro, risulterebbe intrinsecamente collegato al diritto alle ferie annuali retribuite

Con sentenza n. 21781/2022, pubblicata lo scorso 8 luglio, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, si è pronunciata (unitamente ad altre diverse questioni inerenti il pubblico impiego) in merito ad un tema ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, ossia sulla questione relativa ai limiti al diritto del lavoratore di ricevere una indennità economica sostitutiva delle ferie al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ove non ne abbia fruito in natura. 

Come noto, il diritto del lavoratore a godere di ferie annuali retribuite è previsto direttamente dall’art. 36. co.3, della nostra Costituzione il quale altresì aggiunge che questi “non può rinunciarvi”. Il diritto alle ferie trova inoltre ulteriore declinazione all’interno del Codice Civile, all’art. 2109 e nel D.Lgs. 8.4.2003, n. 66, che ribadiscono l’irrinunciabilità del diritto alle ferie retribuite e la sua infungibilità con un’indennità monetaria sostitutiva, se non in caso di risoluzione del rapporto di lavoro. 

Ai fini di una miglior comprensione della sentenza in commento, riguardante un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, occorre inoltre citare l’art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modifiche in L. 7 agosto 2012, n. 135, secondo cui le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della p.a. sono obbligatoriamente fruiti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi, anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro. 

Il caso sottoposto allo scrutinio della Suprema Corte ha visto come parti in causa la Regione Abruzzo e una lavoratrice, che, nel primo grado di giudizio, aveva ottenuto dal Tribunale del Lavoro di l’Aquila l’accoglimento della domanda volta ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la Regione in forza di una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa tra il 2002 e il 2010, oltre al pagamento delle differenze di retribuzione. 

La Corte d’Appello dell’Aquila, in riforma della sentenza impugnata, detraeva dall’importo delle differenze di retribuzione liquidate dal Tribunale quanto calcolato per indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti dalla lavoratrice. 

Nel motivare la propria decisione, la Corte territoriale, richiamando precedenti pronunzie della Cassazione (Cass. n. 10701/2015; Cass. n. 8791/2015 e Cass. n. 4855/2014), riteneva essere a carico del lavoratore che agisce in giudizio per richiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie un duplice onere probatorio, concernente rispettivamente: (i) l’avvenuta prestazione dell’attività lavorativa nei giorni destinati alle ferie; (ii) la circostanza che il mancato godimento dele ferie sia dipeso da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da causa di forza maggiore. 

Quanto al primo aspetto, si legge nella sentenza in commento, la statuizione della Corte d’Appello di l’Aquila, appare conforme ad una giurisprudenza consolidata, secondo la quale il lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento dell’attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l’onere di fornire la prova del relativo pagamento (tra le altre, Cassazione civile, sez. lav., 26 maggio 2020, n. 9791; Cassazione civile, sez. lav., 6 aprile 2020, n. 7696). 

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23697, depositata in data 10 ottobre 2017, ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale in virtù del quale il dirigente, che pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie, non eserciti tale potere, ha diritto alla sola indennità sostitutiva delle ferie per l’annualità in corso, a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo per necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che l’indennità sostitutiva delle ferie trova il suo fondamento, per un verso, nel principio della irrinunciabilità al riposo annuale sancito dalla Direttiva 2003/88/CE e dal D.lgs. n. 66/2003 e, per altro verso, nella generale tutela civilistica prevista in materia di responsabilità contrattuale la quale, tuttavia, presuppone che l’inadempimento della normativa inderogabile in materia di riposo annuale del lavoratore sia imputabile al datore di lavoro. Ebbene, proprio in riferimento alla predetta imputabilità, la Suprema Corta ha osservato che la responsabilità contrattuale del datore di lavoro deve considerarsi attenuata nel caso del dirigente apicale, avendo questi il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, senza alcun condizionamento da parte del datore di lavoro stesso. Da ciò ne consegue che in caso di contestazione circa la mancata fruizione delle ferie da parte del dirigente apicale, il datore di lavoro dovrà provare come egli abbia potuto autonomamente scegliere tempi e modi di godimenti delle ferie ed avrà l’onere di provare che il mancato riposo è riconducibile a necessità aziendali e obiettive.