Con sentenza n. 39129 del 26 settembre 2023, la Corte di Cassazione III Sez. Penale ha affrontato il tema della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001, affermando che “la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito”.
Una Società veniva condannata in primo grado per violazione, ossia per il delitto di lesioni personali gravi commesso in violazione delle norme antinfortunistiche in danno di un proprio dipendente (ex art. 25 septies del D.lgs. 231/01).
Nello specifico, veniva rilevato che la Società – committente dei lavori e titolare del cantiere – aveva omesso di dotare la porta scorrevole presente all’ingresso del luogo di lavoro di un sistema di sicurezza per impedire la fuoriuscita del cancello dalle guide o comunque di cadere. Tale omissione provocava la caduta a terra del lavoratore per essere stato schiacciato dal cancello.
I giudici di seconde cure confermavano la sentenza della Corte Territoriale con la quale veniva addebitata l’omessa dotazione di misure di sicurezza volte a prevenire il rischio “per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza nonché inosservanza delle norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro”.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la Società proponeva ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio dell’ente, dal momento la Società, in concreto, non aveva avuto alcun risparmio di spesa né incremento economico. Ciò, in quanto la spesa per riparare il cancello sarebbe consistita in una cifra “irrisoria”.
La Suprema Corte – dichiarando il riscorso inammissibile – ha colto l’occasione per chiarire che i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità amministrativa degli enti rappresentati dall’interesse e dal vantaggio (art. 5 D.lgs. 231/2001):
Nel caso di specie, l’infortunio era occorso a causa della mancata affissione di segnaletica informativa e dei dovuti interventi di manutenzione che erano stati omessi per non incidere negativamente sui tempi dell’attività produttiva.
A nulla rileva l’esiguità del vantaggio o la scarsa consistenza dell’interesse perseguito, poiché anche la mancata adozione di cautele che possano comportare limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi in violazione della normativa antinfortunistica.
Ritenendo corretta la valutazione della Corte d’Appello, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile condannando la Società al pagamento delle spese processuali.
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Con la previsione di cui all’art. 42, comma 2, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (convertito, con modifiche, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), ormai noto come “Decreto Cura Italia”, si è definitivamente sancita l’equiparazione del contagio da COVID 19, in occasione di lavoro, a infortunio sul luogo di lavoro.
Nella norma, così testualmente, si legge: «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati.».
In sintesi, la disposizione contenuta nell’art. 42 co. 2 del Decreto Cura Italia, precisa che:
In altre parole, in caso di contagio da COVID19 in occasione di lavoro, il lavoratore è coperto dalla tutela assicurativa INAIL, essendo ricondotta la patologia de qua alla causa virulenta ed estendendosi così a tale ipotesi, una tutela già esistente per altre patologie di origine virale.
Si precisa che sono tutelati dall’INAIL, inoltre, anche i casi di contagio da COVID19 avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere.
Con riferimento a tale fattispecie, poiché il rischio di contagio è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza è considerato necessitato l’uso del mezzo privato, in deroga alla normativa vigente e fino al termine dell’emergenza epidemiologica.
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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 54 depositata il 3 gennaio 2020, è tornata a esprimersi sulla distribuzione delle responsabilità in materia di obblighi di prevenzione infortuni nelle società di capitali. Esprimendo un principio generale, la Corte ha prima di tutto evidenziato che nelle società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro“gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia”. Nel caso in esame un consigliere delegato di una società di capitali aveva impugnato la sentenza della Corte di Appello di Firenze, di conferma della pronuncia di primo grado, con la quale era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose, per aver, con condotta omissiva consistente nel non aver adeguatamente adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, cagionato lesioni personali ad un lavoratore infortunatosi nello svolgimento della prestazione lavorativa. Avverso tale decisione ricorreva per cassazione il consigliere delegato. Nello specifico, il ricorrente lamentava in primo luogo che la Corte d’Appello, nell’ascrivergli la responsabilità per l’infortunio, non avesse considerato che all’interno dell’organizzazione aziendale fossero presenti altre figure specificamente designate alla gestione integrale dei rapporti di lavoro. In particolare, il consigliere delegato ricorrente sosteneva che nel suo caso non dovesse trovare applicazione il principio del cumulo delle responsabilità in capo ai vertici dell’azienda, in presenza di un soggetto esterno al Consiglio di Amministrazione, agente quale preposto, in quantotale responsabile esclusivo anche per il rispetto degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. La Suprema Corte, nel rigettare il motivo di ricorso, ha evidenziato che il trasferimento di responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro può avvenire esclusivamente per effetto di formale delega di funzioni prevenzionistiche, espressamente disciplinata dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (art. 16 D.Lgs. 81/2008). Al contrario, i poteri e le attribuzioni di responsabilità (diverse dalla sicurezza sul lavoro) in capo a dirigenti e preposti non necessiterebbero di alcun atto datoriale, derivando direttamente a titolo originario dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche di ciascuna delle predette figure (art. 299, D.Lgs. 81/2008), la “delega di funzioni” in questione, che comporta il trasferimento dal datore di lavoro ad altro soggetto degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza, oltre al subentro del delegato nella posizione di garanzia del delegante, necessita di un atto esplicito nelle forme di cui all’art. 16 del D.lgs. 81/2008.
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